CENTOMILA GIOVANI SARDI NELL'INFERNO DEL PRECARIATO: I DATI ISTAT FOTOGRAFANO I NUMERI TERRIBILI


di Umberto Aime – Nuova Sardegna

C’è gran poco da divertirsi nella giungla del precariato. Soprattutto in Sardegna, dove scarseggia (eufemismo) non solo il posto fisso, la disoccupazione giovanile è sul baratro del 40%, ma ha messo radici anche un laboratorio senza regole popolato da dipendenti a termine, settantamila, e parasubordinati, ventinovemila. È molto più di una folla. Sono i novantacinquemila sardi – lo dice l’Istat – dai 15 ai 30 anni ostaggio di contratti a termine, a progetto, collaborazioni continuative e altri surrogati. Su questo fronte, popolato da chi invoca la stabilizzazione, l’uscita del professor-premier Monti («Posto fisso che monotonia») è stata una scudisciata. Basta sopportare qualche ora alla scrivania-trappola di un call center, sono quasi diecimila i sardi costretti a farlo ogni giorno, oppure mettersi in fila davanti ai banconi delle agenzie interinali, una ventina fra Cagliari e Sassari, per scoprire che la generazione degli «usa e getta» da parte di imprese più o meno spregiudicate, non si diverte affatto. Anzi, grida e combatte, dentro e fuori questi uffici dove è atipico non solo il lavoro, ma lo sono anche le più elementari norme sulla sicurezza: stanze strapiene, cavi volanti, prese ballerine e seggiole traballanti.  «Sono prigioni», ha denunciato un mese fa quel sindacato mai ammesso nelle fabbriche del precariato o se c’è mal sopportato in queste bestiali catene di montaggio. «È una situazione disastrosa», ha scritto pochi mesi fa la Direzione del lavoro dopo aver monitorato per un due anni un «mondo dove le vittime sacrificali sono soprattutto laureati con un’altissima percentuale di donne», secondo il rapporto 2011 del Centro studi relazioni industriali dell’Università di Cagliari. «Purtroppo è un pianeta zeppo di illegalità», sono state le parole ancora più dure dell’ex ministro del Lavoro, nell’ultimo governo Prodi, Cesare Damiano, al convegno «Precari senza diritti», organizzato a Cagliari dall’associazione Jan Palach. Basterebbero queste denunce per dire che la battuta del Professor Monti sulla “deprecata routine del posto fisso”, i dannati del precariato non riescono proprio a digerirla. Servono altre prove? Sono dentro la Rete, a cominciare da quelle custodite dal forum «La Repubblica degli stagisti», stanza virtuale di indignazione e protesta, aperta sull’onda di una frase fulminante, questa sì, del giornalista Beppe Servegnini: «L’Italia è una Repubblica fondata sugli stage». Appunto. Ebbene, il caso Sardegna dagli amministratori delle pagine su Internet è analizzato, setacciato e poi liquidato con uno zero spaccato: è fra le regioni messe peggio in Italia, la sentenza. Non solo per le nefandezze commesse da micro o macro aziende private, ma anche della Regione. Tre sono le news dedicate da «Repubblica stage» agli ultimi voucher dell’assessorato al Lavoro «che dovrebbero favorire l’occupazione giovanile – si legge – ma da noi bollati come i tirocini della vergogna, perché sono pasticciati, inutili e destinati solo a professioni di basso profilo». Con un diritto di replica concesso l’indomani al direttore dell’Agenzia regionale del lavoro, che dopo aver rintuzzato l’attacco, si è augurato «la prossima contrattualizzazione di almeno il 30% dei corsisti». È di un ottimismo esagerato, sconfessato subito dalla Direzione del lavoro, nel monitoraggio citato: «In Sardegna, la stabilizzazione non va mai oltre il 2,6%». È un’altra delle beffe, nella giungla dell’instabilità, che ancora sulla Rete rivela di aver accettato clausole capestro per necessità. Lo ha confessato, al Pc, anche Telefonista disperata in un blog aperto nel 2006, all’indomani del successo di “Il mondo deve sapere”. È il titolo del diario tragico-comico scritto sei anni fa da Michela Murgia sui suoi trenta giorni in una stanzetta votata al telemarketing, che comincia così: «Ho iniziato a lavorare in un call center. Quei lavori disperati che ti vergogni di dire agli amici… È un gulag svizzero…». Da allora nulla è cambiato, l’inferno è ancora lo stesso. Nella Grande Rete hanno trovato asilo anche i capipopolo degli oltre 300 precari dei Centri servizi per il lavoro, notare il paradosso, che una settimana fa hanno occupato l’assessorato, a Cagliari, e poi rilanciato su You Tube il video in cui annunciano: «Stiamo per essere messi alla porta da un’amministrazione pubblica (la Regione) che vuole riaffidare all’esterno quello che noi abbiamo tirato su per cinque anni». È la stessa sorte segnata per i vigili urbani (precari) di Oristano, le assunzioni (a tempo) promesse da diverse Asl, o da imprese di pulizie. Sono quelle che vincono gli appalti pubblici al ribasso, ma dopo pochi mesi non riescono più a pagare gli stipendi e senza riguardo abbassano la serranda sulla testa di ormai ex atipici. Che, abbattuti, crollano nel pessimismo e qualcuno di loro dal tunnel non è più uscito.  «Di precariato si muore», ha scritto uno psicologo e in Sardegna c’è chi è morto davvero. Suicida, un ragazzo a Cagliari e uno a Sassari, entrambi dopo essere stati scaricati. «Davanti a tutto quello che accade nella nostra isola di occulto o palese nel mondo lavoro – hanno scritto i segretari regionali di Cgil, Cisl e Uil – è proprio difficile capire il significato che il presidente Monti ha voluto dare alla sua recente esternazione televisiva sulla monotonia del posto fisso». È ancora incomprensibile, il significato, perché «a noi precari, ogni giorno, non è negato solo il piacere di vivere l’oggi… siamo condannati all’incertezza eterna», postato, da una Telefonista sempre più disperata.

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