di Elisa Sodde
Conosciamo Andrea Sassu, Presidente dell’Associazione “CulturArte Sardegna”; pittore; guida tecnica dell’Igea presso diversi siti minerari, tra cui anche il Museo di Archeologia Industriale Mineraria di Porto Flavia a Masua-Iglesias ed autore dell’intensa e coinvolgente opera letteraria “La Cernitrice, Romanzo minerario” che ha voluto dedicare a tutte le donne. Nel 2001 inizia la sua passione per la pittura e finora ha realizzato in maniera indipendente diverse mostre a Cagliari, alcune personali nel nord Sardegna e partecipato a diverse collettive. Ama curiosare fra i vicoli delle capitali europee, cercando di vivere la vita con poesia per farne, possibilmente, una piccola e personale opera d’arte.
Bene, Andrea, noi possiamo darci del tu perché ho avuto il piacere di conoscerti personalmente quest’estate in occasione della mia visita al Museo di Porto Flavia, dopo esser stata conquistata dal tuo meraviglioso libro. Quindi, partiamo subito dal tuo romanzo che, per la prima volta varca i confini isolani, approdando in Veneto, a Noale (VE), dove la nostra Associazione ha avuto l’onore di presentarlo. Cosa o chi ti ha condotto alla stesura di questo libro? Permettimi di fare una piccola premessa. Nasco da una famiglia monoreddito, figlio di un operaio di una fabbrica tessile che, come spesso capita in Sardegna, ha conosciuto fasi economiche alterne, positive e negative, con momenti in cui la cassa integrazione di mio padre arrivava a scadenze inaspettate e da bambino sensibile mi sono trovato ad affrontare situazioni più grandi di me. Ho iniziato a lavorare da quando avevo 15 anni e studiato sino ai 20 chiudendo dopo una breve frequentazione all’Accademia d’Arte di Bologna. Non mi sono tirato indietro di fronte a nessun lavoro propostomi: ho lavorato come manovale; raccoglitore di mele in Val di Non; rappresentante di abbigliamento; pubblicità di aziende, volantinaggio; lavapiatti; trasportatore in tuttala Sardegna e addetto vendite nel settore ferramenta; amministratore di due Srl di un gruppo finanziario che produceva arredamento e nella stessa mi occupavo dell’amministrazione, delle vendite al dettaglio e all’ingrosso, logistica, recupero crediti. Nel 2004, quando vengo assunto all’IGEA ed inizio a lavorare nella miniera di Campo Pisano, occupandomi di progettazione ambientale, avevo quasi 25 anni e ancora oggi sono il più giovane fra tutti i colleghi: la media è infatti di 52 anni. Allora i dipendenti erano quasi 400, ora sono solo 240! Il mio arrivo in un luogo sconosciuto, la graduale conoscenza del territorio attraverso i miei numerosissimi sopralluoghi in tutto il Sulcis-Iglesiente, l’approfondimento della sua storia negli archivi storici minerari, mi ha appassionato a tal punto da volerne sapere sempre di più. Così ho iniziato un lavoro quasi certosino di informatizzazione dei dati ricavati dalle molteplici ricerche storiche, da vecchi ed originali rapporti minerari e dai numerosi racconti dei colleghi prossimi alla pensione (gli ultimi veri minatori!). Infine, i miei trasferimenti estivi nel villaggio minerario di Monte Agruxau, quando nel 2009 ho iniziato a fare la guida tecnica dapprima a Montevecchio, poi a Porto Flavia (sono ancora l’unica guida non nata nel Sulcis) e il continuo contatto con tutto il circostante mondo umano e sociale, mi hanno dato il via per trasferire, come sempre ho cercato di fare, le impressioni in arte. Quando poi sono così forti da non riuscire a trattenerle, sento l’esigenza di fissare queste emozioni sulla tela. Il romanzo – completamente autofinanziato e pubblicato autonomamente – è stato sostanzialmente il “regalo” che mi sono concesso per i miei 10 anni di pittura. Ho voluto così, in qualche modo, restituire tutta la bellezza inaspettatamente sopraggiunta e tutto l’arricchimento interiore che mi ha regalato l’approfondimento della storia mineraria in Sardegna. Mi sono accorto della mancanza nel panorama editoriale di una specifica rappresentazione del lavoro delle donne in miniera, della poca importanza che le si attribuiva, della necessità di far conosce anche ai non addetti ai lavori questo mondo e in particolare quello delle donne, ancora oggi sottopagate, e dopo più di 150 anni di lotte per il loro riconoscimento sociale ed umano. Nel periodo della scrittura del romanzo assistevamo allucinati a fatti deprecabili da parte di chi dovrebbe dare esempio di onestà e valori. Devo sottolineare che le nuove generazioni hanno come perso il senso di questi ultimi e mi sono sembrate nell’interpretazione della vita assai superficiali e disinteressate a quelle che sono le proprie radici, al fatto che ci si rintani in casa anziché stare a contatto con la natura. Giovani sempre più attratti da un modello di vita impostato sul raggiungimento di uno status materiale, successo, apparenza. Abbiamo dimenticato la profondità dello spirito, la socializzazione, l’ambiente. Penso che il caso dei nostri avi minerari debba avere un maggior e più importante peso culturale: una storia da insegnare nelle scuole, anche attraverso l’inserimento nella programmazione, di visite guidate nei vari siti minerari.
