di Celestino Tabasso *
Genetica, statistica e informatica: è un’alleanza a tre quella che consente – e in futuro consentirà sempre di più – di mandare a buon fine i trapianti di midollo osseo per debellare la talassemia. Ne ha dato notizia il quotidiano online “Osservatorio malattie rare”, mettendo in evidenza come sia la Sardegna la base di partenza per questo balzo in avanti terapeutico. Una squadra di ricercatori dell’Università di Cagliari ha scoperto il criterio per scegliere il donatore di midollo (o meglio: di cellule staminali ematopoietiche) abbattendo il rischio di un esito infausto dell’intervento. Quando si trapianta un organo e il corpo del ricevente non lo accetta si parla di rigetto; nel caso del trapianto di midollo il meccanismo è opposto e anche più pericoloso. Il rischio ha per nome un acronimo apparentemente neutro, GVHD, che sta per Graft versus Host Disease: come spiega il professor Giorgio La Nasa, direttore di Ematologia all’Ospedale Binaghi di Cagliari e uno degli autori dello studio, «è l’esatto contrario del rigetto: quando vengono trapiantate le staminali ematopoietiche, cambiano tutte le cellule del sangue, il sistema immunitario diventa quello del donatore e può succedere che le cellule responsabili della risposta immunitaria non riconoscano come proprio l’organismo ospite, ad esempio quello del malato di talassemia, attaccandolo». Se nel caso di rigetto “classico” l’organismo si ribella contro il nuovo organo, con il GVHD il sistema immunitario aggredisce l’ambiente che dovrebbe difendere, come un poliziotto impazzito che spara sui concittadini. Quello che i ricercatori cagliaritani hanno individuato è il fattore che rende più o meno probabile l’insorgere «di questa che resta la complicanza più temuta, che generalmente si manifesta entro cento giorni dal trapianto» e comporta elevati rischi di morte. Secondo la ricerca cagliaritana – pubblicata dalla rivista scientifica britannica “Bone Marrow Transplantation” – l’elemento determinante è verificare «se il donatore è omozigote per l’aplotipo KIR di gruppo A»: si tratta di capire di che tipo è il sistema che modula l’attività delle cellule Natural Killer. Se il donatore appartiene al gruppo A le sue “cellule omicide”, le truppe scelte da impiegare contro infezioni e degenerazioni, hanno probabilità molto più consistenti di sparare nel mucchio, aggredendo l’organismo ricevente. Il trapianto di staminali ematopoietiche attinte da un donatore eterozigote, e dunque con almeno la presenza di un aplotipo di tipo B, minimizza i rischi del trapianto che oggi, se effettuato su pazienti in buone condizioni generali, ha esito soddisfacente in oltre il novanta per cento dei casi. Come è evidente, un sistema affidabile per ottimizzare l’esito del trapianto rende – e renderà – più alta la fiducia dei pazienti, e quindi maggiore il ricorso a un intervento che resta a oggi l’unica via di guarigione dalla talassemia. Probabile quindi che in futuro si vada oltre i 50-60 trapianti annui che hanno luogo in Sardegna, 15-20 dei quali effettuati al Binaghi. Intanto l’efficacia della selezione del donatore, come spiega l’Osservatorio, è stata confermata dal test che i ricercatori hanno effettuato su campioni biologici di 78 malati di talassemia di età compresa tra 1 e 29 anni, tutti pazienti che avevano subito un trapianto di midollo da donatore non consanguineo e dunque attraverso cellule staminali provenienti dalle biobanche internazionali. Questo non significa che verranno accettate donazioni solo dagli individui “geneticamente non problematici”: come spiega il professor La Nasa «avviene di dover fronteggiare forme di leucemia particolarmente aggressive, che obbligano a trapianti d’urgenza per salvare la vita del paziente, e a volte non è possibile fare selezioni ulteriori a parte quelle indispensabili. Ma la talassemia è una malattia cronica che si può ormai definire a prognosi aperta, i nuovi farmaci permettono una vita più lunga e migliore: in questi casi possiamo e dobbiamo, prima di procedere al trapianto, trovare il miglior donatore possibile». A fornire ulteriori garanzie, infine, c’è un algoritmo che permette di individuare velocemente il miglior donatore. Si chiama Rete Neurale Artificiale perché imita il sistema istantaneo di connessione e scambio di informazioni tra le nostre cellule cerebrali: incrociando i dati fisici, genetici e anagrafici del ricevente è facile trovare un responso statisticamente affidabile su quale sia il migliore tra i donatori disponibili. Si tratta di un sistema analogo a quello adottato dai meteorologi per prevedere, con un’attendibilità molto elevata e sempre crescente, che tempo farà: abbinando i dati su pressione, cumuli e altri fattori all’archivio storico delle precipitazioni, i tecnici sono in grado di calcolare quale esito avrà (presumibilmente) quella situazione meteo. E così i clinici, intessendo le conoscenze sul paziente e sul donatore con le statistiche sui trapianti, possono predire quale sarà l’esito dell’intervento, mettendo i medici in condizione di agire al meglio e iniettando nel paziente una dose importante di fiducia.
* Unione Sarda