di Sergio Portas
Questo venticinque di aprile ci mancherà non poco l’articolo di prammatica di Giorgio Bocca sulla “festa della liberazione”, lui che la guerra partigiana l’aveva combattuta per davvero non riusciva proprio a mandare giù il rivolgimento cultural-politico a cui ha portato quel triste periodo storico che, speriamo definitivamente, ci siamo lasciati alle spalle. Con i governanti la Nazione (leggi i vari Fini, Alemanno, Storace, Gasparri, Larussa, tutti sodali e a tempo debito ministri del grande sdoganatore la destra estrema italiana) costretti, malgrado loro, a presiedere la festività che sanciva la definitiva sconfitta della parte a cui loro facevano riferimento, durante lo svolgersi della seconda guerra mondiale. A dover leggere, in occasione di cerimonie istituzionali, quei bollettini cantanti vittoria del CLNaI che dichiaravano definitivamente sconfitto l’asse nazi-fascista, lo stesso Comitato di Liberazione che, sorto immediatamente dopo l’8 settembre del ’43, la fuga del Re e il collasso dell’esercito italiano, era espressione di quei partiti che avrebbero scritto la nuova Costituzione della Repubblica. Come se Angela Merkel, cancelliera di Germania, avesse voluto nel suo ministero gli epigoni nazisti di Adolf Hitler. Scriveva Antonio Tabucchi (un altro che ci mancherà non poco con la sua penna) nell’ormai lontano 2001 rivolgendosi al presidente della Repubblica Azelio Ciampi: “…Lei ritiene plausibile che non in un paese sudamericano ma in una democrazia parlamentare occidentale, un uomo che possiede catene di giornali, case editrici e varie televisioni possa agire per l’interesse pubblico e divenire Primo Ministro? Non pare anche a lei che se così fosse l’Italia sarebbe definitivamente legata e imbavagliata? Non Le pare che un eccesso di potere di questo genere prefiguri una nuova forma di totalitarismo?” ( Micromega 2001). In attesa di diventare tutti Tabucchi è uscito da poco per Einaudi un libro, il suo primo, di Paola Soriga, la sorella del più noto scrittore Flavio ( che esista anche in qualche ansa del DNA il cromosoma della letteratura?), anche lei nativa del Campidano di Uta. E andateci a Uta, una volta nella vita, se non altro per la chiesa romanica di Santa Maria, situata solitaria appena fuori paese, considerata tra le più integre e importanti di tutto il cagliaritano. E Monte Arcosu è lì a un tiro di schioppo con l’oasi naturale del WWF. Il posto doveva piacere anche ai nuragici del 600 a.C. che ci hanno lasciato i bronzetti ora al museo di Cagliari, scrive Giovanni Lilliu nella sua “Civiltà dei Sardi” (ERI ed.1980): “ I bronzetti sono stati classificati in due stili ben distinti, uno “geometrico” detto di Uta-Abìni, e l’altro libero detto detto “barbaricino-mediterraneizzante”. Quelli di Uta sono di formazione e di contenuto cortigiano aristocratico e sceglie i soggetti nella classe di governo e di culto, nel mito e nel trascendente.” (pag.332) I fratelli Soriga invece che rame e stagno maneggiano con estrema abilità le parole, stupisce che al suo esordio Paola abbia trovato estimatori davvero entusiasti come Concita De Gregorio che su “Repubblica” del 7 marzo u.s., cominciando dalla prima pagina (e scusate se è poco!) le dedica un lunghissimo articolo per tutta la pagina 41, titolo: “La Storia Ritrovata”, il romanzo della resistenza scritto da una ragazza di oggi. “A dirci dove ritrovare le parole e le emozioni, le ragioni collettive che tengono dentro le storie di tutti…E’ Ida Maria, una ragazzina sarda sbarcata in continente giusto in tempo per scoprire cosa sia l’amore mentre arriva la guerra, una piccola staffetta partigiana che si nasconde per giorni sottoterra, nelle cave di Roma ad aspettare che finiscano gli spari”. E’ una staffetta partigiana scarsamente consapevole di quello che fa la nostra Ida, ma tant’è: il caso le fa frequentare una tipografia in cui si stampa “l’Unità” e “Ida ci passava i pomeriggi…le scuole avevano riaperto tardi…in quella scuola nuova, in realtà, si era sentita persa e un po’ infelice, e alla ricreazione qualcuno le aveva detto sardignola, e anche