di Mariella Cortès
Prima del 2008, anno di nascita del progetto “Le strade del tempo”, sapevo poco o niente dei circoli dei sardi. Lo dico con franchezza e onestà perché in Sardegna le informazioni sulle comunità sarde all’estero arrivavano agli “esperti” del settore ma di rado al resto dei cittadini che, in diverse maniere, venivano invece rappresentati da quel fittissimo gruppo che viveva oltre il mare della nostra Isola. In seguito ai primi incontri con le comunità emigrate, ascoltando le storie che venivano a galla senza tante domande, sentendo forte quel desiderio di acchiappare ogni pezzo di Sardegna, di non dimenticare le proprie origini ma, anzi, di farle conoscere ai nuovi amici e conoscenti è come se mi si fosse aperto un mondo nuovo. Sconosciuto ma di grande fascino. Iniziai a raccogliere le storie e a capire che lo stereotipo del circolo sardo come semplice luogo di ritrovo di nostalgici o come “zilleri” non reggeva. Io vedevo voglia di cultura, vedevo persone che dedicavano il tempo oltre il lavoro al circolo e alle varie attività e che valutavano con attenzione il calendario annuale da realizzare grazie al contributo regionale. Vedevo voglia di promuovere la Sardegna a trecentosessanta gradi. Così, nei viaggi di ritorno, iniziai a scrivere sul mio computer quello che vedevo e, di rientro in Sardegna, con grande pazienza, iniziai a studiare con attenzione l’emigrazione sarda dalla fine dell’Ottocento a oggi per realizzare la mia tesi di laurea specialistica. Il titolo che diedi a quella che a breve diventerà una pubblicazione editoriale, fu: “Con noi solo una valigia di cartone”. Un titolo scontato o forse troppo stereotipato per alcuni. Ma per me, quella valigia di cartone erano i ricordi che ogni emigrato ha portato con sé e che, come dei semi, ha fatto germogliare all’estero. La tesi che portavo avanti era molto semplice: i circoli sardi nascono come luoghi di ritrovo,luoghi dove ci si sente meno soli in un luogo nuovo, spesso avverso e dove si ha la sensazione di trovarsi a casa. Con gli anni e con la diminuzione dell’emigrazione di massa (che, in forme diverse continua comunque a esistere e penso che, tra le tante, anche la mia esperienza da emigrata lo possa dimostrare), il ruolo dei circoli è cambiato e da semplici momenti di aggregazione, essi son diventati veri e propri crogioli di cultura. Cambia il significato dello stare insieme, cambiano le esperienze e i contributi che arrivano dall’esterno. Le relazioni, anche grazie all’uso appropriato dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, diventano più strette e ci si confronta di più, soprattutto con le realtà locali.
L’interesse dei circoli sardi in Italia e Europa che ci hanno accolto (Milano, Peschiera Borromeo, Cinisello Balsamo, Pavia, Pisa, Piacenza, Udine, Gorizia, Rovereto, Ginevra, Losanna, Basilea, Zurigo, Lucerna, Bodio, Charleroi, Mons) e di quelli che stanno valutando il nostro progetto per il loro calendario è un dato da non sottovalutare. “Le strade del tempo” è un progetto culturale, orientato a un target vasto d’utenza (giovani e meno giovani) e mirato a riportare la Sardegna nel cuore dei sardi che stanno lontani e che, al contempo, vogliono far conoscere la storia e la cultura della propria terra ai propri concittadini preparando, in molti casi, una viaggio culturale. Ma “Le strade del tempo” non è che una goccia in un mare di iniziative culturali che le comunità emigrate, pur con tante difficoltà, riescono a portare avanti. Proprio in questi giorni sfogliavo il gradito dono del Circolo Logudoro di Pavia, una serie di pubblicazioni con resoconti di iniziative a carattere culturali, collaborazioni prestigiose e raffinatezze di vario tipo; ripensavo al prestigioso circolo di Milano, punto fisso nel cuore di Milano che, dopo un complesso travaglio ha nuovamente la sua sede, il suo luogo fisico dove proseguire un lavoro eccellente; penso ancora alle molteplici attività del Circolo di Peschiera e alla tenacia della sua presidente, Elena; all’energia solare di Domenico e Adelasia del Circolo di Udine che collaborano strettamente con la realtà friulana; ancora alle innumerevoli iniziative di solidarietà del circolo di Pisa e alle lacrime pensando di dover lasciare la sede storica; mi vengono in mente i racconti relativi alle strette collaborazioni con la realtà piacentina del Gremio di Piacenza e all’entusiasmo di Cinisello Balsamo e di tutti i circoli visitati in Italia. C’è poi la Svizzera che per prima ha accolto il progetto e che ha fatto scattare in me il desiderio di raccontare l’emigrazione sarda. La “Svizzera sarda” che riuscì ad andar oltre la xenofobia, quella che vidi brindare, prima della chiusura, insieme con comunità emigrate di varie parti d’Italia e con gli stessi svizzeri nella sede del Circolo di Basilea dopo un pomeriggio dedicato alla civiltà nuragica; ma soprattutto mi viene in mente la vicenda di Lucerna dove gli emigrati italiani, per dare sostanza al loro voler stare insieme, per avere una loro sede fisica si son rimboccati le maniche, in tutti i sensi, mettendo a disposizione le loro capacità per dar vita all’imponente centro Giovanni Paolo II che Antonio Mura ci ha fatto visitare con gli occhi gonfi d’orgoglio, mostrando il suo nome campeggiare all’ingresso tra i lavoratori del Centro. La lista delle cose che quotidianamente sento e vedo è potenzialmente infinita. Ma ancor più infinito è stato il mio stupore nel leggere dei tagli dei fondi ai circoli sardi. È una considerazione che trovo offensiva, per la maniera in cui è stata proposta e irrispettosa dell’azione dei centinaia di migliaia di sardi che, in giro per il mondo, promuovono la storia della Sardegna.
