di Paolo Pulina
Il Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo” all’art. 22 recita: « 22. Con effetto dalla data di entrata in vigore del presente decreto e con riferimento ai soggetti che maturano i requisiti per il pensionamento a decorrere dalla predetta data all’articolo 3 del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito con modificazioni con legge 28 maggio 1997, n. 140, sono apportate le seguenti modifiche: a) al comma 2 le parole “decorsi sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro.” sono sostituite dalle seguenti: “decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro[…]” ».
Tradotto dal “burocratese” questo significa: il TFR (Trattamento di Fine Rapporto) relativo alle pensioni di anzianità per gli statali, per i dipendenti del pubblico impiego, verrà liquidato dopo ventiquattro mesi dalla data della cessazione dal servizio e non più dopo sei mesi.
Pur essendo interessato allo studio del linguaggio burocratico-amministrativo fin dal 1968 (mi dovetti ben documentare per una tesina da presentare all’esame del corso di Storia della Lingua Italiana tenuto, presso l’Università Statale di Milano, dal severissimo prof. Maurizio Vitale), in questo caso non ho riportato letteralmente questo brano del testo burocratico di un provvedimento recente (che sicuramente avrà fatto saltare di gioia i dipendenti pubblici pensionandi…) per sottolineare qualche aspetto dei meccanismi di funzionamento del linguaggio burocratico.
No, la citazione serve per uno scopo molto più, come si dice, “terra terra”: per permettere anche ai “non addetti ai lavori” di rendersi conto come, con un semplice tratto di penna, il “bravo” legislatore possa cancellare un diritto acquisito. Il TFR è un gruzzolo di soldi miei accumulato nel corso della mia attività lavorativa attraverso un risparmio “forzoso”, cioè impostomi d’autorità, per legge? Bene, che interessa di tutto questo al “bravo” legislatore? Niente! Cambia alcune parole e per lui la questione è liquidata, pardon, la “nostra” liquidazione è liquidata. Tanto, nessuno può toccare né l’entità né i tempi della “sua” pensione d’oro.
Ti Frego Ridendo è lo scioglimento della sigla TFR che sembra avere corso tra i nostri “bravi” legislatori. Loro si divertono così; a loro piace tutto ciò che è “evasione”; con gli “evasori” hanno addirittura stretto, come si dice, “patti chiari e amicizia lunga…” e loro, che sono “uomini d’onore”, questi patti vogliono rispettarli.
Anche per i dipendenti pubblici, ingenuamente convinti che sul TFR non dovesse essere tradita la parola scritta in quanto esso è “un istituto che, in tempi di crisi, funziona da ammortizzatore sociale, mentre in tempi normali permette di agire sulla mobilità sociale (acquisto di casa, avvio di attività per i figli, ecc.)”, e che quindi non la prendono troppo sul ridere, i nostri “bravi” legislatori hanno alcune buone parole; sì, queste: “passi lunghi e ben distesi” (TFR, ovvero Ti Frego Ringhiando).