di Gianluca Floris
Il cantante e scrittore Gianluca Floris ha scritto un interessante post sul ruolo e sul funzionamento dei Teatri Lirici. Ultimamente si sono sentite molte stupidaggini (anche da chi, istituzionalmente, dovrebbe ben sapere a cosa servono delle Fondazioni così onerose per le casse pubbliche), per cui un intervento di questo genere mi sembra opportuno che venga rilanciato e condiviso.
Il Teatro Lirico di Cagliari è una Fondazione Lirico Sinfonica.
Cosa sono le Fondazioni Lirico Sinfoniche?
Sono dei teatri stabili la cui missione è quella di fare tutto l’anno programmazione musicale che mantenga in vita l’opera lirica e la sinfonica in quanto patrimonio culturale di tutti i cittadini italiani ed europei. Le Fondazioni sono state istituite con legge nazionale e in base a tale legge ricevono un finanziamento statale la cui entità è stabilità in base a dei punteggi relativi alla quantità e alla qualità della produzione. Le fondazioni ricevono altri finanziamenti dagli enti locali per garantire stabilità della azione di programmazione artistica e per la diffusione della conoscenza del nostro patrimonio musicale.
Come viene assunto il personale?
Tramite concorsi obbligatoriamente europei, con nomine di commissioni di esperti cui devono obbligatoriamente partecipare membri esterni e le cui prove sono tutte pubbliche e devono avvenire anche alla presenza degli organismi sindacali aziendali.
Perché finanziare le Fondazioni?
Per mantenere in vita il patrimonio artistico italiano. Per la stessa maniera per cui dobbiamo mantenere Pompei, Venezia, la Valle dei Templi, il Giardino di Boboli, ecc. L’opera lirica è il nostro patrimonio artistico e culturale di gran lunga più conosciuto al mondo e, nonostante si tratti di una modalità di spettacolo costosa, viene messa in scena ogni giorno in ogni parte del pianeta. Le Fondazioni sono un luogo di selezione dei migliori professionisti musicali europei che continuano a testimoniare l’importanza del patrimonio artistico e continuano con il loro lavoro a farne fruire i cittadini.
Quanto prendono i dipendenti delle masse artistiche?
Si tratta di stipendi normali per il settore pubblico ma in realtà sottodimensionati per chi è un professionista della musica con elevate capacità artistiche e professionali. Per diventare professore d’orchestra o artista del coro si deve studiare una vita e sottoporsi continuamente a concorsi ed esami estremamente competitivi. La preparazione tecnica e culturale media richiesta ad un lavoratore lirico-sinfonico italiano è di altissimo livello perché il lavoro di interprete musicista non può essere improvvisato ma si tratta di altissima specializzazione.
Quanto lavorano i dipendenti?
Meno di quello che il loro contratto permetterebbe. Nel caso del Lirico di Cagliari i dipendenti chiedono da più di due anni di utilizzare tutto il monte ore a disposizione del loro contratto ma le loro richieste rimangono inascoltate. Avete letto bene: i dipendenti del Lirico di Cagliari chiedono da tempo di essere messi in condizione di lavorare di più. Fino ad ora questo non è stato mai possibile per inadeguatezza delle varie dirigenze. Per operare nel senso della massima efficienza, infatti, occorrono tecnici e amministratori esperti e preparati.
È uno spettacolo per una élite?
A Cagliari ogni spettacolo viene visto (parliamo solo di lirica, per comodità) da circa diecimila persone fra abbonati e non. Per una città da 150mila abitanti può dirsi un ottimo risultato. A Cagliari non esistono diecimila ricchi. Ci sono molti giovani, molti anziani (che sono la maggioranza dei cagliaritani) e non si vede una pelliccia. Se per élite si intende che è un pubblico fatto di persone abituate a fruire cultura, con il gusto dell’ascolto, della ricerca e della interpretazione, in Italia si tratta effettivamente di una élite. È gente istruita e curiosa. In altri paesi come la Francia, la Germania o l’Olanda o il Regno Unito, questa élite si chiama “pubblico” o “cittadini”.
Possiamo utilizzare i soldi delle Fondazioni per fare altro?
