di Annalisa Atzori
Vittore Bocchetta, nato a Sassari, oggi ha 93 anni, personaggio carismatico, lascia un segno profondo se lo senti parlare. Al momento dell’armistizio faceva parte di uno stretto numero di partigiani, di uomini che avevano il coraggio di avere una propria idea. Al suo rientro dai campi di concentramento di Flossenburg prima e di Hersbruck poi (rientra in Italia nel ’45), molti si facevano passare per partigiani per sfuggire ai Giudici dell’Epurazione, anche se, di fatto, non avevano combattuto attivamente per la Resistenza: Bocchetta, che era testimone oculare di fatti ancora oggi argomento di discussione (come ad esempio il processo ai medici nazisti che facevano esperimenti sugli esseri umani), forse per cercare di “tenerlo buono” fu nominato Giudice dell’Epurazione. Vittore prova ancora oggi vergogna di ciò, è una parte della sua vita che vorrebbe non aver mai vissuto; hanno provato a corromperlo, a pagarlo per fare dichiarazioni false che avrebbero condannato uomini giusti come Michele Lecce, suo mentore in passato, colpevole solo per aver scritto un libro dove parlava di un fascista. Bocchetta coraggiosamente rinuncia ai suoi privilegi di giudice e diventa invece testimone a favore, riuscendo a salvare Lecce.
Di contro, volevano addirittura che scagionasse il dott. Carretto, responsabile delle Casermette di Montorio Veronese, che faceva parte delle “Brigate Nere” ed era artefice di crimini inauditi.
Come sempre, anche allora, venivano condannati i poveri che avevano la tessera del Fascio solo per poter lavorare, mentre chi con il Fascismo si era arricchito a scapito di altri restava impunito.
La scelta di non essere più giudice lo porta però a subire ritorsioni dagli stessi che con lui avevano combattuto per la libertà ma con un concetto meno nobile. Costoro purtroppo erano spesso viscidi opportunisti, che magari avevano, sì imbracciato il fucile contro i tedeschi all’insegna della libertà, ma in realtà erano ignoranti reazionari che non volevano cambiare in meglio la società, ma semplicemente sostituirsi ai predecessori con la stessa arroganza. Per non macchiare la sua coscienza con l’onta dell’ingiustizia ed evitare costrizioni scappò in Argentina, Venezuela e poi Chicago, negli States. Qui insegna letteratura comparata all’università e sviluppa la sua vocazione artistica, diventando valido scultore e pittore. Torna a Verona nel 1989: suoi sono il monumento agli eroi “gappisti” dell’assalto al Carcere degli Scalzi (liberazione del dirigente comunista Roveda) e il monumento a Mons.Chiot cappellano, dello stesso carcere, che cercò di dare consolazione con uguale umanità agli antifascisti costì rinchiusi, così come a Galeazzo Ciano ed agli altri membri del Granconsiglio in attesa del processo che li portò alla fucilazione (per la storia: Processo di Verona).
Rispondendo ad una domanda di Maurizio Solinas, che gli chiede di ripetere la definizione di libertà data tramite un’intervista apparsa sull’Unione Sarda, Bocchetta usa parole audaci e che fanno molto riflettere “Libertà è solitudine. Non puoi essere libero se il tuo vicino dipende da te. Non sono liberale, non sono liberista, sono un liberatore” ed aggiunge una domanda “Cos’è la giustificazione, parola troppo spesso usata? E’ fare giusto ciò che non è giusto. … In inglese esiste una parola, remedy, che significa rendizione, restituzione….Un crimine non va punito, va recuperato”
Una storia simile a Bocchetta l’ebbe Giovanni Solinas. Tenente degli Alpini, convinto da Pietro Meloni (leggi Tottus in Pari 5-5-2012) a passare da credo “azionista” a “comunista”. Un giorno viene invitato ad iscriversi all’ANPI da tale Bruno improvvisatosi patriota, Solinas respinse sdegnato la proposta perché conosceva fin troppo bene il personaggio: renitente alla leva passò l’ultimo anno di guerra nascosto e sfamato nella soffitta della famiglia Solinas. Giovanni invece aveva usato le armi contro i fascisti ed i tedeschi. La cronaca del tempo segnala i fatti più importanti di cui fu protagonista Solinas: “4 luglio 1944 – Roverè Veronese, località Albero Matto, attacco al comando GNR con disarmo e bottino; 13 luglio 1944 –San Bortolo delle Montagne, località Zovo, scontro armato con i nazi-fascisti che per rappresaglia rastrellavano nella zona alcuni civili, vi furono parecchi nemici uccisi e grasso bottino d’armi pesanti; 9-15 settembre 1944 rastrellamento di alcune valli della Lessinia per liberarle dalla presenza dei nazi-fascisti; 24-30 aprile 1945 rastrellamento della zona tra l’Adige ed il Lago di Garda con disarmo di truppe tedesche in fuga, liberazione di Bardolino del Garda”. Aver rifiutato la tessera dell’ANPI lo rese inviso al reparto investigativo della polizia partigiana di Verona che lo screditò, perciò, nonostante le testimonianze, i molti attestati di stima e di merito, gli venne riconosciuta la qualifica di partigiano combattente solo nel 1977, peccato fosse morto da quattro anni.
Solinas, allora giornalista, con Bocchetta ed alcuni amici poeti e bravi disegnatori, tra i quali Mario Salazzari che divenne uno dei maggiori scultori veronesi (sue opere più conosciute: Monumento al Partigiano e i magnifici Cavalli del Ponte della Vittoria), animarono la vita di Verona, nel periodo dell’occupazione americana, con un giornale satirico molto piccante “Il Mastin della Scala” che metteva in luce le malefatte dei fascisti che si volevano assolvere ed i peccati di chi li voleva assolvere. Non ebbero vita facile, subirono molte intimidazioni e querele, Solinas venne minacciato di morte più volte.
Due storie epiche tra le tante di emigrati sardi che hanno contribuito a costruire l’Italia libera. Dall’interessantissimo volume di Tonino Mulas “Antifascisti e partigiani sardi” ogni circolo dei sardi dovrebbe trarre spunto per rivalutare costoro, molto spesso dimenticati od oscurati dalla retorica o da figure più note e più facili da ricordare. Una buona occasione? Il prossimo 25 Aprile!