burina, le avevano detto…assieme a Rita la distribuivano, le copie ancora calde nascoste tra i vestiti sporchi nella cesta, o in quelli addosso…” (pag.61). E’ l’estate del ’43 e sembra che gli americani siano sempre lì lì per arrivare, tra qualche giorno, qualche settimana. “Dove finisce Roma” si intitola il libro, che manda fuori Einaudi per i suoi “Stile Libero”, e Roma è per davvero grande e onnipresente per tutto il susseguirsi delle pagine con le sue piazze magiche del Pantheon e fino a Santa Maria Maggiore e poi a piazza Vittorio, fino a salire sul tram a Porta Maggiore. Come vive la “Storia” una ragazzina sarda campidanese di undici anni che viene mandata nella capitale, dove vive la sorella sposata ad un “normale fascista”, perchè tanto lì c’è il Papa e allora non bombardano? “ La notizia dell’armistizio Ida l’aveva avuta, come li altri, dalla radio della trattoria di piazza dei Mirti. Da due giorni a discutere, cercare di capire, domandarsi cosa fare adesso, è finita questa guerra oppure no? ma come fa a essere finita con ‘sti tedeschi dentro casa? hanno pure liberato Mussolini, e la Repubblica sociale italiana, mò, ma che è, e Badoglio e Vittorio Emanuele III sò scappati, scappati, il re è scappato, tutti in Puglia. E mò che hanno sciolto l’esercito che fanno ‘sti soldati? E’ finita o non è finita?” (pag.57) Scrive ancora Concita De Gregorio: “La Resistenza, la guerra: gli anni in cui tutto rovinava e insieme cominciava daccapo, si combatteva e si moriva coi torti e le ragioni confuse e nitide insieme”. Le è piaciuto proprio questo tentativo di “banalizzare il male” che fa Paola Soriga, dice che non è la prima a provarci, ma è la prima a riuscirci con una precisione definitiva, che commuove per la semplicità e consola per la sapienza. Questa Ida che quando è partita dalla Sardegna, era il 1938, aveva i capelli neri e dritti e la pelle di un’oliva, i suoi giorni erano stati tutti dentro il paese. E dove se no, e meno male che è brava a scuola e quindi le fanno frequentare anche le medie. L’anno prima, giusto il 27 di aprile del ’37, era morto Antonio Gramsci, un grande della sua terra, uno che la Resistenza l’aveva fatta nelle carceri fasciste. Non per niente in quell’aprile del ’45 sfilarono in migliaia davanti alla sua tomba nel cimitero romano. Di lui sicuramente Ida mai aveva notizia alcuna, di certo avesse avuto la sorte d’incontrarlo avrebbe cominciato a parlare con lui in sardo, fitto fitto, come fa con Benedetta, sarda che è a Roma a fare la serva di una famiglia d’ebrei ricchi, destinata dalla sorte a una sparizione nelle nebbie tragiche dell’Olocausto. C’è anche un poco di intercalare sardo nel libro,del resto nonna Lucrezia l’italiano proprio non lo poteva saper parlare e quando racconta della povera Luigina, quella un po’ matta, che è sempre davanti in processione, picchiata da una squadraccia fascista:” Sa pippia, una macchina prena, Luigina sa scrutza, pariada ca fiadi arriendisindi, is croppusu is croppusu, sciàdada, Luigina. Maladittusu.” (l’autrice non dà traduzione, e io neppure). Nella quarta di copertina del libro si legge che Paola Soriga nasce a Uta nel 1979. Ha studiato letteratura a Pavia, Barcellona e Roma, dove adesso vive e lavora. Dedica il libro “alle donne della mia famiglia”. “Si sente senza che pesi anche un lavoro lungo, di cesello del suono e della lingua alla ricerca di una semplicità di stile che riporta alla memoria “Il sentiero dei nidi di ragno”di Calvino”. (sempre Concita). Insomma un esordio letterario fuori dal comune, un libro assolutamente “italiano”per scrittura e struttura ma che inevitabilmente per noi sardi ha sapore di paese, come se riconoscessimo tra le righe un sapore di vicinato, di casa. Come quei bronzetti di cui diceva Lilliu: “Le statuine… non sono del tutto fuori di noi. Anzi, esse riflettono in noi, sopratutto in noi Sardi che siamo i più prossimi discendenti, una presenza storica peren
ne, una realtà comune”.
Sì L’HO LETTO SUBITO ,SENZA FERMARMI MAI:BELLA SCRITTURA .ORIGINALE ANCHE IL RACCONTO DELLA STORIA E DI ROMA ATTRAVERSO LA PROTAGONISTA GIOVANISSIMA