di Augusto Secchi
A memoria d’uomo una standing ovation così inaspettata non si era mai vista: i passeggeri di un traghetto proveniente da Vado Ligure che, all’apertura del portellone nella banchina di Porto Torres, applaudivano con le mani e le braccia sollevate al cielo, commossi e soddisfatti. Gli stessi passeggeri, intervistati dai soliti cronisti che si attendevano le ordinarie leggende sulle cotolette immangiabili e sui topi grandi come conigli e affamati come caimani, si sono sentiti rispondere che il mangiare era ottimo e abbondante, le cabine pulite e profumate, i mozzi assurdamente gentili e disponibili. Dopo aver appurato che il traghetto era il Dimonios e non “La nave dei folli” dipinta da Hieronymus Bosch, l’intervistatore ha capito che stava assistendo a un evento che, probabilmente, avrebbe raccontato ai nipotini quando sarebbero stati in età di intendere. Gli unici che non hanno inteso l’entusiasmo, o che hanno fatto finta di non intenderlo, sono stati gli armatori che invece di fare il passo indietro a cui sono stati ripetutamente invitati da più parti, sono andati in escandescenze e hanno minacciato di denunciare il tutto a Bruxelles. “Perché ci vogliono denunciare?” ha chiesto mio nonno sistemandosi la protesi acustica che non voleva sentirne di stare incollata all’orecchio. “Perché, anche se in ritardo, ci siamo ricordati che abbiamo una schiena” ho risposto io sollevando un po’ la voce. Dopo avermi urlato che non era il caso di urlare, e che lui non era sordo, con voce da comizio mi ha raccontato, con malcelato orgoglio, la storia di un’altra alzata di schiena, quella della Sardamare – una compagnia di navigazione tutta sarda – per la quale lui, giovane battagliero, aveva tifato. Un’alzata di schiena che però era naufragata assieme alle sue navi per colpa di un’Italia, già matrigna, che doveva garantire il regime di monopolio alla Tirrenia, come ci ricorda un interessante articolo, di Salvatore Tola, meritoriamente riproposto in questi giorni sul sito dell’Istituto Bellini e in altri siti. A quel punto mio nonno, pur continuando ad armeggiare con la protesi che ronzava come uno sciame d’api, con una voce da banditore è riuscito a dirmi: “l’entusiasmo di quegli anni, te lo assicuro, è identico all’applauso tributato oggi dai passeggeri all’apertura del portellone del traghetto Dimonios della Saremar. Ma io, anche se idealmente mi sono unito a quell’applauso, non sono molto tranquillo. Ho il timore che anche questa volta interverrà qualche politico “patrigno” che, preso per la giacchetta dai poteri forti, impedirà a quest’alzata di schiena di diventare sistema, perfetto meccanismo che possa garantire finalmente il diritto alla mobilità di noi sardi per tutto l’anno”. “E’ anche la mia paura”, ho urlato io sistemandogli la protesi ribelle.