IL TURISMO IN SARDEGNA, UN SETTORE PRIVO DI VISIONI STRATEGICHE. IL PARERE DI BENIAMINO MORO, UN AUTOREVOLE ECONOMISTA

banchina del porto di Livorno


di Mario Frongia – Sardegna Economica

L’affitto di navi da parte della Regione per calmierare i costi di trasporto dei passeggeri da e per la Sardegna in vista della stagione estiva, è una soluzione peggiore del male che s’intende curare e denota l’improvvisazione e l’incapacità della classe dirigente regionale di risolvere seriamente e per tempo il problema della continuità territoriale.

Beniamino Moro non cerca scorciatoie. Il tema è caldissimo. Le analisi socioeconomiche, anche se di estrazione differente, hanno lo stesso comune denominatore: nel varare la flotta estiva, la Regione Sardegna rischia di infilarsi in un ginepraio dai confini incerti. Il professore taglia corto: La Regione non è un operatore economico che possa fare concorrenza ai privati nei servizi di trasporto, anzi non la deve proprio fare, secondo le regole comunitarie.

Un’operazione che si annuncia complessa. E anche particolarmente onerosa. In realtà, ciò che la Regione sta realmente facendo è pagare coi soldi dei contribuenti gli enormi costi di un’operazione sbagliata e in perdita, fatta per motivi politici e senza un effettivo calcolo economico. Non è così che si amministrano i soldi pubblici, di tutti noi. Questa giunta, che non ha una visione strategica dei problemi dello sviluppo, sta facendo molti errori, non di meno di quelli fatti al riguardo dalla precedente Giunta.

Beniamino Moro, classe 1945, originario di Tiana, ordinario di Economia politica all’ateneo di Cagliari, con un curriculum sontuoso in ambito nazionale e internazionale. Professore, cosa si intende per turismo? Su questo concetto c’è molta confusione. Si fanno passare costruzione di alberghi, ristoranti, bed and breakfast, attività di servizi che nulla hanno a che fare con la nozione di turismo.

E invece? Per turismo intendiamo la produzione di beni e servizi destinati a soggetti non residenti nell’area di riferimento. La nozione tecnica implica che si tratti di beni e servizi prodotti e venduti a soggetti non residenti in Italia. Questa definizione è accolta nella contabilità economica nazionale, fa testo nelle politiche internazionali, delimita uno scenario preciso.

Può fare un esempio? Il bed and breakfast non “fa” turismo quando accoglie il milanese o il cagliaritano che trascorre un fine settimana. Una definizione più estesa, che non coincide con quella internazionale, ha senso dal punto di vista regionale: sono turisti anche i nostri connazionali. E gli stessi effetti moltiplicatori di reddito sono gli stessi e possiamo non distinguere tra soggetti esteri e residenti nazionali.

Quali sono le implicazioni? Che le normative sul comparto, incluse le leggi di incentivazione, sono tarate male anche perché non hanno come target questi obiettivi. Così, nella migliore delle ipotesi, si fa un calderone senza senso. Nella peggiore, utilizziamo una definizione di turismo adattandogli norme che non sono tagliate per il comparto ma per altri obiettivi non dichiarati.

Quali? Distribuire soldi per far sorgere l’alberghetto, il bed and breakfast o il campeggio. E’ questo il primo grande nodo.

Il secondo? La continuità territoriale. Se con un’opera di promozione non aumentano i flussi turistici vuol dire che l’efficacia delle nostre politiche è contenuta. E qui emerge il problema della continuità territoriale. Una questione annosa, che ci trasciniamo da vari decenni, vecchia quanto almeno il problema dello sviluppo economico regionale.

Approfondiamo. La continuità territoriale non riguarda solo il turismo. E la soluzione non è per niente facile. Vanno trovate risposte che siano comunque di mercato e che, quindi, rispettino l’esistenza di operatori del servizio di trasporto con i quali prefigurare qualche forma di accordo. Per risolvere il problema non si prescinde da accordi con questi operatori. Solo così, coinvolgendo vettori aerei e navali, si può risolvere il problema.

Qual è il primo passo? La scelta degli operatori dipende dalla contrattazione. La soluzione del problema dovrebbe essere al 100% economica e con zero margini per la politica. Invece, abbiamo una situazione rovesciata: la politica pesa per l’80-90%. E forse sono generoso.

