di Antonio Mannu
«Mi manca l’odore della Sardegna, ed io non sono uno olfattivo. Ma quando atterro a Fertilia e sento l’odore della terra… E’ la terra, no?», chiede conferma Paolo Troffa, sassarese non incline alle romanticherie. Nato il 6 gennaio 1964, attualmente vive a Istanbul, dove ci incontriamo, e fa il direttore finanziario per la Ayaidin-Miroglio, un gruppo tessile italo turco.
Dalla Sardegna è andato via a 18 anni per fare l’Università a Milano. Finiti gli studi torna sull’isola per il servizio militare. «Assegnato a Capo Frasca, bellissimo posto. C’é un poligono di tiro dell’Aeronautica. Venivano caccia inglesi, americani, tedeschi, talvolta italiani. Facevano una picchiata, scaricavano bombe o mitragliavano bersagli da noi costruiti. Oltre a questo facevamo la guardia. Non mi è proprio piaciuto. Pensavo: “Cos’è questo Stato che mi obbliga a far nulla mentre voglio lavorare?»
Archiviato il servizio militare Paolo parte per Londra. «Così arrabbiato che l’istinto è stato andare via, subito, anche se un po’ alla spera in Dio. Comincio a cercare lavoro, non era facile perché il mio inglese era penoso. Poi incontro un sassarese che lavorava per la Fiat, Tanino Muroni. Mi chiede un curriculum ed entro in Fiat anch’io. Per 17 anni». Londra, dal 1990 al ’97, poi l’ Irlanda, come direttore finanziario. Dopo Dublino Istanbul: «Un anno e mezzo, son stato benissimo».
Lasciare l’Inghilterra costa un amore, paradossalmente con una ragazza di Istanbul. Incontrata a Londra, dove studiava, era poi rientrata in Turchia. Su insistenza di Paolo torna, cominciano a vivere insieme, trova un ottimo lavoro. E arriva il trasferimento ad Istanbul! «Destino beffardo! Non ci potevo credere e non potevo dir di no, in Fiat non esiste. Abbiamo fatto per un po’ Istanbul-Londra a vicenda, ma non abbiamo retto e l’amore è finito, sacrificato sull’altare del lavoro». Dalla Turchia trasferimento a Madrid: direttore finanziario per 5 anni. «A Madrid incontro Elena, ci innamoriamo e arriva una bambina, Beatrice». Contemporaneamente arriva una proposta insistente: trasferimento a Torino, responsabile controllo commerciale del mercato Italia. Questa volta Paolo dice no, fa il gran rifiuto e lo paga. Gli viene tolto il contratto di espatrio, poi la posizione. Gli offrono la responsabilità del mercato Lancia in Spagna. Dopo un anno lo liquidano. Si guarda in giro per un po’, poi accetta la proposta di un gruppo francese per il Venezuela. «Stavamo a Maracay, tra Valencia e Caracas, lungo l’autopista di Centro: posto pericoloso. Gli autisti mi dicevano: se ti fermi con la macchina di notte, per qualsiasi motivo, la prima cosa da fare è sparare 3 o 4 colpi in aria, così sanno che sei armato anche tu. Il Venezuela è un po’ un far west, all’inizio ho pensato di prendere un’arma anch’io. Ma mi son detto: errore! Sarebbe cambiato il mio atteggiamento. Senza ero sulla difensiva, prudente, ad esempio non uscivo la notte. Ma non ho mai avuto davvero paura». Da un amico arriva la proposta, subito accettata, di tornare in Turchia: «Istanbul è una città meravigliosa, di cui tollero caos e difetti. Un problema è il traffico, può rubarti un quarto della giornata: mi sono immediatamente dotato di scooter. Adoro il Bosforo, mi piace come si mangia, mi piacciono i turchi, il loro atteggiamento verso noi italiani. Poi amo le grandi città, voglio attività intorno, voglio sentire le sirene la notte mentre dormo, in campagna sono rovinato. Tra i difetti c’è che hanno un pessimo olio di oliva e non importano olio italiano. Per cui l’insalata la mangi con l’olio turco, e non con l’olio casereccio che maneggiamo a casa mia».
Oltre all’odore e all’olio ti manca altro della Sardegna? «Mi mancano la mia vita da ragazzo, la famiglia, gli amici di sempre. Mi manca il nostro mare, che è quasi imparagonabile. Ma è un po’ agrodolce. Vai nelle spiagge ad agosto: paghi 15 euro per parcheggiare e non c’è posto per l’asciugamano. Non ce l’ho con la gente, non cerco la spiaggia solitaria, va bene dividerla, ma con una giusta distanza. Mi piace il centro di Sassari. Quando arrivo la mia bella passeggiata in Largo Cavallotti, piazza d’Italia e un pezzo di via Roma la faccio sempre. Mi sembra ogni volta di più quasi un gioiellino. E se arrivo con qualcuno che non la conosce gli presento il grattacielo. “Quale grattacielo?” mi fanno. Eh, il grattacielo vecchio e il grattacielo nuovo! Ci ho trascorso una bella gioventù a Sassari. Quand’ero ragazzino c’erano ancora i mitici monteleprini. Pelati a zero, armati di tira elastico, bisognava stare in campana perché se li incontravi non era solo storia di cambiare marciapiede, era “aria bascia”, aria di schiaffi se ti andava bene. D’altra parte noi eravamo i fighetti col loden, con le College, le cose alla moda. La greffa dei desperados ti vedeva lontano un miglio».
Cosa non ti piace invece? «Gli pseudo valori, la cosiddetta balentia, l’omertà con cui proprio non vado d’accordo. Probabilmente questo è anche dovuto al trauma del rapimento di babbo, ma non credo sia solo per questo». Pupo Troffa, il padre di Paolo, fu rapito nel 1979. Tornò a casa dopo 743 giorni. C’è dell’altro? «Sì. Tu vai nella riviera adriatica, non è il posto dei nostri sogni: Rimini, Iesolo, Lignano Sabbiadoro. Ma si dedicano al turismo, offrono un servizio e lo fanno bene. Onestamente, da questo punto di vista, ho visto solo il Venezuela peggio della Sardegna. Non vorrei essere frainteso né voglio fare di tutta un’erba un fascio, ma se ci fossero tanti muratori che non lo sono e fanno i muratori quanti sono i baristi, camerieri e ristoratori che non lo sono e lo fanno, ci cadrebbero le case sulla testa!»