di Gianni Cilloco
In ogni città contemporanea dovrebbe sempre esistere «uno spazio per comunicare». A tale riguardo esemplare appare essere una delle “capitali del mondo”, Parigi, la quale, tra i suoi innumerevoli siti di valore storico, offre al pubblico il celeberrimo Centro Georges Pompidou, sede di mostre d’arte moderna di interesse planetario.
Biella, nel suo piccolo, all’incrocio tra via Fratelli Rosselli e viale Macallè, presenta analogalmente un edificio molto particolare, «inconfondibile nel tessuto urbano circostante…punto di forza per la costruzione di un futuro inedito e imprevedibile»: il Palazzo Boglietti, su disegno dell’architetto Alberto Rizzi. Un edificio assai originale, definibile come «un volume dinamico, quasi un vortice pietrificato che attrae lo sguardo e contemporaneamente lo spinge in alto verso il cielo…astrazione di un fuso che inconsciamente si ripropone qui a Biella come simbolo incancellabile dell’attività legata alla filatura che per secoli ha caratterizzato questi luoghi…un Centro Polifunzionale di idee e un Laboratorio di Arte e Cultura, un nodo polifonico importante…proprio in questo momento storico in cui la città deve trovare e inventare una sua nuova identità non avulsa dalla particolarità e dall’unicità del suo passato» (cfr. A.a.V.v., Palazzo Boglietti. Uno spazio per comunicare, Associazione Culturale Obiettivo Domani, Biella 2006, pp. 9-10). Un luogo, quindi, che vede alle sue “fondamenta” temi come l’identità e la cultura, aspetti che, come segnalato a più riprese in molteplici passate occasioni, sono la risultante storica di più contributi.
La rassegna d’arte in corso riflette tali costanti: dal 06 Novembre scorso, infatti, e fino al prossimo 09 Dicembre 2010, è ospitata la mostra dal titolo “Non c’era una volta”, opera dell’astigiano Paolo Fresu, un evento co-promosso dalla Galleria Montmartre di Biella e dalla locale Associazione Culturale Obiettivo Domani. Già il cognome dell’artista “tradisce” una combinazione di radici e di fattori che possono colpire gli abitanti delle pendici di Oropa, sensibili alle “casualità” delle circostanze umane. Fresu, infatti, è lemma di matrice sarda, diffuso sull’Isola nel Logudoro e nella Gallura, ed indica l’orbace, ossia uno speciale panno in lana (cfr. la relativa voce in L.Manconi, Dizionario dei cognomi sardi, Della Torre, Cagliari 1987). Ed il tessuto, “filo conduttore” del territorio ospitante la rassegna, costituisce anche materiale usualmente inserito dall’artista in questione nelle proprie opere per creare effetti scenici più reali e originali. Paolo Fresu, infatti, è autore di composizioni in parte pop ed, insieme, surreali, ove pensiero e materia, istinto e raziocinio, creatività figurativa e ricerca trovano un percorso comune attraverso l’uso di tecniche miste e di collage di vari elementi materici, quali colori, tessuti locali e carte varie. I soggetti, spesso ispirati al mondo delle fiabe collodiane, sono figure allegoriche ed ironiche, talora irriverenti, nutrite di una teatralità nella quale, insieme, convivono sacro e profano, poesia e fantasia, peccato ed immaginazione. Un modo per denunciare e provocare, lungo una via anticonformista, la “teatralità” del mondo attuale, uno spettacolo dell’esistenza contemporanea rappresentata attraverso l’arte e la fiaba ma che permette la visione “a specchio” di se stessi.
In una cornice futuribile, quindi, quale è Palazzo Boglietti, trova accoglienza il lavoro comunicativo, immaginifico e senza tempo di Paolo Fresu, che usa definirsi «un illustratore che racconta un mondo fiabesco ed una dimensione parallela» attraverso la creazione di un contrappunto di forme, materie, colori e segni assolutamente da non perdere. Si assiste, così, ad una sostanziale ricerca, originale e libera, della bellezza che l’artista cattura nell’esistente facendosi “riflesso creatore” e, come soleva indicare Paul Klee, “conduttore” oltre il “visibile”. Anche perché, come sottolineava lo scrittore russo Fëdor Dostoevskij, «l’umanità senza la bellezza non potrebbe più vivere».