Cosa avrebbe dovuto fare la Regione? Intanto, senza approfondire i vari perché, non è riuscita neanche a impostare la soluzione del problema su presupposti di natura economica. Sono stati fatti vari tentativi, qualcuno ha funzionato un pochino, ma ora siamo fermi. Questo, non implicava abbandonare il metodo, ma semplicemente ridiscuterlo. Tornare alla carica con i vettori e gli operatori per rielaborare meccanismi idonei. La Regione può mettere sul piatto una certa fetta di soldi pubblici. Questo è e sarebbe stato il modo corretto di affrontare la questione.

Invece, cosa è successo? La politica non è riuscita a contrattare con gli operatori una soluzione alla continuità territoriale. E allora ha pensato di bypassare questo metodo per andare a una soluzione diretta. Con risultati disastrosi.

In breve, la creazione della Flotta Sarda è deleteria? Si. Non è pensabile l’abbandono della contrattazione con gli operatori privati che fanno questo di mestiere. La Regione non dovrebbe farlo per nessun tipo di attività produttiva perché non è un operatore economico. Non è in grado di gestire attività economiche che abbiano un minimo di efficienza. Se lo fa, è una follia. Nel momento in cui ha capacità organizzativa deve utilizzarla per essere efficiente nell’organizzazione dei servizi verso gli enti pubblici collegati. Noi non dobbiamo chiedere alla Regione né posti di lavoro, né di produrre beni o servizi.

E invece cosa si deve e si può chiedere? La Regione deve essere efficiente nella produzione legislativa.

E se la Flotta Sarda dovesse funzionare?  Supponiamo che i traghetti vengano affittati e navighino, si tratterà di una soluzione non a prezzi di mercato. Ovvero, sarà fatta a costi elevati, non competitivi con quelli privati. E la differenza consisterà in un fatto: si useranno soldi pubblici del contribuente per ripianare l’eccesso di costo. O meglio, con le nostre tasse si pagheranno i biglietti navali a quanti, residenti o meno, andranno e verranno d’estate in Sardegna.

Un giudizio sull’assessore regionale al turismo, Luigi Crisponi? E’ un bravo operatore economico del turismo e ha avuto successo perché è una persona seria e riflessiva. Inoltre, capisce al volo il problema e sono sicuro che, se tutto dipendesse da lui, saprebbe risolverlo. Ma il guaio è che non ha forza politica autonoma e da solo non può ribaltare un meccanismo squisitamente politico. La politica dice che è interessata al problema ma in realtà lo agita per apparire concentrata sulla risoluzione.

Nel 2011 a Cagliari sono arrivate 160 navi con oltre 200mila croceristi. L’esempio più evidente di come la Regione e Cagliari, non sappiano affrontare il fenomeno turistico. Che la città sia diventata meta importante per le crociere non dipende certo da attività e politiche di promozione costruite a tavolino. Le istituzioni locali si sono viste arrivare queste navi mastodontiche senza che ciò sia frutto di programmazione. Se ci sono meriti, vanno date all’Autorità portuale guidata dall’ingegner Paolo Fadda. Non un politico ma un professore universitario.

Su questo segmento si può investire con effetti duraturi? Cagliari ha appeal, è una bella città, le crociere sono una buona chance. Però bisogna seguire l’esperienza commerciale americana: a qualsiasi ora, festivi o meno, si devono trovare negozi, gallerie, market e musei aperti. Da noi accade il contrario, anche a causa della nostra cultura. E se non si risolve questo problema, Cagliari non sarà mai una città turistica.

Professore, in generale, lei come la vede? Non sono né ottimista né pessimista, sono realista. Cerco di rendermi conto di quel che è possibile fare. Purtroppo, dipende molto dalla politica.

Servirebbe una classe politica rinnovata? Anche. Intanto c’è un deficit di politica irrisolto. Ed è condizionante perché le risorse più ingenti sono nelle casse regionali. Se vengono sprecate e diluite in una miriade di rivoli e servono semplicemente a fare clientelismo, mancano per la risoluzione dei problemi. In Sardegna abbiamo una cattiva politica.

Un vecchio argomento: la stagione allungata. Da dove si parte? La premessa economica è obbligata: la Sardegna ha nel clima una risorsa naturale che può sfruttare al meglio come qualsiasi risorsa. La politica non la coglie perché non è in grado di coglierla. Serve intelligenza e capacità di organizzare le modalità con cui sfruttarla. Ci vuole una politica capace di accordarsi con gli operatori interessati. Bisogna andare sul mercato e confrontarsi con i tour operatur che inviano turisti e convegnisti nelle varie parti del mondo. Se si riesce a fare accordi giusti con le persone giuste, si risolve. Come hanno fatto nel Portogallo e alle Canarie.

