Ci sono voluti 366 giorni. Esattamente un anno e un giorno dopo la presentazione pubblica del Progetto Eleonora nella conferenza stampa presso la sede dell’Assoindustriali di Cagliari – di cui è vicepresidente Stefano Filucchi, direttore relazioni esterne di Saras S.p.A. – la Saras parla in pubblico per la seconda volta del Progetto Eleonora.
E lo fa per voce, o meglio per mano, del direttore industriale Giuseppe Citterio. Citterio risponde sul sito de L’Espresso on line ad una precedente lettera che Davide Rullo, membro del comitato, aveva inviato al settimanale per richiamare l’attenzione degli organi di stampa italiani sul tentativo di installazione del pozzo esplorativo.
La lettera di Citterio non è una risposta, ma una lettera di giustificazioni fatta male e per certi versi molto irritante. Non è che l’ultimo disperato tentativo di salvare la faccia da parte di un’azienda che da un anno a questa parte non ha mai avuto il coraggio di confrontarsi apertamente con i cittadini di Arborea. Cittadini che hanno mosso critiche, obiezioni, domande fondate e documentate. Senza aver mai ottenuto risposta.
Questo misero tentativo di dimostrare che un pozzo per estrarre idrocarburi ad una profondità di 3000 metri è né più né meno che un pozzo artesiano per innaffiare l’orto dietro casa risulta fuori luogo e fuori tempo massimo. E contribuisce ad allarmare i cittadini di Arborea sapere che da persone come Citterio dipende il futuro, la sicurezza, la progettazione e gli investimenti che coinvolgono migliaia di persone in Sardegna.
Ma evidentemente il signor Citterio è abituato ad avere altri interlocutori, a parlare con persone che prendono per oro colato ogni parola detta a nome del consiglio di amministrazione della sua azienda, a vedere esaudito ogni suo desiderio senza che nessuno si permetta di ribattere e dire no, non hai ragione.
Proprio come succede ai bambini viziati che non vogliono rinunciare allo zucchero filato alla festa del paese.
Ma i tempi sono cambiati, e i sardi oggi hanno molte più possibilità e molta più voglia di informarsi e di informare. Gli anni ’60, gli anni dei Piani di rinascita, in cui ogni parola degli industriali del Nord Italia veniva presa come oro colato, sono finiti.
Si sa, i bambini viziati, pur di averla vinta, sono disposti ad inventarsi qualsiasi cosa.
Vediamo qualche passaggio della risposta di Citterio:
“La falda (superficiale e profonda) è protetta fino al fondo del pozzo da rivestimenti in acciaio e sigillati con cementi speciali . Contrariamente a quanto affermato, il pozzo sarà “incamiciato” nei primi 450 metri (ben oltre la profondità della falda più profonda) da tre rivestimenti concentrici in acciaio sigillati da cemento e addirittura quattro nei primi 50 metri.”
Si smentisce da solo: lo Studio Preliminare Ambientale depositato presso la Regione Sardegna prevede l’incamiciatura dei tubi fino a 100 metri.
“L’esplorazione avverrà attraverso l’ausilio di fluidi di perforazione, la cui composizione non è “segreto industriale”: si tratta infatti di fluidi composti prevalentemente da argille bentonitiche, materiale diffuso dell’ Isola e prodotto per l’industria petrolifera in molte cave della Sardegna. “
Falso: basta leggere qui, qui e qui. (Grazie alla Prof.ssa D’Orsogna per la segnalazione)
“I campioni analizzati nelle acque e nel sottosuolo di Arborea (circa 200), rappresentativi del gas naturale presente nei potenziali giacimenti, non hanno evidenziato né presenza di idrogeno solforato né di composti a base di zolfo: non ci sono quindi elementi per ipotizzare la presenza di gas nocivi.”
Di quali campioni di gas naturale parla? C’è per caso una trivella invisibile che opera ad Arborea? Come può affermare che non vi sia presenza di idrogeno solforato e di composti a base di zolfo se il giacimento non è ancora stato esplorato? Lei è un ingegnere chimico, dovrebbe conoscere molto bene queste cose. È uno dei massimi responsabili della principale raffineria del Mediterraneo, non si può permettere di fare affermazioni di questo tipo.
