di Ornella Demuru
Leggevo in un quotidiano sardo, di Anna Lia Longinotti, una giovane donna sarda, una ricercatrice un po’ particolare, un’astronoma per la precisione, che lavora al mitico MIT, il Massachussets institute of technology di Boston, negli Stati Uniti. È una notizia straordinaria. Il quotidiano le dedica, a ragione, una pagina di 4 colonne, con intervista e grande foto. La notizia fa il giro dei media sardi (e non solo), dai blog ai molti social network sulla rete. Ma perchè Anna Lia fa notizia? Perchè la notizia di una ricercatrice sarda di 34 anni che studia al MIT è qualcosa di straordinario? A parte la competenza di Anna Lia che l’ha portata a studiare in un così prestigioso istituto di ricerca, il fatto in sé dovrebbe essere normale e non straordinario. Fare ricerca scientifica per noi “civili occidentali” che tutto sappiamo, che tutto siamo, che tutto risolviamo non dovrebbe essere scontato? A questa domanda risponde benissimo Anna Lia nell’intervista: – “In Italia la situazione è piuttosto deprimente, la ricerca è percepita come uno spreco, ci additano come fannulloni, e i concorsi all’università sono fatti in maniera bizantina. In America ogni giovane invece è visto sempre come una risorsa”. A parte l’aggettivo bizantino, che non condivido per questioni di studio personali, la risposta della ricercatrice è fin troppo corretta e ha l’effetto di un pugno sullo stomaco. Un duro pugno. Verso chi? Verso l’Italia? Io credo che vada e debba andare a noi questo pugno, alla Sardegna, nella fattispecie alla Sardegna autonomista. Va dritto dritto alla incapacità di valorizzare le competenze, le passioni, la volontà diffusa tra i giovani e i meno giovani di crescere concretamente come individui e quindi come collettività. L’Italia è oggi uno Stato penoso, lo affermano gli italiani prima che i sardi. Mentre tutti i Paesi europei, dalla Germania alla Francia, per superare la grave crisi mondiale, aumentano notevolmente gli investimenti nella ricerca, l’Italia sceglie di tagliarli e non ha certo iniziato oggi, lo fa all’incirca da vent’anni. Taglia ogni campo di ricerca, riduce i corsi universitari, nel contempo aumenta le tasse riducendo però i servizi, non crea adeguate cooperazioni tra le università italiane e straniere, taglia (quasi cancellandole) le scuole primarie e secondarie, non ha piani e progetti per le scuole infantili. Taglia i docenti, i ricercatori, gli assistenti, il personale tutto. Ma in fondo non è uno scandalo. L’Italia, si sa, di progetti non ne ha nessuno. Né economico, né sociale. Per questo motivo taglia proprio lì, al cuore di un corpo comunitario: la conoscenza, fatta di istruzione, formazione e ricerca. Unici settori, unici campi attraverso i quali un Paese civile può veramente pulsare e crescere. Ma lasciando da parte le tristi derive italiane e l’incosistenza politica e culturale del Bel Paese, la Sardegna e il suo governo autonomista, per quanto dipendente sotto il profilo legislativo dalla Repubblica italiana, non ha scusanti. La Regione Sardegna ha il dovere di crescere e cambiare le sue politiche scolastiche, quelle universitarie e della ricerca scientifica. Ne va della nostra occupazione, del nostro benessere, del nostro futuro complessivo di sardi. La Sardegna deve con adeguate riforme, modificare l’intero sistema della conoscenza creandone uno proprio, un sistema nazionale sardo sull’istruzione. Che vada dagli asili infantili sino a giungere all’università e al campo della ricerca. Un sistema che crei anche delle differenti strutture pedagogiche, che responsabilizzi i bambini e li renda indipendenti, così come avviene in Germania e in Svezia. Piccole donne e piccoli uomini con una concezione della famiglia e della società nella quale si sentano da subito attivi e protagonisti, e non assistiti come accade oggi in Italia e per ovvi motivi anche in Sardegna. Un genuino governo sardo, se lo volesse, potrebbe attuare da subito una propria linea politica sulla ricerca scientifica: dalla medicina alla storia, dalle nano tecnologie sino all’architettura, perchè la ricerca oggi attraversa davvero ogni campo, e anche costruire edifici e case non può più essere ciò che vediamo e viviamo oggi nella nostra architettura pubblica e privata, dove vige ahimè la legge suprema del blocchetto. Un buon governo lo potrebbe fare sfruttando per esempio i fondi europei che la precedente legislatura regionale di centro-sinistra, aveva già sfruttato ottimamente istituendo per esempio il programma Master and Back, elaborato appunto grazie a fondi europei. Uno strumento