di Raffaella Venturi – Unione Sarda
Sopra Calle Mayor il cielo pare dipinto da Canaletto. Si dice che più bello di Madrid ci sia soltanto il cielo di Madrid. È così, forse per i quasi 700 metri di altitudine, per la posizione ad occidente. O perché sopra i musei più importanti del mondo è bello che ci siano i cieli più belli del mondo. Dalla morbida luce naturale delle sette di sera a quelle artificiali, studiate dallo scenografo Gianni Melis, che illuminano con forte suggestione la “Ciudad sonora” presentata da Pinuccio Sciola all’Istituto Italiano di Cultura diretto dal musicologo Carmelo Di Gennaro. È l’ultima creazione di questo vulcanico artista, che quando ha scoperto che dalle pietre di basalto e calcare poteva far uscire incredibili suoni primigeni, usando plettri di pietra o le stesse mani, leggermente inumidite, ha sancito la svolta della sua ricerca, ma non solo. Di fatto ha anche rivoluzionato la fruizione della scultura, perché non è solo il vedere, che entra in gioco, ma anche l’ascoltare, il toccare, l’agire sperimentando la dimensione sonora che queste opere di Sciola magicamente racchiudono. Per questo l’installazione di Madrid, inaugurata il 5 maggio scorso, ha raccolto molti consensi, tanto che la mostra è stata prorogata per inglobare anche la Festa della Repubblica. Parla di Italia, di Sardegna, questa avveniristica città sonora, assemblaggio di più litofoni come fossero grattacieli e ponti, ondulati o squadrati, che si moltiplicano nella sala degli specchi dell’antico palazzo, creando un gioco di infinito sconfinamento, uno scenario fra Blade Runner e le astrazioni architettoniche di Dubai. José Manuel Costa, critico e musicologo, parla di un’opera d’arte totale, dove è impossibile scindere l’aspetto formale da quello sonoro, giungendo l’artista a stabilire una sintesi estetica – quindi etica – che fa della sua opera un unicum. Non esiste un altro scultore, secondo Costa, che dalla pietra sia giunto al suono, a trovare un linguaggio parallelo a quello della forma. Che non è secondaria, anzi. Grande effetto scenografico anche la stanza dei litofoni di basalto, dove una serie di leggeri pettini – o pentagrammi – di pietra sono issati singolarmente su basi verticali. Lo scultore di San Sperate colpisce in modo trasversale, dai bambini, che istintivamente si mettono a far suonare le sue pietre, a musicologi, musicisti, architetti, intellettuali. Tutti incantati dalle possibilità della pietra, che pareva muta e dura, invece canta e si fa sezionare come burro. Tanto che Renzo Piano, nell’epigrafe del catalogo della mostra di Madrid, parla di «patto tra Pinuccio Sciola e le pietre di Sardegna», perché queste «si lasciano fare di tutto, da lui: tagliare, perforare, frammentare. Riesce persino a farle suonare. Fantastico». E Moni Ovadia parla di «canto primigenio», come se il fuoco e l’acqua avessero lasciato un imprinting sonoro rispettivamente nel basalto e nel calcare, che l’artista ha ritrovato. Musicologi e musicisti continuano ad indagare la magia di queste sculture: in estate Sciola sarà presente con Paolo Fresu a “I suoni delle Dolomiti”. Volevano che i litofoni, per l’occasione, fossero di pietre dolomitiche. Ma Pinuccio giura che le ha ispezionate, col suo martelletto, ma non suonano. Forse solo le pietre della sua terra conoscono «la voluttà di un canto», come, secondo Ovadia e i maestri della Cabala, fu «in principio».