“L’impianto sarà dotato di analizzatori in continuo che, qualora rilevassero tracce di sostanze pericolose, comanderebbero la chiusura automatica del pozzo per prevenire la loro fuoriuscita in atmosfera.”
Soprassediamo sulla qualità delle analisi ambientali effettuate da Saras S.p.A., che persino la scorsa settimana, quando una densa nube ha avvolto il paese di Sarroch, hanno confermato come non ci fosse nessuna fuoriuscita anomala. Ci limitiamo a ricordarle che anche la piattaforma della British Petroleum nel Golfo del Messico aveva una valvola di chiusura automatica che avrebbe dovuto prevenire la fuoriuscita di petrolio. Sappiamo tutti com’è andata a finire.
“La compatibilità tra attività estrattiva e la presenza di attività agricole e di trasformazione agroalimentare, anche di pregio, è dimostrata da molte realtà del territorio nazionale: un esempio su tutti è la provincia di Parma, definita anche “Food Valley” per le sue caratteristiche produttive, dove convivono pozzi a gas (ben 282) e numerose aziende agricole, zootecniche e di trasformazione.”
Anche qui il signor Citterio è fermo a qualche decennio fa. Dovrebbe fare una chiacchierata in questi giorni con gli allevatori della Bassa Padana per capire se davvero vogliono ancora quei pozzi. E magari allargare lo sguardo e guardare cos’è successo nel Polesine, o cosa sta succedendo nella Val d’Agri, dove non è rimasto un solo centimetro di terreno coltivabile che non sia stato contaminato a causa delle estrazioni dell’ENI.
Abbiamo anche una domanda: è sicuro che la Barilla, il consorzio del Grana Padano, il consorzio dei Prosciutti di Langhirano siano orgogliosi di pubblicizzare il fatto che le loro produzioni avvengono a pochi chilometri da pozzi di estrazione di idrocarburi? Perché non ci sembra che nelle pubblicità di questi prodotti compaiano delle trivelle sullo sfondo.
Ma il passaggio più indegno dell’intero articolo è questo: “La situazione di crisi che le aree industriali della Sardegna stanno attualmente vivendo è anche legata ai costi energetici: l’energia in Sardegna ha un costo troppo alto e non ci sono fonti alternative”.
Che un dirigente Saras venga a dirci che l’energia in Sardegna costa troppo perché mancano le fonti alternative è un insulto all’intelligenza di tutti i sardi. Un insulto pari a quello che avete commesso ai danni della memoria di Eleonora d’Arborea abusando del suo nome per battezzare questo folle progetto di devastazione ambientale.
Lei sa benissimo che una delle principali cause dell’eccessivo costo dell’energia in Sardegna è l’azienda per cui lavora: la Saras. Per la precisione per colpa di un’azienda satellite: la Sarlux s.r.l.
Dovrebbe conoscere questo nome, ma le rinfreschiamo volentieri la memoria: Sarlux s.r.l. è l’azienda controllata da Saras S.p.A. che produce energia elettrica bruciando gli scarti della lavorazione del petrolio della raffineria di Sarroch.
Funziona così: nel 1992 il Comitato Interministeriale Prezzi delibera una serie di finanziamenti per la produzione di energia da fonti alternative. Questi finanziamenti vengono detti Cip6 e in principio servivano per finanziare l’energia elettrica prodotta tramite fonti non fossili. Poco prima dell’approvazione del decreto nel testo compare anche la parola assimilate. Quali sono le fonti assimilate? Come riporta il decreto: “sono risorse di origine fossile; risultano alimentati da fonti assimilate: gli impianti di cogenerazione, gli impianti che utilizzano calore di recupero e fumi di scarico; gli impianti che utilizzano gli scarti di lavorazione e/o di processo; gli impianti che utilizzano fonti fossili prodotte esclusivamente da giacimenti minori”.
Chi beneficia del Cip6 da quel momento gode di sostanziosi finanziamenti statali e ha il diritto di rivendere l’energia prodotta al Gestore dei Servizi Elettrici ad un prezzo superiore a quello di mercato. Il GSE è poi obbligato ad acquistare questa energia e ad immetterla immediatamente in rete grazie alla “priorità di dispacciamento in tempo reale nell’immissione in rete”.
