di Giacomo Mameli – Nuova Sardegna
Andrea Loi, 31 anni, di Tertenia, dopo il diploma al Liceo artistico di Lanusei, ha cercato invano un posto di lavoro davanti al lido di Sarrala. Ma ha dovuto fare le valigie: destinazione Torino con trasferte frequenti a Detroit. È un designer d’auto. Antonella Demontis, 41 anni di Perdasdefogu, tre anni fa ha lasciato il camice bianco a Cagliari (macinava ricerche avanzate sul dna) e segue la contabilità in un’azienda di Piacenza, alle dipendenze di Ikea. Francesco Melis, 28 anni, pure lui di Tertenia, biologo di laurea, disperato nel cercar busta paga in Sardegna, se n’è andato a Perugia. Da Paulilatino, a gennaio, sono partiti Caterina Mura e Daniele Vidili, entrambi di 28 anni. Caterina, laurea in Economia con 110 e lode, ha trovato impiego alla Asl di Rimini. Daniele, dottore in Lingue, ha lavori saltuari a Milano, destinazione preferita dei nuovi sardi del Grande Esodo del terzo millennio (seconda regione è il Lazio). Sono i protagonisti – loro malgrado – dello stunami demografico che, come nel dopoguerra, sta svuotando il Sud, Sardegna compresa. Nell’ultimo anno dall’Isola sono emigrati 6600 giovani generalmente fra i 18 e i 34 anni. La maggior parte dei quali – da Carbonia e Iglesias come da Ozieri e Nuoro – con titoli di studio superiore. Seicento sardi (definiti pendolari di lungo raggio) hanno scelto ancora una volta destinazioni estere. E così nelle città, ma soprattutto nei piccoli paesi ormai abitati da anime morte, si consolida la presenza di una popolazione ultrasettantenne e perciò improduttiva. Il risultato è una Sardegna che – capoluoghi compresi – è alla recessione con la crescita zero. Se il Pil del 2010 era a quota 1,3 nel 2011 è proprio zero, zero totale come avviene in Sicilia. Fermi al palo. L’Isola è una canna al vento senza direzione. Non produce. Anche l’agroalimentare – quello di qualità – nell’ultimo anno arretra di quasi un punto. Il Pil pro capite è di 32.222 euro in Lombardia, di 21.574 in Abruzzo (regione leader al Sud). La Sardegna vacilla a quota 19.552. Sono solo alcuni dei dati che emergono nel Rapporto che lo Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) ha presentato avant’ieri a Roma e che, più degli anni precedenti, lancia un marcato grido di allarme per il Sud. Da dove sono scappati in 583 mila. Il tasso di disoccupazione svetta al 14,1 per cento, quello giovanile al 38. E se si considera la fascia 16-40 anni si arriva al 40,7, qualche punto in più di quello che ha portato alla Puerta del Sol gli indignados di Madrid. “Viviamo su una bomba sociale che sta per esplodere e nessuno se ne vuol accorgere”, commenta la sociologa del lavoro Maria Letizia Pruna. E così “un’area giovane e ricca di menti e di braccia si trasformerà nel prossimo quarantennio in una zona spopolata, anziana ed economicamente sempre più dipendente dal resto del Paese”, ha aggiunto Adriano Gianola, presidente dell’Istituto che era stato guidato da Pasquale Saraceno. Ancora Gianola: “Per il Sud, il 2011 è dunque il secondo anno consecutivo di stagnazione, dopo il forte calo del Pil nel biennio di crisi 2008-2009”. Per la Sardegna – al di là della grancassa mediatica di villa Devoto – è buio pesto per il futuro soprattutto dopo le ultime decisioni adottate dal Governo. Decisioni che aggraveranno ancora le condizioni economiche e sociali delle regioni meridionali. Secondo stime confermate dal Rapporto Svimez, “l’effetto cumulato delle manovre 2010 e 2011 dovrebbe pesare in termini di quota sul Pil 6,4 punti al Sud (di cui 1,1 punti nel 2011, ben 3,2 punti nel 2012, 2,1 nel 2013) e 4,8 punti nel Nord (1 nel 2011, 2,4 nel 2102, 1,4 nel 2013)”. Siamo allo sberleffo, all’insulto. Perché “il Sud – osserva Gianola – contribuirebbe in maniera maggiore all’azzeramento del deficit, pari nel 2010 al 4,5 per cento del Pil nazionale. Più in particolare, sul fronte degli incrementi delle entrate, il 76 per cento si realizzerebbe al Centro-Nord e il 24 per cento al Sud, ricalcando così il peso delle diverse aree in termini di produzione della ricchezza”. Discorso diverso, invece, riguardo alla riduzione delle spese. Qui il contributo delle regioni meridionali al risanamento finanziario arriverebbe al 35 per cento del totale nazionale, una quota superiore di 12 punti percentuali al suo peso economico. I motivi? “I tagli agli enti locali (6 miliardi di euro) e la contrazione degli investimenti pubblici nazionali e regionali, per effetto del Patto di stabilità”. Cifre e tabelle che compaiono in questa pagina dimostrano in modo inequivocabile quanto è grave la situazione dell’Isola. Che da tempo non conosceva periodi di così marcato oscurantismo economico. “Mi auguro che nessun assessore si meravigli del perché abbiamo proclamato lo sciopero generale con Cisl e Uil”, ha commentato il leader della Cgil sarda Enzo Costa.
Quando un emigrato lascia la sua terra costretto dalla necessità, con la semplice partenza, prima la famiglia che lo ha allevato, poi la comunità che lo cresciuto, curato, istruito ecc, subiscono un impoverimento. Vi siete mai chiesti quanto denaro è necessario per allevare un individuo sino all’età lavorativa? Se poi la capacità professionale e lavorativa è arricchita dagli studi e master universitari quanto spende la famiglia e la comunità di origine delle donne e uomini di cui si parla nell’articolo di Giacomo Mameli ? Migrano e vanno a servire altre economie, altre comunità . I paesi e le città di provenienza si privano della loro migliore classe dirigente. Sino a quando ?Ci vuole una misura che restituisca e ripari i danni dell’esodo ed è necessaria un’azione che freni la diaspora incessante dalla nostra Isola.
bella la foto
x la emigrazione purtroppo ancora oggi esiste ancora