di Andrea Muzzeddu
Le vicende dei nostri antenati, anche se appartengono al settore della cosiddetta “storia minore”, assumono per noi una notevole rilevanza, sia per la ricostruzione della nostra identità, come per il recupero della nostra storia, che per la valutazione della nostra tradizione. Per millenni la cultura indigena ha cadenzato il modo di essere e di agire dei sardi. Noi oggi ne riproduciamo, sia pur solo in parte, le gesta attraverso forme di attività folkloristiche. Ora, questo patrimonio costruito nei secoli rischia di scomparire per sempre incalzato, per un verso, dalla “prepotenza culturale” della comunicazione di massa, che porta ad omologare “il modo di pensare e di agire” della gente, per l’altro, dal flusso turistico che, per esigenze economiche, desidera sempre più “prodotti di cultura locale” a buon mercato favorendo così la loro standardizzazione. Se non si reagisce per tempo, si rischia di perdere per sempre la “cultura del nostro popolo” e con essa la nostra identità sarda. In senso etnologico, l’identità di un popolo si riconosce quando questo dimostra di possedere un “costume sociale e culturale” basato sulle stesse origini. Per esprimere, simbolicamente, questa entità sociale ci si avvale di una bandiera, nella quale i colori e la loro posizione determinano l’identità territoriale. Il “segno/simbolo” utilizzato, dunque, si avvale di un indizio sensibile (di natura visiva e/o acustica) col quale si dà notizia circa qualcosa di convenuto fra le persone… esso rappresenta un determinato modo di essere e, su questa sua essenza, indica una realtà sociale, richiama un’entità culturale e ricorda la sua storia. Tutti elementi, questi, che sulla base della “scienza araldica” determinano i criteri guida fondamentali per stabilire lo “stemma” di rappresentanza per una determinata “etnia”. In questo modo, bandiera e stemma simboleggiano l’identità di una nazione e per questo lo stemma della Repubblica italiana, utilizzato in modo particolare dalla flotta navale, posto sul bianco del tricolore, simbolo del risorgimento e frutto della rivoluzione francese assunta come esempio per la libertà dei popoli, raccoglie in sé i simboli delle “repubbliche marinare” di Amalfi, Genova, Pisa e Venezia che, nel secondo millennio, dettero lustro alla storia d’Italia. La stessa bandiera, nel periodo del regno d’Italia, utilizzava come stemma il blasone dei Savoia. Bandiera e stemma della Regione Sardegna seguono la stessa logica ma, a differenza di quella nazionale, non rispettano l’identità del popolo sardo anche se, per acculturazione, ne abbiamo accettato la rappresentanza. Di fatto sono il risultato di una scelta politica effettuata dal Consiglio regionale, che si dimostrò, per un verso, ideologicamente dipendente dalla scelta di questo simbolo da parte del Partito Sardo d’Azione, costituitosi subito dopo la conclusione della Prima Guerra Mondiale, e, per l’altro, poco rispettoso della storia della Nazione Sarda adottando, così, il simbolo dei dominatori aragonesi invece che quelli più autenticamente sardi provenienti dai rispettivi Giudicati. Lo stemma dei Quattro Mori ha origini antiche, ma lontane dall’isola, che risalgono al 1106. In quell’anno, Pietro I, re di Aragona, riconquistò gli alti Pirenei sconfiggendo, nella piana di Alcoraz, di fronte alla città di Huesca, il re saraceno Abderramen. Dopo la vittoria fu issata, insieme alle insegne dei Conti di Barcellona (lo scudo con quattro pali rossi in campo oro [giallo]), la bandiera dei Quattro Mori, o meglio, lo stemma che riportava, nei quattro quarti bianchi formati dalla croce rossa (la croce di San Giorgio, loro protettore) la testa del moro con la con la benda sulla fronte (simbolo di regalità), per ricordare la battaglia e la sconfitta del sovrano avversario. Intorno al 1150 il Regno d’Aragona si fuse col Principato di Catalogna e, negli anni successivi, per garantirsi le vie del ricco mercato Mediorientale, iniziò a conquistarsi una “rotta” che comprendeva le Baleari, la Sardegna, La Corsica, la Sicilia e Cipro. Una successione di attracchi sicuri e ben congeniati. Utilizzando, per i loro traffici, la copertura della “difesa del cristianesimo” fu facile ottenere dalla Santa Sede, nel 1297, l’autorizzazione al possesso della Sardegna e della Corsica, uniti nominalmente in un solo Regno. Nel 1324, dopo aver sottratto ai pisani il Giudicato di Cagliari, di Torres e della Gallura, il “Regno di Sardegna e Corsica” iniziava ad essere istituito anche di fatto. La Corsica, però, resistette ai vari tentativi d’invasione e rimase genovese.