Cosa significa ciò? Siginifica che l’energia elettrica prodotta da Sarlux – circa 4 miliardi di chilowattora annui – viene interamente venduta al GSE, il quale è obbligato a rivenderla ai consumatori ad un prezzo assolutamente non competitivo.
Per farla breve: Saras S.p.A. raffina il petrolio, gli scarti di lavorazione vengono raccolti e bruciati da Sarlux s.r.l. sempre all’interno della raffineria di Sarroch (ricevendo per questo lauti finanziamenti pubblici) per produrre energia elettrica. Questa energia prodotta viene rivenduta ad un prezzo fuori mercato al GSE (di fatto guadagnandoci sopra per la seconda volta) e i sardi sono costretti a consumare quest’energia ad un prezzo totalmente sconveniente perché il GSE è obbligato ad acquistare e vendere fino all’ultimo chilowattora prodotto dalla centrale Sarlux.
Il tutto per continuare a favorire il rifinanziamento di questa produzione energetica. Finanziamento che peraltro i consumatori pagano già con un aumento dei prezzi dell’energia in bolletta di circa il 10%.
Insomma, un circolo vizioso i cui beneficiari non sono di certo le bollette energetiche dei sardi.
Facciamo una proposta a lei e a tutto il Cda di Saras S.p.A.: volete davvero abbattere il costo dell’energia in Sardegna? Bene, domani mattina chiudete la Sarlux s.r.l. rinunciando agli incentivi del Cip6. Vediamo quali effetti ci saranno sul costo delle bollette delle famiglie sarde.
Ma d’altronde i bambini viziati non vogliono mai ascoltare i consigli che gli vengono dati.
Vedetela così: pensate a questo Comitato come ad un piccolo gruppo di educatori. La Saras S.p.A. ha avuto per anni un genitore – lo Stato Italiano – decisamente permissivo e indulgente. Molto spesso ha anche elargito sostanziose paghette: dai 40 miliardi di lire finanziati col Piano di Rinascita del 1962 fino agli incentivi del Cip6 (che fruttano qualcosa come 130 milioni di euro annui), passando per i contratti di programma Saras 1, Saras 2 e Saras 3: 577 milioni di euro di investimenti di cui il 46% interamente a carico dello Stato Italiano, cioè di noi cittadini.
E a proposito di finanziamenti pubblici abbiamo un’altra domanda: nella lettera a L’Espresso afferma che gli investimenti per il Progetto Eleonora sono tutti a carico di Saras. Il Dott. Gregu nella conferenza stampa dell’8 novembre 2011 afferma esattamente il contrario citando una partecipazione da parte della Regione Sardegna. Qual è la verità? E nel caso: quanti soldi vi ha finanziato la Regione Sardegna?
Siamo curiosi di conoscere la risposta a questa e a molte altre domande. Speriamo di non dover aspettare una lettera a Panorama la prossima volta.
Ogni bravo genitore sa che per evitare che i propri figli rimangano dei viziati per tutta la vita a un certo punto della vita bisogna cominciare a dire no alle loro richieste. Dire No aiuta a crescere.
Bene, forse è arrivato il momento che qualcuno cominci a dire di NO anche a voi. Dopo sessant’anni sarà anche ora.
Ci assumiamo volentieri questo incarico: per l’ennesima volta vi gridiamo NO al Progetto Eleonora.
Non ci interessano i vostri piani di sviluppo, non ci interessa la vostra idea di competitività, non ci interessa la vostra idea di sfruttamento del territorio, non ci interessano le vostre quotazioni azionarie, non ci interessa niente di tutto ciò che voi proponete. Perché tutto ciò che avete proposto è assolutamente incompatibile con Arborea e la sua storia.
Noi non siamo contro il progresso, noi siamo contro la vostra idea di progresso. Noi abbiamo un’altra idea.
Noi abbiamo un’idea di Arborea e della Sardegna ben chiara e ben definita. E voi in questa idea non ci rientrate e non ci potrete mai rientrare. Perché ciò che fate non è compatibile con lo sviluppo della nostra terra.
Ritirare il Progetto Eleonora: noi non vi vogliamo.
Non vogliamo nessun pozzo, né qui né altrove. Né ora né mai