DOPO LA CRISI ECONOMICA, UN'ALTRA CRISI CI STA CATTURANDO NELLE SUE SPIRE SOFFOCANTI: QUELLA DELLA VIOLENZA


di Omar Onnis

Non so se qualcuno ci abbia fatto caso. Forse siamo anestetizzati dal continuo bombardamento mediatico e intorpiditi dall’incrudelimento delle forme di socializzazione dominanti. Mi pare però del tutto evidente che, insieme alla crisi economica, un’altra crisi ci stia catturando nelle sue spire soffocanti: quella della violenza.

Non si tratta tanto di una crescita statistica dei delitti, è più un sentore di rassegnazione verso le forme di violenza meno clamorose ma più vicine, più minacciose. La violenza quotidiana, familiare, di vicinato. Il senso del distacco dagli altri e dal mondo, in nome di un ripiegamento egotico, autoreferenziale, esclusivo.

Banali fatti di cronaca, che se presi uno ad uno non costituiscono né una novità né un reale pericolo per la collettività, messi insieme in una elencazione generale danno l’idea che qualcosa si stia rompendo. Non tanto per i fatti in sé, quanto per la reazione sempre più fredda, cinica o rassegnata che li segue.

Parlo soprattutto di noi, della Sardegna, di quel che accade nelle nostre città e nei nostri paesi. Nel giro di una settimana abbiamo radunato una casistica completa di atti violenti (dai pestaggi agli stranieri, alle violenze in famiglia, alle risse da discoteca, al sequestro di persona). E si tratta solo di ciò che – come si dice – balza agli onori delle cronache. E tutto il resto? Tutto ciò che sfugge alla narrazione mediatica?

Non voglio passare per il moralista ipocrita che all’improvviso scopre quanto sia difficile il mondo e vuole prenderne le distanze. Questo tipo di deriva – temo – coinvolge direttamente ciascuno di noi. E costituisce un grande problema politico.

Problema che però sembra derubricato a “varia ed eventuale”, se non addirittura disconosciuto come tale. Eppure – a naso – non mi pare slegato dalle altre dinamiche di questi tempi, da altri discorsi che riguardano la nostra collettività. Le forme di mancanza di rispetto che si accumulano e fanno sistema sono diverse, ma collegate. È come se avessimo smarrito il senso dello stare insieme, del co-esistere, del con-vivere. Come se la crisi economica e morale accentuasse se stessa agendo sulla nostra passività e sul nostro egoismo, anziché costringerci a reagire e ad opporci.

Non è una bella visione. Dobbiamo sempre tenerci aggrappati al nostro intimo legame con la Terra e con i nostri vicini. E dobbiamo cercare un altro orizzonte cui guardare, sollevando lo sguardo dalle nostre scarpe.

Un po’ più di quello che mistici e religiosi chiamano amore, un po’ più di sana consapevolezza della propria non-autosufficienza sarebbe già qualcosa. Riannodare i fili della grande rete che ci lega gli uni agli altri e tutti insieme alle forze e alla materialità del pianeta che ci ospita e al quale apparteniamo.

Ma per farlo è necessario volerlo, è necessario voler imparare, volersi mettere in gioco e anche abbandonare l’indifferenza e l’ignavia. Sia nelle cose di tutti i giorni, sia in ambito più propriamente politico.

La violenza non è la risposta giusta. Non lo è mai. Tollerarla nemmeno. La non-violenza sì, invece, in ogni sua declinazione. Non come passività, bensì come azione, come proposta, come risposta forte. Risposta a tutte le crisi che che inquinano l’atmosfera fisica e morale in cui siamo immersi.

Non è la strada più facile, forse, ma certo è la più proficua.

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