"ULISSE ES TOCCHEDDANDE" E' IL LIBRO DI PIETRO SOTGIA, PRESENTATO IN CAMPIDOGLIO A ROMA SU INIZIATIVA DELL'ASSOCIAZIONE SARDA "IL GREMIO" E DI "NUR"

la Sala Pietro da Cortona in Campidoglio, sede della manifestazione


di Antonio Maria Masia

Ulisse es’toccheddande…

In sos campos predosos

caddos han curtu un’istoria ligà

e frottas de massajos chene pane

han sighiu chimeras in s’aèra.

In millennios de mùtria

han fattu estas a deos istranzos

precadorande in limbazzu ‘e teracos,

trazzande una miseria ‘e vida,

e-i sa dignidade ‘e s’anima

catticà da-e millennios d’oscuridade.

Ma cale notte de’ durare eterna?

E cal’ispada dè truncare sa oche

chi oje s’es pesand’in sos desertos

surcaos solu da-e arador de ocu?

Custa terra ded’istender in su mare

sor brazzos de una mamma chen’edade,

naschinde a un chelu non connottu;

sor frores appassios,

in tumbas chene lumene,

han a mandare ischintiddas de ocu:

Ulisse es’ toccheddande…

e chere’ponne pè in custa terra.

E… po sa prima orta

had’a tremmere Antinoo

a su tessinzu d’una tela noa.

Voglio iniziare il mio odierno, piccolo ma intenso viaggio con questa bella persona, con questo splendido poeta, che è Pietro Sotgia, ricordando  i versi che il sommo poeta Dante Alighieri attribuisce, nella Divina Commedia, al suo grande e mitico navigatore di esperienza e conoscenza, al suo Ulisse. 

Il re-eroe d’Itaca, dopo il suo rientro a casa intraprende un ulteriore viaggio alla scoperta di orizzonti occidentali e, lasciato il dolce figlio, il vecchio padre e l’amata Penelope,  si rivolge ai nuovi compagni di viaggio, al fine di incoraggiarli e seguirlo nella impossibile sfida verso il mare sconosciuto, oltre le Colonne d’Ercole, dopo aver superato le coste del Marocco  e l’Isola dei Sardi, con queste famose parole: “considerate la vostra semenza/fatti non foste a viver come bruti/ma per seguir virtute e conoscenza”

 Anche il nostro poeta di Dorgali, con il suo Ulisse, ci chiama a un nuovo viaggio ed al riscatto, bussando alla porta del nostro cuore, dei nostri pensieri, perché ci si apra alla conoscenza, al prossimo, alle cose e alle  persone,  le più lontane  e diverse da noi. 

Ulisse es toccheddande, Ulisse sta bussando…ecco  il verso che dà inizio alla sua Antologia, fortemente voluta e curata dai suoi due giovani amici dorgalesi, estimatori ed  innamorati da sempre della sua poesia, Tonino Fancello e Felì Secci, la moglie di Tonino  scomparsa, ancora giovane, nel 2002, ma non prima di aver scritto la bellissima e coinvolgente prefazione che  “ri-suona”, ora,  come un regalo del cielo.  

Bastano questi versi iniziali per cogliere una prima chiave di lettura e per entrare nel mondo e nei pensieri  di Pietro,  per assaporarne l’emozione, la forza e la tenerezza.

Pietro è emozione, è forza, è tenerezza. Un poeta di grande spessore, capace veramente di commuoverci per aprirci verso sentimenti di solidarietà, di tolleranza, di rispetto e di  amore. Lui ci ricorda continuamente il monito dantesco per la conoscenza.  Posso, con questo ardito riferimento, correre il rischio di essere considerato  eccessivamente benevolo nei confronti di questo Poeta, che stimo fortemente da tempo, ma non essendo  un critico letterario, ma solo un appassionato e innamorato  della poesia, è un rischio che voglio correre e per il quale sarò  certamente perdonato.

Nella poesia di PIETRO SOTGIA ho trovato, e sono certo  anche Voi troverete, quei sentimenti normali, semplici ed umani ai quali spesso ci richiamiamo e che vorremmo ci accompagnassero sempre: l’amicizia sincera, l’affetto,  la pace e l’amore verso il prossimo, il rispetto per la natura anche per le più piccole ed umili cose, il fiore, i colori, il filo d’erba, gli animali, l’acqua, il sole la luna, il vento. C’è    in lui un amore francescano per la Terra e per tutto ciò che sulla terra esiste che ci emoziona e  ci rafforza.  In sintesi  la cifra poetica di Pietro 

Lui ci propone, continuamente e delicatamente, con tenerezza, i veri valori della vita, senza far ricorso a concetti troppo complicati, e ce li propone con versi preziosi e distillati da una antica saggezza, in sardo ed in italiano, indifferentemente. E sono versi  che vanni diritti al cuore, che ci interpellano, che ci interrogano, chi nos toccheddana su coro. Versi a volte amari, perchè descrivono la  sofferenza il  dolore, le fatiche dell’esistenza, del quotidiano, versi  a volte dolci come una carezza, come una brezza a beranu .

