di Elisa Sodde
Domenica 2 dicembre 2012 presso la Sala Convegni dell’Ospedale P.F. Calvi di Noale (VE), l’Associazione Culturale “Un ponte fra Sardegna e Veneto”, col patrocinio del Comune di Noale e di Cimadolmo (TV), ha proposto il primo, particolare, appuntamento sull’importante storia mineraria del Sulcis-Iglesiente.
Con quest’incontro – il 7° nel suo primo anno di vita – la nostra Associazione ha voluto proporre un altro viaggio virtuale in Sardegna per far emergere storie spesso dimenticate o forse da qualcuno neppure mai conosciute: vogliamo augurarci che poi da questi incontri culturali, i nostri ospiti possano trovare lo stimolo per andare personalmente a visitare queste zone della Sardegna così evocative.
Come probabilmente molti sapranno, principalmente, tra 2° parte del 1800 e la 1° metà del 1900, molte persone, uomini, donne (e ahimè bambini!) da diverse regioni d’Italia ed in particolare dal Veneto si mossero alla volta della Sardegna in cerca di lavoro proprio nelle zone ove erano ubicate le miniere di piombo, zinco, argento e poi lignite nella nascente Carbonia … ma di questo parleremo nella prossima puntata! Si, perché il nostro discorso sulle storia mineraria sarda proseguirà nel 2013 quando porteremo qui in provincia di Venezia una grossa esposizione di archeologia mineraria per far vedere e toccare con mano oltre 600 reperti, oggetti facenti parte di quel mondo e di quel lavoro così duro e rischioso quale fu e qual è ancora per qualcuno, quello del minatore.
Nonostante il tempo inclemente, la sala era gremita e gli spettatori affascinati dai relatori che si sono succeduti nell’articolato e composito programma della mattinata.
Abbiamo voluto iniziare a raccontare questo “connubio sardo-veneto”, come solitamente piace fare a noi, da un angolo visuale un po’ singolare, troppo spesso lasciato inspiegabilmente in ombra, ovvero raccontando del lavoro delle donne e delle bambine in miniera ed abbiamo scelto di farlo attraverso il bellissimo ed intenso libro di Andrea Sassu: “La cernitrice. Romanzo minerario”.
Oltre ad Andrea Sassu, Presidente Associazione “CulturArte Sardegna” e guida tecnica Igea presso il Museo di Archeologia Industriale Mineraria di Porto Flavia e di altri siti minerari Igea; altri importanti e graditissimi ospiti della tavola rotonda noalese su Porto Flavia sono stati: i rappresentanti delle due istituzioni comunali citate, il Consigliere Delegato all’associazionismo del Comune di Noale, l’avv. Stefano Sorino che ha portato i saluti di tutta l’amministrazione noalese; il Sindaco di Cimadolmo (TV), il Sig. Giancarlo Cadamuro; il Dr. Luciano Ottelli, geologo con numerose ed importanti pubblicazioni sui siti minerari al suo attivo, nella sua lunga carriera dedicata al mondo minerario sardo ha ricoperto anche l’incarico di Direttore del Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna (il 1° Parco Geominerario al mondo ad esser stato istituito) e dell’IGEA SpA; la Dr.ssa Amalia Donatella Basso, storica dell’arte che da oltre un trentennio si occupa di conservazione e restauro presso la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna; la Dr.ssa Manuela Cattarin, referente Ufficio Cultura del Comune di Cimadolmo (TV).
Nel suo primo intervento, il Dr. Luciano Ottelli dopo un’introduzione storica sulla nascita e l’importanza dei siti minerari in Sardegna, ha raccontato dei tanti veneti giunti in Sardegna per lavorare nelle nostre miniere: si trattava non solo di minatori, ma anche di ingegneri e tecnici minerari che si formavano alla prestigiosa scuola dei periti minerari “U. Follador” di Agordo (BL), fondata nel 1867. Fra questi veneti spiccò sicuramente la figura dell’ing. Cesare Vecelli, veneto di nascita (nato a Venezia nel 1881; residente a Cimadolmo (TV)) ma sicuramente “sardo” d’adozione, visto che appena laureato è stato assunto per lungo tempo dalla Società all’epoca leader nel settore minerario, la Vieille Montagne di Liegi, con l’incarico di dirigere pian piano tutte le concessioni minerarie del Sulcis-Iglesiente. L’ingegnere di Cimadolmo comprese subito l’estrema durezza del lavoro e i grossi sacrifici a cui erano sottoposti i minatori e gli operai alle sue dipendenze e con una sensibilità non comune ed un grande e rarissimo rispetto per la vita dei suoi lavoratori, cercò di alleviare il più possibile le loro penose condizioni di lavoro con innovazioni tecnologiche appositamente concepite. Il nome del Vecelli è ormai indissolubilmente legato a “Porto Flavia”, il capolavoro d’ingegneria mineraria – rimasto unico al mondo – realizzato a Masua nei pressi di Iglesias, con cui riuscì, allo stesso tempo, a risolvere diverse problematiche: le difficoltà connesse al trasferimento dei minerali dall’entroterra al mare; quelle relative al carico delle navi che li avrebbero trasportati ai luoghi di destinazione e, da non dimenticare, anche la salute dei lavoratori addetti al carico dei minerali, attraverso il miglioramento delle loro condizioni di lavoro.
Ma non voglio svelarvi troppo sull’ingegner Vecelli e vi rimando alla lettura del libro curato della Dr.ssa Amalia Basso che abbiamo scelto di presentare al nostro convegno: “Cesare Vecelli – Ingegnere minerario. Una storia che attraversa l’Italia”, al quale ha dato un insostituibile apporto alla ricerca la Dr.ssa Manuela Cattarin, che più volte si è recata in Sardegna sulle tracce del Vecelli per far ricerche negli archivi storici e minerari.