di Brunella Mocci
Anche le nostre piccole città sotto il sole diventano luoghi d’ombra, dove nessuno vede più l’altro.
Ma sono le persone, nel loro rifiuto della modernità, a cercare i luoghi sempre più in ombra dentro le nostre città? O sono invece i luoghi troppo solari della nostra falsa modernità a disfarsi delle persone più scomode, lasciandole nell’ombra?
Cammino nel gelido mattino di marzo. Un sole alto illumina la pioggia notturna ancora sugli alberi, fiammeggiandone le foglie. Un mattino in cui senza fretta mi muovo in questa città che non è mia, forse non lo è mai diventata, ma a cui mi lega un rapporto affettivo strano, come una vecchia amica da cui mi lascio comunque coinvolgere. Dalle terrazze del bastione fino alle saline e al mare, lame abbaglianti di luce e azzurro forti, senza indecisioni. La mia idea è visitare il museo archeologico, di nuovo sì, non mi stanco di vedere, ripercorrere con gli occhi, immaginare ed emozionarmi… risalendo a piedi di fronte al caffè, un qualcosa di informe cattura la mia attenzione. E’ una donna e nemmeno troppo giovane, in una posizione strana, quasi coricata per terra, tutto il corpo accartocciato in avanti. Impossibile non vederla ma possibile evitarla, come fan tutti. Lei non parla, non tende nemmeno la mano per un’elemosina. Giace silenziosa sotto i nostri occhi, frettolosi e assenti, poco disposti a farsi rovinare la passeggiata lo sguardo o questo sole arrogante da un’immagine non troppo insolita. E’ immobile, non un movimento impercettibile tradisce quel corpo sparpagliato, sfatto sulle pietre di castello. Immobile, la guardo. Immobili. Siamo in due ad esserlo. Mi chiedo di quale colore saranno i suoi occhi, e cosa avranno visto del mondo… di quali labbra avrà assaporato il miele ed in quante lingue avrà cercato calore nelle notti d’inverno…. Trattengo il respiro. E riesco a sentire il suo, come un sibilo che le attraversa i denti. Quanto coraggio in quest’esposizione nuda della propria fragilità e quanta dignità in quella posizione scomposta e ferma…mi chiedo come si possa assistere indifferenti ad una scena come questa. Me lo chiedo perché nessuno rallenta neppure il passo, tutti riescono a scansarla senza dover neppure imporre un altro ritmo alle gambe, vanno oltre, e continuano a chiacchierare ed a ridere in compagnia. Come se su quegli antichi gradini, praticamente sulla strada, non ci fosse altro che un vecchio mucchio di stracci, scoloriti e svuotati. Resto inchiodata. Dalla bellezza vera e feroce di quest’immagine che mi si staglia di fronte, dal coraggio di spogliarsi del proprio pudore ed esporsi disarmati e nudi ma senza esibizione, senza rumore… Nessuno sembra vederla eppure è un’ombra nera in mezzo a tutto quel bianco di pietre nel sole. Come è stato possibile arrivare a tanto, mi chiedo. E’ vero che la vita impone sempre più spesso ritmi e pensieri a volte frenetici, e non rimane troppo tempo per fermarsi a riflettere neppure su se stessi…ma siamo colpevoli tutti. Di non opporre resistenza. Di quest’indifferenza feroce che non si sfalda di fronte a nulla, che ogni minuto sembra venir rubato a qualcos’altro, di vitale e necessario. Esitare, fermarsi, sembra non esser possibile, forse anche un malcelato senso di impotenza impedisce a qualcuno di farlo, chissà… E’che la sofferenza e la povertà ormai sempre più presenti ci fanno troppa paura, ci imbarazzano addirittura ed allora è meno faticoso passare e andare oltre…con il corpo teso a passi veloci, come fossimo in balia di un meccanismo fisico che ci impedisce non solo di vedere, ma perfino di fermarci un momento.. e regalare quello che tutti possiamo regalare senza ipocrisia e senza paura, un sorriso silenzioso, una mano che ne stringe un’altra…l’unico regalo senza prezzo, che non ci vuota le tasche ma alleggerirebbe un po’ il cuore e ci renderebbe tutti meno stranieri…