Com’è nata l’idea di utilizzare lo schema letterario del romanzo? L’idea di utilizzare la formula del romanzo nasce dall’esigenza di dare ai visitatori la possibilità di approfondire questo mondo, una visione più interna, umana della vita in miniera. La visuale di una donna che, oltre al duro lavoro deve anche gestire altre responsabilità necessitava di una nuova prospettiva rispetto ad un tempo lontano (ma sempre attuale!). Non essendo ancora stato scritto un romanzo minerario incentrato sulle donne di miniera e nello specifico di quelle lavoranti nei giacimenti delle miniere del metallifero (piombo/zinco), mi è sembrata un’idea nuova, originale e che fosse un uomo a scriverla ancora di più. Ho rischiato e mi sono messo alla prova cercando di impegnarmi per calarmi nei panni di una donna. Ho sempre nutrito un’attenzione particolare al ruolo della donna nel mondo, le loro continue battaglie contro violenza, ricatti e una fatica immensa per affermarsi al pari degli uomini. Dalla fine del 2008 ho iniziato a buttare giù qualche riga e nell’arco di circa 3 anni sono arrivato a produrre una bozza con circa 400 pagine di romanzo. Questa è solo una prima intensa stesura… Non penso che riuscirò a porre fine alla sua rivisitazione.
Come hai fatto, dunque, a raccontare questa storia mettendoti nei panni di una donna? Non credo sia facile per un giovane uomo… sopratutto per certi passi delicati… Per immedesimarmi e scrivere come se fossi stato una donna che lavorava tanto tempo fa ho semplicemente traslato l’anima in un periodo non mio, immaginando come mi sarei comportato/a e cosa mi sarebbe potuto accadere. Le numerose informazioni, racconti e foto hanno dato un contributo straordinario. Certo ci vuole molta immaginazione e fantasia, ma la Terra del Sulcis-Iglesiente parla ancora, direi che grida, sia dal sottosuolo, che nei monti e nelle vallate, nei fiumi e nel mare che ancora risente di questa influenza importante; il sacrificio e la voglia di mettere a repentaglio la vita contro i soprusi, nelle numerose battaglie per la tutela del lavoratore, l’orgoglio, la difesa dei diritti di essere umani, la solidarietà. Oggi abbiamo perso questi sentimenti, avvertivo una rinuncia e uno sconforto nello sperare in un cambiamento ma ultimamente ci si sta accorgendo che abbiamo per troppo tempo lasciato fare. C’è infatti oggi la necessità di iniziare nuovamente a fare dure lotte per la tutela dei lavoratori. L’attualità presenta grosse problematiche economico sociali in tutta Europa e nel mondo, è sotto gli occhi di tutti, sta accadendo ancora oggi nelle poche realtà industriali italiane che stentano a decollare nell’isola come in Italia e che esigono giustizia e rispetto. Oggi è più importante il pareggio di un bilancio che la vita, la morte di una famiglia e della sua dignità è in secondo piano.
Chi è la Signora Emilia Zanda che citi nelle note? Per caso, una cernitrice a cui ti sei ispirato? In realtà l’ho conosciuta dopo la stesura del romanzo, però, è proprio così: la Signora Emilia, tanti anni fa, è stata appunto una cernitrice nelle miniere del Sulcis-Iglesiente. Oggi ha 95 anni. L’ho voluta citare nel libro poiché ancora oggi rappresenta benissimo la forza delle donne; è una testimonianza dell’epoca trattata nel romanzo: è stata come una conferma nel mio immedesimarmi in una donna, con qualche variazione chiaramente, ma nei punti chiave è stata importante per darmi la certezza che nel romanzo avessi scritto fatti ed emozioni plausibili. L’ho conosciuta grazie ad un collega, suo figlio, che in prossimità di pensione continua a mantenere viva, tra i pochi, il senso vero di essere un minerario, ossia la forza nel combattere. Questa caratteristica deve esser di famiglia: la signora Zanda è rimasta vedova e con 5 figli a carico. Per la sua intervista avevo preparato 56 domande, mentre, quando l’ho incontrata sono riuscito a formulare solo due frasi: “Buongiorno Signora Emilia come sta?” e “La ringrazio tanto”. La cernitrice Signora Emilia è stata un fiume in piena, ha parlato senza mai fermarsi. Pensa che per tutta la durata della registrazione dell’intervista – circa 1 ora e 40 – ha bevuto un unico, piccolo bicchiere d’acqua … ma solo perché il figlio l’ha costretta!