Poesie che comunque  alla fine ci lasciano  sempre con  emozione, tenerezza e forza. Sono sillabe, come dice lui, parole poetiche, che provengono da un pensiero vero, da un senso profondo di conoscenza delle cose, da uno spirito di osservazione attento pulito e genuino.

Conoscenza e consapevolezza che si trasformano in discreti, quasi sussurrati, ma nettamente percepibili, suggerimenti, sentenze, ammonimenti. Su questo concetto della sentenziosità voglio ritornare.

  Suggerimenti e ammonimenti sempre  dati in punta di piedi, con totale discrezione, senza mai presunzione, senza atteggiamenti ex cattedra. La scuola e la cattedra di Pietro sono state la campagna, l’alternarsi delle stagioni, la fatica del lavoro contadino, il suo duro lungo  viaggio quotidiano, alla ricerca del  futuro, alla scoperta del sapere e dei sapori.

Pietro riesce a darci questi regali di saggezza e di sana e combattiva reazione con una semplicità e una chiarezza sconcertanti, disarmanti. Non c’è niente da interpretare o di particolarmente ermetico da capire nella sua poesia. Canta  l’uomo e la natura quasi  con l’ingenuità di un bambino. Grandi artisti sono stati chiamati naif (termine che appunto significa ingenuo), per avere avuto questa  magica capacità, questa capacità di sintesi e di narrazione semplice per situazioni e  stati d’animo anche  complessi e difficili.

E Pietro è così, come lo si vede, mite, indifeso, fragile carico di anni,  con questa disarmante, ma determinata capacità di raccontare i suoi sentimenti, e di rappresentarli, con immagini stupende,  quasi pennellate da pittore di alto livello, in maniera candida, pulita efficace.

E ci parla di Sardegna, d’identità, di periodi servili e di dominazioni che hanno annullato la civiltà nuragica e depredato la sua e nostra Terra.

Ma ci offre sempre la chiave del riscatto, e lo fa con una fierezza ed orgoglio ed un senso di appartenenza,  che mai sconfinano nella retorica o nel cosiddetto nazionalismo di bassa LEGA (e questa parola la sottolineo  in maiuscolo e la ripeto:   di bassa LEGA ). 

E ci parla di tanta Sardegna, del  paesaggio, del  mare, dei  fiumi, dei  secoli di solitudine e di abbandono ed ancora  della  redenzione de unu popolu in cadenas richiamato  a rimettersi in piedi  da ULISSE che bussa e chi cheret ponne pè in custa Terra., per riprendersi la sua casa, il suo ruolo, le sue cose, la sua Penelope. 

E  ancora ci parla di amicizia, di ricordi dell’infanzia  con assoluta tenerezza, con versi che trascendono dal personale al generale, a dimostrazione dell’universalità della Poesia di Pietro. La vera Poesia va infatti sempre dal particolare al generale quando è vera ed efficace. 

Parla del tuo piccolo paese se vuoi essere universale, diceva un certo  Balzac. 

E non manca mai  in Pietro,  quell’empito di solidarietà e di attenzione  verso i problemi sociali, presentati sempre  con discrezione e sintesi, che veramente non possono non farci riflettere,  e che, ancora di più, rendono universale la sua poetica.

Un’ultima considerazione, a proposito del concetto sulla  discreta, saggia e solidale  “sentenziosità” della sua  poesia, sia nel versante sardo che in quello italiano.

Mi pare di poter dire che c’è in Pietro tutto il prezioso patrimonio della poesia orale sarda, quella improvvisata e cantata nei palchi dei nostri paesi durante le feste. La poesia dei lunghi silenzi della Terra da cui proviene, la poesia omerica che ben si coniuga con il canto.  

I poeti improvvisatori sono gli aedi, sono i maestri  cantori dell’arte magica dell’improvvisazione in poesia  di concetti, riflessioni, consigli e suggerimenti  sapienziali e filosofici, che, con il verso ed il canto, comunicano al prossimo, alle future generazioni.

E così pure nei versi universali  del delicato e forte Omero di Dorgali, nella sua poesia, sarda o italiana che sia, ma alla fine tutta figlia e frutto della sua profonda sardità, c’è sempre il richiamo, l’ammonimento, lo spunto per il riscatto, per la sana fierezza, per la redenzione per la pace globale, per la tenerezza, per l’amore senza limiti, senza lacanas

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