Il golf in Sardegna può essere una risposta? Si. Conosco Algarve: una realtà che mi ha colpito per la trasformazione fatta dal territorio. A me non è piaciuta: una città di 60mila abitanti, in certi periodi totalmente vuota e in altri al completo. L’impatto fa impressione: in un deserto si vede una città immensa.

E’ un modello applicabile dalle nostre parti? Il golf in Sardegna è una opzione interessante. C’è anche una legge regionale che può aiutarne il decollo e favorire l’arrivo dei vacanzieri nella bassa stagione. Però l’idea non è solo sarda, Bisogna inserirsi in un contesto che sta già correndo.

Quale dovrebbe essere il ruolo della Regione? Può appoggiare queste iniziative e agevolarle dal punto di vista legislativo. I campi da golf vanno costruiti ma servono strutture di contorno con un uso del territorio da valorizzare al massimo.

E’ favorevole all’idea dei casinò? Dubito che in Sardegna ne possano sorgere. Occorre molta prudenza. Ma di sicuro, il movimento indotto dai campi da golf è straordinariamente superiore a quello dei casinò.

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2 commenti

  1. Giusy Porru (Parigi)

    Cari sardi nel mondo
    Le analisi del signor Moro sul non saper affrontare il fenomeno turistico sardo sopratutto all’estero sono molto vere, come la continuità territoriale e le politiche di adattamento al settore da lui proposte sono molto importanti.
    Ma per carità i terreni da golf non parliamo neppure…. e i Casino’ in Sardegna …., mancano solo le triadi o i soldi sporchi delle mafie !
    Continuare a copiare i vecchi modelli di turismo indirizzati solo ed esclusivamente a settori di lusso o élite, per poi trovarsi nella situazione attuale della Costa Smeralda, che a mio avviso neanche con la fine della crisi ritroverà lo smalto degli anni scorsi.
    Per me investire tanti soldi nel golf, è solo distruggere il territorio in maniera irriversibile, senza contare la carenza di acqua che non è sufficente neanche per la popolazione residente, e che diventerà sempre più cara. Per me i costi di manutenzione e gestione saranno troppo alti per giustificare i pochi posti di lavoro creati, e non sarà un turismo di massa a poter equilibrare i danni ecologici e naturali che ne derivano.
    Devono rendersi conto che le forme di turismo sono cambiate, non è più attuale il lusso come svago e divertimento, al contrario si ritorna alla ricerca di quei patrimoni naturali, unici e e semplici di cui è ricca l’isola.
    Valorizzare un territtorio non è distruggerlo.
    La Sardegna è come una vecchia signora dissanguata, non si deve cercare di travestirla con falsi decori che abbagliano qualche allodola, ma bisogna iniziare a proteggerla prima che sia troppo tardi.
    Spero che prima di fare altri scempi, si rifletta bene alle conseguenze!!!!

  2. graziano salmistraro

    penso proprio che l’esimio economista non abbia alcun senso pratico per affrontare e pianificare politiche economiche e vada bene per insegnare principi economici imparati sui libri e ripetuti a beneficio dei suoi studenti universitari, mantenendosi solo..solo…solo in ambito teorico: così non può far danni. Il prof. ha la sua età ed è rimasto al tempo in cui la Sardegna va raggiunta solo da vip per via aerea, meglio se con l’areo privato; peccato che anche Briatore si è spostato in Kenia. Guardi il professore come è cambiato il turismo alle Baleari, alle Canarie e non abbia attenzione a Montecarlo. Le nuove generazioni di turisti super ricchi sono mobili nel dna e di mentalità meno elitaria per fortuna, difficilmente pensano ai club di un tempo, neanche Cortina è riuscita a mantenersi nella tradizionale veste esclusiva ed è cambiata parecchio; e poi la Sardegna l’avete per metà distrutta lungo le coste e nella parte nord resa un luna park artefatto e poco in sintonia col proprio passato, l’avete svenduta e resa inautentica; in tempi di globalizzazione il turismo premia la tipicità che ancora la Sardegna può esprimere alla grande per i suoi territori integri, bel clima specifico, modi di vivere, tradizioni culinarie ecc.. auguri alla sardegna se si sa organizzare e riconvertire per il futuro, lasciando stare i consigli del professore. Questo non vuol dire non dover pretendere efficienza ed economicità, tutt’altro: si vuole fare una flotta? bene, occorre un mandato pieno ad un manager, che deve rendere conto in modo puntuale ogni fine anno del proprio risultato economico col vincolo del licenziamento e sua sostituzione dopo due esercizi negativi, bisogna cambiare mentalità, purtroppo siamo in Italia. Graziano

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