Ben comprendo che in un momento di crisi quale quello in cui ci troviamo i tagli vanno fatti. Ma non si può tagliare su un qualcosa che può generare introiti per la Sardegna. Mi riferisco alla promozione dell’agroalimentare, del canto e delle espressioni folcloristiche nella loro totalità, della storia e della cultura, della lingua e dell’organizzazione di viaggi tematici in Sardegna. Perché non studiare questa potenzialità, attualmente messa quasi in secondo piano, per smuovere le acque della crisi in Sardegna? La cifra dei circa seicento mila sardi che vivono all’estero deve far riflettere e non essere mai messa sotto il tavolo. La storia dell’emigrazione sarda è un tassello della nostra storia di sardi e di italiani. L’abbiamo ribadito parlando dell’importanza degli emigrati nelle vicissitudini dell’Unità d’Italia e, oggi più che mai, a pochi mesi dal termine dei festeggiamenti per i 150 anni, in un momento di crisi dove diviene fondamentale rimanere saldi alle tradizioni, alle origini, è necessario rimanere uniti promuovendo le eccellenze e le menti che, in ogni parte del mondo, non perdono di vista la propria terra.
Mariella grazie delle tue riflessioni:servono a noi per rileggere il nostro percorso, ma come al solito non serviranno ad altri che, ciechi e sordi, continueranno a snobbare noi e il nostro lavoro. Continueremo, finchè potremo, con le nostre forze e le nostre risorse, ma prima o poi dovremo mettere un punto. Si sono mangiati la nostra isola, pezzo a pezzo e in maniera trasversale: a noi, Sardi di fuori, o Sardi nel mondo, come preferisce il nostro Assessore, quasi profetizzando l’ulteriore diaspora del popolo sardo, possono al massimo portarci alla chiusura dei circoli…il pensiero va a chi resta: ma quanti, e per quanto tempo ancora?
Grazie Mariella del bel articolo che ci hai regalato. Ciò lo voglio dire a titolo personale, ma penso sia il parere di tutti gli amici, di tutti i circoli e in Italia e nel mondo. Però a fronte di ciò ci sono anche delle considerazioni da …fare e che ho sentito da tanti… noi continueremo, finchè potremo, con le nostre forze e le nostre risorse, ma prima o poi dovremo mettere un punto (così scrive l’amica Adelasia Divona da Udine). Ed altri ancora sempre dello stesso tono. Riusciremo ad andare avanti, e per quanto tempo ancora?
ti voglio bene mariè!:*
Cara Mariella tuo articolo è molto bello .so che non piacerà quello che dirò però ribadisco ancora una volta che ho nostalgia dei tempi dove al circolo tutto lo facevamo con nostro lavoro ,tempi di vera fratellanza e unione ,eravamo una sola grande famiglia dove si condivideva tutto lavoro e sacrifici ma anche allegria e gioia di ogni traguardo e di ogni progetto realizzato insieme .
l’arrivo dei contributi ha rovinato tutto purtroppo ,è finita l’armonia e i circoli sono diventati tutt’altro che luoghi di ritrovo e accoglienza … parlo sempre della mia esperienza argentina .i circoli ben potevano autofinanziarsi con sedi aperte realizzando attività diverse :corsi di lingue,informatica ,balli tradizionali ,cucina , attività sportive ,turismo e tanto altro come fanno tutte le altre associazioni italiane delle altre regioni .