di Roberto Scema
“La nostra priorità è la salvaguardia della lingua. Si può ancora salvare il sardo in Sardegna. Si può ancora farne una “lingua normale”. Con questa impegnativa affermazione, il nuovo assessore della Pubblica Istruzione e dei Beni Culturali Sergio Milia, ha aperto i lavori della Conferenza regionale della Lingua sarda, svoltasi a Fonni. Il sardo non attraversa una fase di buona salute. E’ certamente ancora viva, ma, come hanno evidenziato i dati elaborati dalle Università di Cagliari e Sassari, illustrati in apertura della Conferenza, mostra evidenti segni di sofferenza. Un dato su tutti: “sa limba” è parlata per appena il 13% dei ragazzi, che la utilizzano per conversare con amici e familiari. L’uso della lingua è più diffuso nelle aree dell’interno e nei paesi più piccoli. Nei centri sotto i quattromila abitanti dicono di parlare il sardo l’85 per cento delle persone, mentre nelle città più importanti la percentuale cala al 58 per cento. In generale, solo il 29 per cento dice di capirlo bene mentre il 3 per cento non lo parla per niente, ma la stragrande maggioranza, oltre l’80 per cento, pensa che il sardo debba essere aiutato e insegnato nelle scuole come l’italiano e l’inglese. Milia ha così sintetizzato quali sono gli obiettivi dell’Amministrazione Regionale: “Utilizzare il sardo in famiglia, a scuola, nella società deve rappresentare la normalità. Per questa ragione, ci stiamo impegnando a rafforzarne il prestigio, con azioni e programmi specifici nella quotidianità a vantaggio della trasmissione intergenerazionale”. A tal proposito, ha aggiunto l’Assessore “il processo di valorizzazione della limba è già partito con il potenziamento della didattica e il suo radicamento nelle scuole attraverso corsi, nel normale orario di lezione, e borse di studio”, mentre “ulteriori risorse per la sperimentazione dell’insegnamento del sardo a scuola – ha aggiunto Milia – saranno reperite all’interno del progetto scientifico Scuola Digitale”. Quattro le azioni che l’Assessore ha annunciato di voler mettere in campo: la tutela e la valorizzazione delle varietà linguistiche della Sardegna; la promozione e la pianificazione linguistica e culturale; la promozione e la rivitalizzazione della lingua sarda nell’ambito liturgico ed ecclesiale; la promozione e la valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna a scuola e nell’Università. Diverse anche le azioni specifiche annunciate, come il sostegno ai premi letterari e poetici in sardo, la realizzazione di ricerche sulla situazione linguistica dell’isola, il sostegno alla traduzione dei classici, la promozione del cinema, della musica, del teatro e della letteratura in sardo. In fase di predisposizione anche l’atlante linguistico multimediale, il dizionario normativo, il vocabolario generale, la realizzazione di un software per l’utilizzo del T9 nella messaggeria in sardo. Una gran mole di buoni propositi e di iniziative focalizzate attorno all’obiettivo di “salvare una lingua ancora viva dalla strada che porta all’inevitabile oblio”. Ma il tutto deve sostanziarsi anche di concretezza, se è vero come è vero che, tanto per fare un esempio, anche gli Uffici della lingua sarda (circa 200 in tutta l’isola, con 500 persone impegnate dal punto di vista lavorativo) presenti nei Comuni e nelle Province, sono finanziati esclusivamente da fondi statali. A parte i fondi (comunque importanti), se veramente la Regione vuole dare gambe a quanto dichiarato, deve essere messa in campo una azione a tutto campo che possa colmare il “gap” che la lingua sarda paga rispetto all’italiano e persino all’inglese, che spopolano attraverso media e scuola, relegando ancora, anche nell’immaginario collettivo, l’uso della lingua ad una dimensione domestica e localistica, non utile a misurarsi adeguatamente alle sfide globali con le quali i nostri giovani quotidianamente si confrontano. Ed allora forse non è sufficiente tradurre in sardo Topolino, trasformandolo in “Sorigheddu”, e consentire ai ragazzi di mandarsi sms in limba; bisogna, lentamente, faticosamente, far diventare patrimonio comune l’idea che l’apprendere bene il sardo, sin dalla più tenera età (fondamentale a tale riguardo il contesto familiare), non ostacola, anzi, favorisce (come dimostrano gli studi più recenti) l’apprendimento delle altre lingue, italiano compreso, rappresentando una carta da giocare in più per le “sfide” individuali. Così come occorre trasferire su livelli generali, la certezza che attraverso la consapevolezza linguistica passa il rafforzamento identitario, e con esso cresce la possibilità di riscatto socioeconomico della nostra isola. Il tutto con due avvertenze di stampo metodologico.
La prima: anche la società sarda, seppure in ritardo, è in fase di rimescolamento etnico e pertanto anche linguistico. Guai a chi pensa, in questo contesto, di poter utilizzare la questione linguistica come elemento di contrapposizione rispetto a chi arriva nella nostra isola. La seconda: i processi di cui parliamo maturano soltanto in tempi medio-lunghi. Nel mezzo ci saranno le solite dispute antropologiche, intellettual-filosofiche, di campanile territoriale, e chi più ne ha più ne metta. Tutto necessario, ma che sia tenuto entro i normali limiti fisiologici.