Attualmente non è possibile, a meno di cambiare la legge nazionale in modo che si smantelli il sistema della tutela della lirica sinfonica e del nostro patrimonio culturale musicale. Parimenti si potrebbe pensare di non mantenere più Venezia o Pompei o Ostia Antica in modo da risparmiare dei denari. Attualmente i dieci milioni di euro l’anno che lo stato da alla Fondazione Lirico di Cagliari, se venisse chiuso il Lirico, non potrebbero più arrivare in Sardegna e tornerebbero a Roma per venire utilizzati a finanziare, sempre tramite il Fondo Unico dello Spettacolo, altre realtà italiane.
Quanti di questi denari pubblici ricadono sul territorio?
Praticamente tutti. I quasi 400 dipendenti della struttura di Cagliari ad esempio vivono sul territorio, comprano case, vestiti, mangiano, comprano beni e mezzi di trasporto sul territorio locale. E soprattutto pagano in Sardegna le loro tasse. Gli artisti ospiti invece dormono, mangiano e comprano beni in città e sul territorio, spesso ci tornano per farci vacanze nelle nostre strutture turistiche e più di uno si è fermato a vivere qui, alla fine, facendo anche degli investimenti.
Uno studio dell’Università “Carlo Bo” di Urbino ha quantificato che a Pesaro, a fronte di una spesa per la lirica di circa sei milioni di euro pubblici, sul territorio ne ricadono più o meno undici. Giusto per citare una piccola realtà come quella di Pesaro. Per il resto gli studi dello Studio Ambrosetti della Confindustria, della UE e di altri dipartimenti universitari, dimostrano che il consumo di cultura diffuso porta ricchezza diretta al territorio, oltre a formare cittadini migliori e più responsabili. A meno di non pensare che gli investimenti della famiglia Medici a Firenze, dei Papi a Roma, dei dogi a Venezia, non siano serviti a nulla e che con quella cultura noi italiani non ci abbiamo mai mangiato. L’investimento in cultura in Italia è sempre stato motore di ricchezza. In Italia molto più che in altri paesi del mondo.
Dobbiamo farla finita con i teatri lirici?
Sì, se vogliamo smettere di avere una tradizione artistica e un patrimonio culturale.
Sì se siamo convinti che una crescita culturale anche musicale sia un inutile orpello da ricchi cicisbei effeminati.
Sì, se pensiamo che l’unica musica da diffondere sia quella che si autopaga. C’è da dire che in questo caso non so bene su che cosa dovrebbe invece investire la nazione Italia per il futuro dei nostri figli. Potremmo fare una scelta forte e utilizzare i soldi che lo stato riserva al nostro patrimonio culturale per spenderlo in industria pesante, nelle miniere del Sulcis o in mille altre maniere. Certo che lo si può fare. Un popolo ha sempre il governo che si merita.
“Una città senza un teatro che faccia musica, non è una città dove valga la pena vivere” mi hanno detto gli amici norvegesi che mi spiegavano il fiorire di costruzioni di teatri dovunque nella loro nazione. Credo che se gli italiani lo vorranno potranno senz’altro chiudere i teatri stabili, le pinacoteche, i musei e i siti archeologici. Siamo in piena crisi, se non ve ne siete accorti, e quindi facciamola finita con la cultura. Ci penseremo dopo, quando saremo ricchi liberati finalmente dalla spesa per questi orpelli, noi italiani. Anche il governo del libero Afghanistan ha deciso di farla finita con gli inutili buddha di pietra o con queste manifestazioni inutili come le gare di aquiloni. Sono scelte e un popolo sovrano le può fare legittimamente. Alla cultura ci penseremo dopo.
Perché, infine, si parla così male di chi fa di mestiere l’artista?
Per invidia, perché facciamo il lavoro più bello del mondo, perché viviamo di musica e siamo capaci di dare brividi ai tanti che ci vengono ad ascoltare. Perché siamo capaci di studiare e il nostro potere è quello di capire, di interpretare. Perché è uno dei pochi lavori che nobilita sia chi lo fa sia chi ne fruisce. Per questo ci odiano: perché di mestiere regaliamo attimi di felicità. E questo, gli invidiosi, i gretti, proprio non ce lo perdoneranno mai.