di Sergio Portas
Metti, una sera a cena. E’ il titolo di un film del’69 di Patroni Griffi con musiche di Ennio Morricone che mi è venuto in mente mentre ad Abano Terme, nell’ambito del congresso FASI, mi accingevo a partecipare a quella che Lino Ruiu (Ristorante Sant’Elene di Dorgali) e Sergio Mei (chef del Four Season di Milano) avevano voluto titolare “Cena del pastore”. In collaborazione con l’Associazione Italiana Sommelier di Padova nonché i ragazzi dell’Istituto Alberghiero “Pietro d’Abano”. Vi risparmio il numero dei bicchieri di cristallo per ogni posto tavola, il raso ambrato delle tovaglie, il luccichio dei lampadari, per procedere: “dagli ovili e dai pascoli delle montagne, ai sapori autentici della Sardegna”. Compagni di tavola alcune delle “guest stars”, le venti personalità della cultura e delle professioni delegati al Congresso (con diritto di voto) in grazia del loro impegno e successo nel mondo della cultura, delle arti, delle professioni. Tra gli altri il pittore Salvatore Garau, il giornalista Franco Siddi, l’avvocato di Mesina Giannino Guiso e poi giuristi e imprenditori e pubblicitari. Vicino a me Pino Martini Obinu, musicista e compositore, poi Anna Deplano che è designer, il regista Gianfranco Cabiddu e Marcello Fois, impareggiabile scrittore di Nuoro. E naturalmente altri, che mica conosco l’universo mondo per facce e cognomi. Mi diranno poi che davanti a me era il nipote di Antonio Gramsci e, considerato che ho scritto da poco un pamphlet sul suo famoso nonno, il fatto di non avere scambiato con lui neanche una parola rimarrà ad eterno ed amaro ricordo della serata. Che è iniziata comunque con un aperitivo (salude) di Torbato brut di Sella&Mosca di Alghero. Mentre gli antipasti (a primu famene) si susseguivano uno via l’altro inesorabili: prosciutto e salsicce di Villagrande (pressutu e sartiza de porcu de Biddamanna), guanciale di Oliena (grandula de Uliana), prosciutto di pecora (pressutu de berbeghe), casadina (tortino di pasta ricoperto di formaggio fresco semicotto), matàmene (frattaglie di agnello), tutti accompagnati da “Giunco”, vermentino della cantina Mesa di S. Anna Arresi, messa su da Gavino Sanna ( lui che è astemio) da quando non fa più il creativo della pubblicità al cento per cento. Tanto per dire che quando uno è eclettico di natura ha successo qualsiasi cosa intraprenda. Alla mia destra un giovane si distingueva per sobrietà di argomenti trattati, il pallino della conversazione tutto nelle mani di Marcello Fois con Gianfranco Cabiddu a fargli da spalla: fatevi raccontare, se vi capita, le avventure da loro affrontate su sgangherati aerei che li hanno trasportati per i posti più incredibili di questo nostro pianeta, per partecipare ai più assurdi festival letterari, con atterraggi da brivido e cadute di pressione che fanno perdere quota all’aereo e contemporaneamente ti rammentano ogni preghiera che mamma ti faceva dire prima di addormentarti. Solo dopo i primi piatti, anzelotos de casu friscu e beda, cun bagna (ravioli) e tzichi ( pane di Bonorva tostato e cotto in brodo di pecora) quel ragazzo che vi dicevo si è rivelato per essere Alessandro Aresu, di cui cinque anni fa mi era capitato per le mani un libro “Filosofia della navigazione”, edito da Bompiani, davvero singolare. Intanto per la giovane età dell’autore, allora ventitreenne, poi perché a introduzione c’erano quattro paginette dense di Massimo Cacciari, uno che davvero non mi sembra vada in giro a scrivere prefazioni per chiunque abbia l’ardore di domandarglielo. Intanto il vermentino di Monti “Petrizza” sostituiva in tavola quello di S.Anna Arresi. Sulla quarta di copertina del libro era scritto che Alessandro nasceva a Cagliari, viveva a Milano e si stava laureando in filosofia al San Raffaele, (già allora secondo me don Verzè aveva smesso di pagare i fornitori a incrementare la montagna del debito che sarebbe arrivata alla stratosferica cifra di un miliardo e mezzo di euro), allievo di Guido Rossi, Massimo Cacciari, Enzo Bianchi. I suoi principali interessi si rivolgevano all’estetica, la filosofia della storia e la relazione tra la filosofia e la teologia. In attesa dei secondi ( a pustis) arrustu de cossa de berveghe e bombas cun fari-fari ( polpette di pecora con patate arrosto) accompagnati da “Josto Miglior”, cannonau della cantina di Jerzu, Alessandro mi dice i suoi essere di Donori, anche nelle colline del suo Parteolla si coltiva ottima uva da vino cannonau e bovale, il liceo a Cagliari: al Dettori e poi le scuole