Il “Regno di Sardegna e Corsica”, pertanto, divenne solamente “Regno di Sardegna” che, a partire dal 1420, comprendeva tutta l’isola essendo ormai stato sconfitto il Giudicato d’Arborea che per molti anni aveva combattuto contro gli iberici per l’egemonia sull’isola Con l’istituzione del “Regno Sardo” i catalano/aragonesi tennero per sé la bandiera con i “Quattro Pali Rossi in Campo d’Oro” e cedettero alla Sardegna quella dei “Quattro Mori con le bende sulla fronte”. Nel XVIIo secolo, si ritiene per un errore di stampa, le bende coprirono gli occhi ai Mori… con questa errata rappresentazione lo stemma è rimasto, a rappresentare l’isola, fino all’arrivo dei Savoia (1720) che vi aggiunsero “l’Aquila Sabauda portante una Croce Bianca in Campo Rosso bordato di Azzurro”. Questa nuova veste fu inserita nel tricolore, adottato da Carlo Alberto (1848) e lì rimase fino alla proclamazione del Regno D’Italia (1861) la cui nascita poneva termine al Regno di Sardegna dopo 567 anni d’esistenza. Lo stemma dei Quattro Mori ricomparve nel 1921, quando alcuni reduci della Grande Guerra fondarono il Partito Sardo D’azione… Caso volle che questi, interessati più alla politica che alla storia dell’isola, non solo scegliessero, come simbolo di riscatto, lo stemma consegnatoci dai dominatori, ma che adottassero anche quello con la grafica sbagliata: i Mori con la benda sugli occhi e non sulla fronte. Dei poveri ciechi, dunque, e non dei re. Nel 1950, lo stemma dei Quattro Mori (ciechi) divenne il simbolo della Regione Autonoma della Sardegna per voto della maggioranza qualificata dei componenti del Consiglio Regionale. Solo nel 1999 lo stesso Consiglio ha rettificato l’errore grafico stabilendo di riportare la benda sulla fronte dei Mori… così questi possono, finalmente, “vedere” che i sardi, in ossequio al loro servilismo atavico, continuano ad utilizzare, come simbolo rappresentante la loro etnia, uno stemma appartenente ad altra cultura.
Ha ragione, signor Muzzeddu. S’è visto mai che un vinto, un condannato, un umiliato sventoli gioiosamente e con orgoglio il proprio capestro…? Noi Sardi lo facciamo! La storia di questo simbolo aburrésciu, riflette così le vicende di quei Sardi superficiali, senza schiena nazionale, locos, mal unidos e inconcludenti che Emilio Lussu chiamava amaramente "la nazione mancata", che non sanno darsi neanche un simbolo condiviso. Quanti Sardi sanno spiegare il significato dei quattro mori? Quanto disgusto mi provocano quelle riunioni e quei cortei dietro quella bandiera… Non pensano che stanno sbandierando il vessillo impostoci per 400 anni dai colonizzatori aragonesi di turno. Un vessillo senza contenuto storico, senza significato intrinseco, senza alcun riferimento alla Sardegna, con l’immagine razzista e truculenta delle teste capitozzate di quattro mori aragonesi, che non ci ricorda nulla all’infuori del colonizzatore che per secoli ci ha imposto taglie, tasse, lacrime e devastazione. A 602 anni dalla guerra di Sanluri, non possiamo dimenticare le migliaia e migliaia di Sardi volontari che il 30 giugno 1409 caddero in s’Occidroxiu per la bandiera de S’alvure de Arboré, la nostra bandiera. Viva la Sardegna! Vitale Scanu