di Veronica Piras – il Portico
Il polverone sollevato dalla riforma del ministro Gelmini e il fenomeno dei cosiddetti “cervelli in fuga”: due temi tristemente attuali che si accodano alla lunga sfilza di problemi che logorano il nostro difettoso sistema
italiano. Il “brain drain“, ovvero l’esodo verso paesi stranieri di persone talentuose e di alta specializzazione, è fuor di dubbio una diretta conseguenza di alcune riforme che costituiscono il cancro del sistema universitario italiano e limitano fortemente lo sviluppo culturale. Le opinioni dei vari ricercatori del nostro “stivale” sono state raccolte in due libri, Cervelli in fuga e Cervelli in gabbia. Alessandro Piras, giovane ricercatore di un piccolo comune sardo, Villanovatulo, ha raccontato la sua formativa esperienza all’estero. “Sono un dottore di ricerca, o PhD(Doctor Philosophy) come direbbero gli anglosassoni. Ho conseguito il titolo a Bologna nel maggio del 2010, dopo aver trascorso sei mesi all’Università di Calgary (Canada) in qualità di visiting student, per realizzare un progetto di ricerca sui movimenti oculari nell’ambito della fisiologia applicata.
Poi che è successo? Il mese scorso ho vinto un concorso per un assegno di ricerca della durata di un anno. La competenza richiesta è nel settore clinico, non propriamente la mia area di studi, ma ciò mi permetterà di poter continuare a far ricerca e di ritagliarmi un po’ di ore da dedicare al mio settore di riferimento. Mi ritengo fortunato per questo, a molti miei colleghi non è andata così bene.
Agli altri cosa succede di solito? Alcuni hanno ripiegato in altri lavori non attinenti al loro titolo di studio, altri sono emigrati all’estero e i meno fortunati sono perennemente alla ricerca di “qualcosa”. In Canada mi sono trovato benissimo e, allo scadere della mia permanenza, la professoressa a cui ero affiancato mi prospettò la possibilità di un post dottorato nel suo laboratorio. Declinai l’offerta, sia per motivi familiari che per la proposta, sempre nello stesso periodo, del mio attuale professore italiano, Salvatore Squatrito, di un assegno di ricerca della durata di un anno a Bologna, dove tutt’ora lavoro.
Se le riforme dovessero, di fatto, annullare qualunque reale prospettiva di carriera per voi ricercatori universitari, valuterebbe l’ipotesi di trasferirsi all’estero? Ho pensato più e più volte all’eventualità di emigrare, tutt’ora non la escludo. Partendo dall’importo della borsa di studio che, per un dottorato di ricerca in Italia è nettamente inferiore rispetto ad altri paesi avanzati, i giovani ricercatori trovano facilmente lavoro presso università e centri di ricerca stranieri. I livelli di retribuzione, le tutele, le interessanti prospettive di ricerca e l’inserimento professionale sono ottimizzati ai massimi livelli all’estero.
Un altro punto controverso, in Italia, è il blocco del turn-over. Sì, si tratta della mancata sostituzione dei docenti che vanno in pensione, già prevista dalla legge finanziaria, che grava, soprattutto sui giovani ricercatori. Il problema del precariato nella ricerca e nella docenza è emerso come una vera e propria emergenza nazionale. Ci ritroviamo stretti tra le poche opportunità di un sistema economico in crisi e un sistema universitario pubblico in via di destrutturazione. D’altronde, la questione della fuga dei cervelli conferma che l’Italia non sa né trattenere né attrarre “capitale umano”. La strutturale mancanza d’investimenti nella ricerca scientifica e nelle sue risorse umane, che ne è condizione imprescindibile, ha messo a serio rischio il futuro di tanti ricercatori e della ricerca di base in Italia.
La ricerca scientifica, motore dello sviluppo economico di ogni paese, cammina sulle gambe dei ricercatori. Che importanza ha, secondo il suo parere, investire su di essa? Significa anzitutto investire sul capitale umano e sullo sviluppo economico e culturale di un Paese. Tra il 23 e il 24 dicembre 2010, è stato approvato il ddl sulla fuga di cervelli con incentivi fiscali per i giovani impiegati all’estero che torneranno in Italia.
Cosa è previsto? La legge garantisce una serie di agevolazioni fiscali come la riduzione dell’imponibile per quei lavoratori di qualità, laureati o con titolo post laurea, che decidessero di lavorare in Italia. Inoltre è prevista una serie di interventi a livello amministrativo e facilitazioni in materia di alloggi. Io mi chiedo, ma non sarebbe più saggio prevenire che curare? Ovvero mantenere i cervelli che già abbiamo evitando che ne fuggano degli altri?
Risponda lei: che idea si è fatto di questo provvedimento? Sembra quasi una sorta di “zuccherino” che la nostra classe politica ci dà, per provare a compensare l’immensa fuga di cervelli che avverrà nel giro di pochi anni, quando il 90% dei ricercatori che non potranno diventare docenti saranno costretti ad emigrare all’estero per poter continuare a fare quello che più amano: ricercare.