(TRASPORTI E TURISMO, LE CALDE TEMATICHE ESTIVE IN SARDEGNA) LA PAROLA ALL'AMMINISTRATORE DELLA "NUOVA TIRRENIA": "LA REGIONE SI E' FATTA MALE DA SOLA"!

Ettore Morace, napoletano, è l'amministratore delegato della Compagnia Italiana di Navigazione

Ettore Morace, napoletano, è l'amministratore delegato della Compagnia Italiana di Navigazione


di Umberto Aime – La Nuova Sardegna

Classe 1962, napoletano, residenza siciliana, figlio di armatori, Ettore Morace è l’amministratore delegato della «Compagnia italiana di navigazione». È lui il capo supremo della cordata Marinvest-Grimaldi-Moby, che il 25 luglio ha comprato dallo Stato la Tirrenia in liquidazione. A nominarlo, il 12 novembre del 2010, sono stati i tre soci alla pari della «Cin»: Gianluigi Aponte, Manuel Grimaldi e Vincenzo Onorato, anche loro napoletani, con questa motivazione: «È l’uomo perfetto». Ha ottenuto carta bianca su tutto: sarà lui a decidere quello che sarà la «Nuova Tirrenia» da oggi in poi. Con le deleghe in mano, solo lui può forse riaprire le porte alla Regione, oppure finire sul banco degli imputati se la Sardegna gli farà causa.
Teme più l’Antitrust europeo o la Regione?
«Penso solo a quello che voglio fare nei prossimi mesi».
Dica. «Riportare la Tirrenia in pareggio entro il 2012-2013».

Miracoli a parte, nel frattempo… «Per Bruxelles sono ottimista: non credo che solleverà obiezioni».
Invece la Sardegna è una furia. «Non siamo stati noi a cercare lo scontro. Ha fatto tutto la Regione».
Come? «Voleva comandare in casa nostra: impossibile».

Esagerato. «Sia chiaro, in una società privata, che ha vinto una gara, decide chi ha le deleghe. Ebbene, ad averle non sono i soci ma il sottoscritto. Dunque, comando io».

È un suo vizio, gambizzare la Regione? «Si è fatta male da sola. Sa quale è stato il verbo che ha usato più con noi?»

Quale? «Esigere. Esigeva di avere questa o quella quota, esigeva di decidere su navi, rotte, eccetera. Ma si conduce così una trattativa?».

Scusi, ma la Sardegna ha dalla sua ancora leggi e diritti per pretendere un posto nella Nuova Tirrenia. «Questo può essere anche vero ma se il tutto avviene all’interno di una trattativa trasparente, senza preconcetti».

Chi ha barato? «Noi no. Dico di più: sin dall’inizio, volevamo la Sardegna con noi. Anzi, siamo franchi, era nostro interesse poter contare su un partner di peso, anche per superare di slancio l’ostacolo Bruxelles».
La Regione era il vostro cavallo di Troia. «Poteva essere un buon alleato. Poi si è messa a far di testa sua, compresa la storiella della Flotta Sarda».

Non mischi le carte, quella è stata una mossa contro il caro-traghetti. «Che nessuno parli di complotto. Il costo del carburante è schizzato alle stelle e l’aumento delle tariffe è stato inevitabile».
Bravo e diligente, difende i datori di lavoro. «Il cartello è una leggenda metropolitana».

Anche l’alleanza col ministro Matteoli contro la Regione è una leggenda? «È falso, con Matteoli abbiamo parlato poco o nulla. Abbiamo trattato direttamente con l’amministratore straordinario di Tirrenia».
E insieme avete «murato» la Regione. «Non spettava a noi avvertirla che la vendita era conclusa».
Almeno per buona educazione. «Dopo che la nostra offerta è stata ritenuta congrua dal socio di maggioranza della vecchia Tirrenia (Fintenca, lo Stato), da allora in poi abbiamo avuto un solo interlocutore: Giancarlo D’Andrea, cioè colui che era stato delegato a privatizzare. Ed è stato con lui che abbiamo deciso, in autonomia, di firmare il contratto lunedì 25 luglio. Non ci sono state altre pressioni».

Ma gli armatori di pressioni ne hanno fatto eccome: a Roma, a Genova, a Napoli, dovunque. «Questa sì che è un’altra leggenda. Noi abbiamo salvato Tirrenia senza imporre scambi o ricatti».
E avete fatto un affare. «Non direi proprio. Abbiamo risposto in pieno al prezzo indicato da chi l’aveva valutata 380 milioni».

Comprate con l’aiuto decisivo delle banche. «Come accade in qualsiasi operazione finanziaria».
Ma sul piatto avete messo la garanzia che presto avrete i 576 milioni della continuità territoriale. «La convenzione con lo Stato per noi sarà un capestro. Se non la rispetteremo, pagheremo penali pesantissime».
La convenzione, un regalo. Ringrazi il Governo. «No, è stata l’Europa ad autorizzare che la continuità fosse inserita nella gara».

Confessi, senza quel «regalo», l’asta sarebbe andata deserta. «È molto probabile».
Se non arriveranno le sovvenzioni, alla fine sborserete appena 200 milioni. «Ci siamo messi al riparo da possibili ripensamenti».

Bingo, per due soldi adesso avete il monopolio. «Sbagliato. Abbiamo due contratti onerosi da rispettare. Uno è quello d’acquisto, l’altro è la convenzione».

Ai sardi interessa il secondo. «Giusto e aggiungo che con noi potete stare tranquilli. La vostra mobilità sarà sempre garantita e poi ricordo che quei contributi saranno necessari per coprire le perdite secche durante l’inverno, non servono a far cassa. Tra l’altro sostituiremo presto le navi più vecchie, quattro subito e sei negli anni. Vogliamo l’eccellenza su tutte le rotte da e per la Sardegna».

Dove i tre armatori non faranno certo concorrenza alla loro Tirrenia. «Trasformeremo chi è moribondo in un colosso. Dunque, ottimizzeremo le strategie».

È vero che alcune attività dei soci della «Compagnia italiana» passeranno in carico alla Tirrenia? «È un’ipotesi industriale, ma che non farà male a nessuno, tanto meno ai sardi».

Riaprirà alla Regione? «Vorrei dire mai più, ma di solito ho un cuore grande».

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