di Paolo Pulina
“Vincenzo Cardarelli e la Sardegna. Il ‘favoloso viaggio’ del poeta nella nostra isola” è il titolo di un bel commento (reperibile in Internet: www.gemellae.com/07/pg001.html) di Antonio Quidacciolu a una poesia di Vincenzo Cardarelli (Tarquinia, 1º maggio 1887 – Roma, 18 giugno 1959). Si tratta della lunga composizione intitolata “Sardegna”, della quale riproduciamo il testo qui di seguito.
Sardegna
Sul languido cielo s’incidono,
Sardegna, i tuoi monti di ferro.
Cielo velato
come da un polline
malsano, che a guardarlo ci si strugge.
Malinconica Circe,
è con questo richiamo
che trattieni il partente,
presso il Limbara nostalgico.
Ed è così che il sardo
mai tradirà la sua terra fedele.
Quando il cisto più odora
e per le vie marine,
messaggio della vita misteriosa
che in te si cela,
s’avvicina fidente la pernice,
io percorsi, o Sardegna, le tue strade
saline di Gallura,
la terra d’Orosei, bianca, africana,
la Barbagia granitica e selvosa,
l’Ogliastra rossa,
ed oltre il Campidano, le cui donne
hanno seni di pietra,
mi spinsi a Teulada
ove il daino saltellava
sui gradini della casa ospitale.
Sostai fra gli ombrosi
aranceti di Milis. Risalii
l’altipiano ventoso, verso Mandas,
in compagnia d’un canto di soldato,
unica medicina
a tanta malinconia.
E sul corso di un fiume assiduo e lieto
mi ritrovai fra la tua fiera gente
barbaricina,
che giù dal Gennargentu,
dove fra il bianco granito frondeggiano
le querce e l’elce nera,
calava un tempo
alla pianura fertile e fangosa.
Così dal monte al piano
m’avventurai, per folti paradisi
di selvaggina
e terre così sole che a percorrerle
qualunque cavalcante è paladino.
Ti conobbi dovunque,
isola ardente e varia,
coi tuoi costumi, i tuoi canti ieratici.
E già l’estate lungo gli arsi greti
sbiancava l’oleandro,
persistendo sui monti
un colore indicibile
di primavera isolana.
E sul tuo suolo vergine affioravano
qua e là, sollecite,
le prime, rudi reliquie dell’uomo
che ti fan grave e cupa in tanta luce.
Favoloso viaggio
Ch’io feci in un attimo,
allontanandomi nella sera,
mentre ormai più non eri
che un cielo sognante
all’orlo di una montagna.
Terra di vini forti,
patria di antichi pastori
e di donne calde,
fior del Mediterraneo,
fiorito al tempo che tutto era chiuso
nel nostro mare,
tu porti in te il profumo
d’un secolo cortese e venturoso.
Lo sentii nella grazia
del tuo linguaggio,
nei venti che respiri.
E vidi Pisa,
là dove a un tratto sull’alpestre cima
due vecchie mura castellane, orrende,
rammentano il conte Ugolino.
Ma dimmi tu qual nome, se non Roma,
fa lampeggiare l’occhio
del tuo pastore.
