di Celestino Tabasso – Unione Sarda
Se l’America raccontata da Cormac McCarthy non è un paese per vecchi, la Sardegna del 2050 lo sarà anche troppo. A prevederlo non è un truculento romanziere ma una coppia di studiosi eterogenea per genere ed età, ma piuttosto compatta quanto a interessi scientifici: Pasquale Mistretta, urbanista e fino al 2009 rettore dell’Università cagliaritana, e Chiara Garau, ricercatrice in Ingegneria del Territorio, che firmano per le Edizioni Della Torre “Autonomia, il sonno e la ragione” (176 pagine, 16,90 euro). Il sottotitolo mette a fuoco “spettri e utopie della Questione sarda dopo i 150 anni dell’Unità d’Italia”, che gli autori indicano in sei microsaggi distinti per argomento ma non distanti, visto che dalla questione meridionale alle politiche di programmazione, dalla “specialità” allo stretto sentiero che sta davanti alle istituzioni isolane, il focus della ricerca è sempre la Sardegna di oggi e soprattutto le sue prospettive. Illuminante, in particolare, il testo conclusivo, dedicato ai “Fattori di cambiamento urbanistici e territoriali”. Il saggio fotografa i limiti di oggi nel pensare la Sardegna come sistema politico e produttivo e gli scenari di domani sul versante demografico, economico e urbanistico. Il grande inciampo delle linee di sviluppo pensate ieri e oggi, spiegano Mistretta e Garau, è la mancanza di pensiero strategico: quanto può essere efficace uno strumento come il piano urbanistico se nel mappare le esigenze e le direttrici di crescita di un territorio cittadino non dialoga minimamente con i comuni circostanti? Questa tendenza alla parcellizzazione, questa abilità nel decorare le tessere senza saper leggere il mosaico, sarà inevitabile finché si continuerà a programmare in funzione delle otto province e non di un sistema Sardegna omogeneo e integrato, che interloquisca con l’estero e in particolare con le altre aree mediterranee. E se oggi non succede, è possibile – ma non certo, forse neppure probabile – che questo avvenga in futuro. Proiettando nel 2050 i dati dei Conti pubblici territoriali e quelli del Centro studi Unione Sarda, il saggio disegna innanzitutto una Sardegna 2050 con una popolazione più ridotta e anziana di quella attuale. Oggi siamo 1.669.190, tra quarant’anni saremo 1.479.753, cioè più o meno quanti eravamo quarant’anni fa, nel 1971. In controtendenza, e non a caso, due zone ad alta rilevanza turistica: solo per Gallura e Ogliastra è prevista una crescita demografica sul lungo periodo, esattamente come solo per il turismo sono ammissibili previsioni di crescita senza i nuvoloni che gravano su agricoltura e industria. Quanto all’edilizia e ai servizi, è evidente che le loro prospettive sono cupamente legate al calo demografico: costruire per chi? E servizi per quanti? Diverso e più incoraggiante il discorso su trasporti (in particolare low cost) e strutture ricettive (soprattutto bed and breakfast). Con una considerazione generale che va oltre i singoli settori di intervento e di sviluppo: se la programmazione resterà legata ai trasferimenti statali, se continueremo a ragionare in termini di “paghetta”, non raggiungeremo produttivamente ed economicamente l’età adulta, neanche tra quarant’anni. Ci ritroveremo direttamente nella vecchiaia.