del continente, prima un anno a Roma e poi Milano, il capoluogo del Mediterraneo, che lui ha il gusto della battuta salace. In questi anni che non sono riuscito a trovarlo per l’intervista che mi ero ripromesso di fargli, ha trovato il modo di farsi assumere nella rivista di geopolitica Limes di Lucio Caracciolo che si edita a Roma, forse la prima in Italia per prestigio di firme e credibilità. Poi scrive anche per la “Nuova Sardegna” e sulla rete di internet ha una sua sito di politica internazionale: lospaziodellapolitica.com assieme ad altri giovani politologi di sicuro avvenire. Coi formaggi (casu), un pecorino di Gavoi stagionato due anni ( imbetzadu duos annos), casizolu cun mele (provola di latte vaccino con miele) e crema di caglio di capretto (casu cun modditzosu) è benvenuto eppur necessario un “Icoré” rosso, cannonau della cantina di Dorgali. Il libro di Alessandro, oramai ci “dobbiamo” dare del tu mercé il vino bevuto assieme, spazia dalla repubblica di Platone, dialoga con eroi che “hanno voluto lasciarsi ogni porto alle loro spalle” come l’Ulisse omerico e quello dantesco, per sbarcare in isole come Utopia o la shakespiriana isola della “Tempesta”, per dire della filosofia della storia hegeliana e lo sforzo filosofico di Kant incentrato sull’approccio critico nei confronti della conoscenza. Si approda ai territori delineati da Carl Smitt e agli imperi di inevitabile formazione di Alexandre Kojève, passando per la balena bianca di Melville ma anche l’Apocalisse di san Giovanni. Insomma un excursus davvero impegnativo, scritto con una levità impressionante, un coraggio dell’opinione insolita davvero singolare per un giovane poco più che ventenne. E con un apparato di note che rimandano a testi d’autore che si capisce sono stati letti e meditati. Inframmezzato da perle che Aresu va a pescare nei posti i più strani, nello Zibaldone di Leopardi: “ Come i fanciulli, gli uccelli non conoscono una separazione tra dentro e fuori, e l’anima è in essi lo specchio del corpo” ( pag.56). E che meraviglia quella nota 52 che si riferisce alla “Nuova Atlantide” di Francesco Bacone, edito da tale Silvio Berlusconi, avesse continuato a fare solo l’editore! Parla di Walter Benjamin in un suo saggio intitolato “Il compito del traduttore”, nel mentre dice che “I linguaggi si trovano in uno spazio d’incontro che conserva le differenze e insieme manifesta la nostalgia per una parola che non può essere ripetuta nella traduzione ma soltanto conservata come gesto, come assenza” (pag.102). Tradurre significa cercare una parola. Cercarla vuol dire anche amarla. La vernaccia di Oristano di Attilio Contini per i dolci di quella serata ( sos durches): la tirica ( pane modde e sapa), turrone de Tonara, amaretos. Non traduco più, neanche i digestivi “po ismartire”: licore de murta e abbardente. Su internet mi imbatto in uno dei suoi articoli sulla rivista di geopolitica “Limes” ( Confini) intitolato: Pocos, locos y mal unidos- i sardi temono l’altrui indifferenza. Nelle battute conclusive del suo articolo Aresu afferma che tutti i sardi pensano- e non è un pensiero, ma un’ossessione-che la loro patria abbia pieno diritto di cittadinanza nel mondo. Pensano che l’esperienza della Sardegna debba essere tradotta in tutte le lingue. Pensano che il mondo debba interessarsi della Sardegna, qualunque cosa accada. Che suona, messo così, come una sorta di disturbo narcisistico di nazionalità. Ma l’articolo dice, molto bene, molto altro. Gran tifoso del Cagliari Alessandro Aresu, altro che musica classica d
i radio tre: i rossoblu giocano contro il Napoli. Cultore di cartoni animati giapponesi. Il pane e le rose. Chissà perché non riesco proprio a ricordare come ci siamo salutati quella sera della cena, capisco comunque sempre di più perché nei circoli sardi sia così sentito l’onore di rappresentare la propria associazione al congresso della FASI, non è tanto che intervieni dalla tribuna dinnanzi ai delegati d’Italia e del mondo, è che alla sera ti invitano alla “cena del pastore”.
Gentile Massimiliano, volevo segnalarti che non son pervenuti i numeri 406 – 407 – 408 di Tuttus in Pari.
Potresti cortesemente rimandarli per poterli inviare alla nostra mailing list?
Grazie
Il segretario del Circolo
Caro Pietro, ho grossi problemi di collegamento nel luogo di vacanza. Al più presto provvederò a rimandarti i numeri in questione.
E ti ringrazio soprattutto per aver colto lo spirito di “rete” di Tottus in Pari… con la creazioni di altre mailing list.
Grazie di cuore