VENDITA TIRRENIA: L'ITALIA RISCHIA DI FINIRE NEL MIRINO DELL'UNIONE EUROPEA


di Umberto Aime – Nuova Sardegna

Il caso Tirrenia è ormai argomento da psicoanalisi. Ogni giorno c’è qualcuno che sbrocca e così invece di fare passi avanti, nella trattativa, sono soltanto salti all’indietro. Spesso nel vuoto. Rinviata a venerdì 29 luglio quella che ieri doveva essere la riunione decisiva, adesso sono tutti prossimi a una crisi di nervi collettiva. A cominciare dal ministro ai Trasporti, Altero Matteoli, che dalla confusione è stato travolto. Non sa più da che parte girarsi per evitare un’altra figuraccia con l’Unione Europea. Se sbaglia anche stavolta, la messa sotto accusa dell’Italia sarà inevitabile e si trascinerà dietro una sicura e pesante condanna per non aver rispettato le scadenze sulla privatizzazione. Matteoli, e non soltanto lui, sperava molto nelle capacità del commissario straordinario Giancarlo D’Andrea, ma anche il liquidatore è finito nello stagno delle trattative, interminabili e mai alla pari, con gli armatori napoletani della «Compagnia italiana di navigazione», i vincitori della gara. Adesso c’è chi gli contesta di non essere riuscito a «controllare, come avrebbe dovuto, gli esagerati voltafaccia del trio campano Aponte, Grimaldi e Onorato». Mentre altri cominciano a sollevare sospetti sulla vendita delle navi non inserite nella flotta da consegnare alla «Compagnia italiana». Una domanda su tutte: perché su quei contratti è stato imposto il timbro della segretezza? Se Matteoli e D’Andrea vacillano, non sta meglio il vertice della «Compagnia italiana». Dopo aver tentato (e ci prova ancora) di strappare uno sconto sul prezzo pattuito – 380 milioni, 200 in contanti, il resto a rate in otto anni vincolato comunque all’arrivo delle sovvenzioni – da giorni si è incaponita sul testo del contratto di vendita. In particolare, insiste fino alla paranoia sul ruolo che dovrà avere la Sardegna nella Nuova Tirrenia, socio pubblico che non voleva e invece gli è stato imposto. Ogni mattina la «Cin» sforna una proposta contraddittoria rispetto a poche ore prima: è in stato confusionale. L’ultima accenna a una divisione alla pari delle quote fra gli armatori e il partner pubblico, la Regione, con un allegato che però impedisce alla Sardegna ogni possibilità di dire la sua sul futuro della compagnia, continuità territoriale compresa. In altre parole, la quarta gamba della nuova compagnia – sostengono gli armatori – non potrà avere alcun potere di veto se i privati dovessero decidere (e lo faranno) di puntare più sul profitto che sul «servizio pubblico». Questa proposta non è altro che una rivisitazione di quella bocciata avant’ieri da Cappellacci, dai sindacati e dalle opposizione. Dunque, inaccettabile. Se Matteoli e D’Andrea sono in crisi, se la «Compagnia» è in stato confusionale, anche la Regione comincia a navigare a vista. Aveva in mano il pallino della trattativa, ma è scivolata nel rettilineo finale. Era l’unica che poteva mettere in difficoltà un governo pasticcione e gli armatori onnipotenti. Poteva farlo con la minaccia d’impugnare subito l’evidente mancato rispetto delle attribuzioni previste dallo Statuto, ed invece si è fatta imbottigliare. Da giorni è costretta a inseguire, o comunque a stare al gioco brutale della «Compagnia italiana», che continua a ricattare il governo sui posti di lavoro Tirrenia e sulle manutenzioni prossime venture promesse alla Fincantieri, altra azienda statale messa male. Da prima donna quale era, in neanche una settimana, la Regione è finita così nella trappola del «Tavolo Sardegna», col governo scaltro nell’infilare il caso Tirrenia in una partita più grande, quella delle Entrate. Con il rinvio di una settimana dell’incontro decisivo, per ora la giunta è sfuggita all’imboscata, ma non è ancora al sicuro. Anzi, se non ci saranno contromosse immediate, il 29 luglio potrebbe finire definitivamente nel sacco. Cosa fare allora? Serve una proposta davvero alternativa, non bastano più gli annunci del governatore, «Non faremo un passo indietro»: è il momento degli ultimatum. Che può essere soltanto uno, questo: «O accettate le nostre condizioni sui rapporti all’interno del consiglio di amministrazione della Tirrenia, oppure ricorriamo alla Corte Costituzionale e all’Unione Europea». Pare che proprio intorno a questa dichiarazione di guerra lavorino da ieri i consulenti della Regione. Dicono che siano impegnati a preparare una bozza blindata da presentare alla ripresa del confronto. Due i punti intoccabili: il potere di veto sulle scelte industriali e una divisione netta fra la gestione della Tirrenia e il diritto dei sardi alla continuità territoriale. O si fa così, o sarà scontro totale.

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