(Vincenzo Cardarelli)
Scrive dunque Quidacciolu: «Il poeta amava definirsi un gabbiano senza pace, “in perpetuo volo” sulla vita. Anche “Sardegna” è frutto di questo perpetuo volo, di un favoloso viaggio sulle terre saline di Gallura, su quelle bianche di Orosei e su quelle rosse ogliastrine. Presentata nel 1934 al concorso di poesia “Libero Andreotti”, “Sardegna” vinse il primo premio e fu inserita successivamente fra le liriche facenti parte della raccolta “Poesie”. Essa esaurisce completamente la poetica cardelliana, riassumendola e divenendone specchio: la poesia prosastica cardelliana (l’aggettivo prosastica non è errato tanto meno fazioso, ma sta a indicare una poesia lontana dal nuovo linguaggio futurista imperante al periodo[…]) è un ritorno all’espressione classica della migliore tradizione italiana, da Dante a Petrarca, fino a Leopardi. […] Leggendo la poesia, appare così nitido l’aspetto di una Sardegna di cui si sente quasi il sapore inebriante dei “vini forti” e il profumo del cisto, della “natura selvaggia”. Cardarelli viaggiò parecchio, ma dalla sua biografia non emerge nessun elemento che possa far pensare ad un viaggio in Sardegna, anche se l’abbondanza di particolari che la lirica ci offre fa presumere tutt’altro. Tuttavia, con la perizia del grande poeta Cardarelli ci fa dono del ritratto di una terra fiera e incontaminata, forse oggi non più presente, spazzata via dall’ondata del progresso industriale. In un fantomatico “archivio sardo”, la lirica cardelliana rimane perciò testimonianza di ciò che è stato, di una tradizione ancora aggrappata ai contorni sfocati di un’identità ormai non più propria. “Sardegna” assume così la valenza di un doppio e reciproco tributo tra la nostra terra con le sue tradizioni e il poeta in un vicendevole, quanto astratto rapporto affettivo». Fin qui Quidacciolu. A noi preme, in questa occasione, documentare il fatto che, in realtà, Cardarelli fece non uno ma due viaggi in Sardegna, entrambi nel 1913. Se leggiamo le pagine della cronologia presente nel volume “Opere di Vincenzo Cardarelli” (“I Meridiani Mondadori”, 1981), ottimamente curato da Clelia Martignoni, alla data del 1913 troviamo queste informazioni: «Nella seconda metà di maggio parte per la Sardegna, inviato dalla rivista “Il Marzocco” con l’impegno di ricavarne un resoconto in forma di monografia, che non sarà mai scritto. Lo accompagna per qualche tempo Riccardo Bacchelli, che ne rientrerà ai primi di giugno. […] Dopo una sosta romana (ottobre), riparte per la Sardegna, ma dalla seconda metà di novembre è nuovamente a Roma». Franco Contorbia nel saggio “Vincenzo Cardarelli tra ‘Il Marzocco’ e ‘La Voce’ (lo scritto è stato pubblicato su “Rivista di Letteratura Italiana”, a. II, n. 2, 1984, pp. 297-312), precisa che «Angiolo Orvieto, dopo averne finanziato, nel 1913, il doppio viaggio in Sardegna, senza ottenere in cambio il promesso volume sui costumi dell’isola, non cesserà di soccorrere Cardarelli, con discontinua puntualità e, sospetto, con crescente fastidio fino al 1916». Contorbia dà ulteriori dettagli: «Il progetto di un libro sulla Sardegna era stato suggerito a Cardarelli da Angiolo Orvieto e il poeta, il 16 aprile 1913, aveva accettato con entusiasmo l’incarico. Il 27 maggio 1914 Cardarelli comunicò però a Sibilla Aleramo di aver chiesto e ottenuto un formale esonero dall’impegno assunto un anno avanti: “Orvieto mi ha svincolato dall’obbligo di fare il libro sardo e seguita ancora per qualche mese a passarmi il mensile”». Fatte queste puntualizzazioni, resta da esprimere un lusinghiero giudizio sull’apparato relativo alle varianti dei testi che è stato approntato da Clelia Martignoni per il citato volume cardarelliano dei “I Meridiani Mondadori”. Alle pagine 1126-1129 il lettore può seguire il percorso variantistico che ha portato il poeta a strutturare la composizione “Sardegna” nella forma definitiva che abbiamo riportato all’inizio di questo nostro contributo documentario. Anche se non ha scritto un libro intero, con questa poesia Cardarelli ha tributato alla Sardegna un omaggio non di maniera, meritevole di essere conosciuto e valorizzato.
Mi scuso per l’ignoranza in fatto di liriche ma non riesco a capire il finale:
“….E vidi Pisa,
là dove a un tratto sull’alpestre cima
due vecchie mura castellane, orrende,
rammentano il conte Ugolino.
Ma dimmi tu qual nome, se non Roma,
fa lampeggiare l’occhio
del tuo pastore…”
Specialmente quel che riguarda Roma.
Può spiegarmelo il Dott. Pulina?
Grazie