Parliamo della scelta di dedicare il libro – oltre che a tuo zio Franco, di cui ci racconterai dopo – a tutte le donne. Ho scelto di dedicare un libro alle donne per ricordarle, omaggiarle per la presenza di una così tanta e costante forza, non arrendersi è il loro motto, prendendo come esempio quelle del passato che potrebbero anche rappresentare un monito per le ragazze odierne, che non si accorgono di certe fortune che scambiano per normalità. Tante pensano che il fine è avere una borsa firmata da 800 euro. La cecità crea indifferenza, ci sono altre donne ostaggio di uomini infami, sono vessate ogni giorno e la giustizia non esiste, altre ragazzine sono costrette a prostituirsi per una ricarica telefonica, c’è l’esigenza immediata di una presa di coscienza e una legislazione accurata per evitare queste atrocità. Bisognerebbe riflettere molto sulla tutela della donna in dolce attesa che necessita oggi di un lavoro elastico e che le consenta di non dover rinunciare, come accadeva 150 anni fa in miniera, a creare una famiglia perché mettono a repentaglio il suo futuro. La donna deve avere possibilità, riconoscimenti e crescita professionale. Ci sono una marea di analogie con il lavoro nelle miniere, sarà che poi credo fermamente che la sensibilità femminile e la sua completezza come essere possa dare nella politica mondiale quella svolta tanto attesa da tutti. Il problema è che ancora oggi la loro partecipazione alla vita politica è data come un favore, mentre dovrebbe essere la normalità. Il tutto è di una lentezza insopportabile, come se non si volesse crescere, cosa che le donne fanno naturalmente: è nella loro indole. Sono certo che con le donne ai vertici non esisterebbero né la fame né le discriminazioni nel mondo.
Veniamo alla seconda parte della dedica: “a zio Franco” Francesco Maria Sassu, è stato il mio padrino di battesimo, deceduto nel 2005 per una forma di cancro inguaribile e fulminea ha avuto un ruolo chiave nella mia infanzia e adolescenza. Ha trasmesso ai nipoti e ai suoi alunni una serie di informazioni e di passioni che nutriva per la storia della Sardegna, origini geografiche e storiche e studiata nella sua evoluzione, con scanditi sopralluoghi nelle zone più disparate della Sardegna. A noi bambini, come ero io all’epoca, piaceva tantissimo ascoltarlo nei week end, nelle sue interminabili disquisizioni, mai noiose. Penso sia stata una sua dote inestimabile quella di riuscire a trasmettere e creare nel prossimo, fanciulli o adulti, una motivazione a scavare nelle proprie radici. Sono stato educato alla bellezza dell’Isola e della sua antica storia. A lui devo questa mia passione. Sento ancora la sua presenza dentro di me, sono convinto che da lassù sarà molto orgoglioso di questa mia crescita, ma so che ne attende delle altre più importanti. La stessa caratteristica l’ho ritrovata nel mio responsabile, l’Ing. Mario Cabriolu, anche lui capace di rinnovare la passione per la storia e l’ambiente della Sardegna.
Come nasce la decisione di non connotare il testo di riferimenti storici e geografici specifici? La non connotazione storica e geografica, volutamente scelta, mi ha dato la possibilità di riportare un numero maggiore di informazioni realmente accadute in diversi impianti minerari sardi ed inventare a completamento nuovi scenari, sempre possibili. Inoltre, volevo che il lettore avesse la possibilità di poter fare un riscontro, nel paesaggio ancora oggi intatto, che può constatare con i suoi occhi: questo penso renda il romanzo più scorrevole, meno tecnico e più umano. Nonostante si tratti di una prima stesura spero di essere riuscito nell’intento.
Nel tuo libro, in modo molto originale – devo dire – i diciannove capitoli non sono scanditi da numeri progressivi, bensì dalle varie fasi di lavorazione: “Prospezione; Cernita; Frantumazione” Lavorando nella progettazione, la suddivisione in capitoli di carattere tecnico anziché in classiche numerazioni è stata dibattuta con il responsabile del servizio, l’ing. Mario Cabriolu e dalla contrattista, sottolineo quinquennale, Ing. Ornella Crobu che hanno dato un contributo essenziale nel farmi credere che, questo romanzo, in una forma inaspettata e originale potesse esserlo ancora di più con la scelta di non inserire minuziose tecniche minerarie, ma di inserire capitoli di lavorazione del minerale . Ho accettato senza battere ciglio e ringraziato a dovere per il sostegno e i consigli sempre impeccabili quando ho avuto necessità. Colleghi che a tutti augurerei di avere la fortuna di incontrare.