che aumenta il livello della competenza professionale, ma anche la collaborazione tra le università e le imprese, generando un buona occupazione da alta formazione. Ma questo è quasi un caso isolato, che tra l’altro l’attuale governo regionale di centro-destra ha rischiato di bruciare completamente tra ritardi burocratici e scarsa volontà politica, se non pura miopia. L’attuale sistema istruzione in Sardegna pullula di precari, di graduatorie infinite, di disagi di ogni tipo. Per non parlare dei programmi della scuola sarda. Abbandonati al taglio neo-risorgimentale italiano, istituire lo studio della lingua, della storia e della cultura sarda è ancora ad un livello di mero dibattito, come in una nazione colonizzata. Qualche passo in avanti, e poi cinque, sei, sette indietro. Nessuna risposta politica concreta è arrivata dalle istituzioni in tutti questi anni per la nostra scuola, per l’università, per la ricerca. Nessun progetto concreto per il futuro. Progetti appena abbozzati e ben avviati, vengono poi cassati dalla legislatura successiva, in una continua centrifuga di contenuti e idee. Credo che i nostri governanti stiano semplicemente attendendo le solite soluzioni alchemiche del ministero italiano, qualche rattoppo per coprire le infinite falle, o per evitare qualche scomodo sciopero. All’orizzonte nessun progetto complessivo per la conoscenza dei sardi. Una politica, quella autonomista che non crede né all’istruzione, né alla formazione, né alla ricerca. È necessaria una politica nazionale sarda che creda veramente ad un Sistema Istruzione nazionale sardo. Che sfrutti già oggi i possibili strumenti istituzionali esistenti. Dei primi atti di tipo legislativo che permettano l’avvio e la costituzione di un sistema nazionale di istruzione. Fermo restando che lo Statuto della Regione Autonoma all’articolo 5, prevede: “la Regione ha facoltà di adattare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione ed attuazione su istruzione di ogni ordine e grado, ordinamento degli studi”, si potrebbe avviare uno studio per progettare e applicare norme di attuazione che definiscano le competenze della Regione Sarda in materia, così come fanno altre regioni autonome. Mentre per l’alta formazione esistono e continuano ad esistere i fondi europei del Programma Operativo FSE (Fondo Sociale Europeo) tutti da sfruttare. Fondi che però per ottenerli è necessario studiare e progettarne la richiesta, così come fanno in tutta Europa, mentre qui si improvvisa un’equipe di volta in volta, o si abbandona l’impresa e di conseguenza i fondi. È necessaria per questo una scuola ad hoc che studi la progettazione all’accesso dei fondi, con master specifici aperti ai tanti laureati e neolaureati in scienze economiche. Queste figure specializzate in questo tipo di progettazione dovrebbero essere assunte a tempo pieno ad ogni livello amministrativo, dal più piccolo ente locale alle istituzioni maggiori – se è vero che ci vogliamo rapportare all’Europa. Questi primi passi sarebbero già sufficienti per avviare vere riforme e modificare concretamente il sistema istruzione e ricerca, ma per farlo sono necessarie politiche di vera sovranità. Senza sovranità non abbiamo futuro. Senza una politica nazionale sarda la Sardegna rimarrà ferma e impigliata nell’ambiguità e nella sterilità della politica italiana. La nostra astronoma Anna Lia, è stata descritta ironicamente col naso all’insù. Anche io la immagino così, con gli occhi sul telescopio, alla ricerca di nuovi mondi. Ma credo che questa giovane ricercatrice abbia anche i piedi ben saldi a terra, e soprattutto sappia dove sta andando. Così come dovremo essere noi, scopritori di nuovi mondi, di nuove società, di nuovi sardi, ma con i piedi saldi a terra, per non dimenticarci di noi, del nostro impegno quotidiano e di domani, per la costruzione di una società giusta, che porta inevitabilmente alla Repubblica di Sardegna.
Ci tengo a condividere con voi, l’invito che il Giudice Caponnetto lasciava agli studenti, quando veniva invitato nelle scuole. ” Ragazzi, godetevi la vita, innamoratevi, siate felici, ma diventate protagonisti di questa nuova resistenza, la resistenza dei valori e la resistenza degli ideali.Non abbiate paura di pensare, di denunciare e di agire, da uomini e donne, liberi e consapevoli “.
Comunque, coloro che come me, non sono più tanto giovani, non possono permettersi di mettere i remi in barca. Si rischia di far affondare i nostri figli in questo fango di disvalori e ingiustizie, che ci circonda ( e per figli non intendo solo i figli naturali).