di Michela Murgia
Claudia Moreno è una vecchia bellissima, con i capelli sciolti e gli occhi splendenti come i colori delle lane che indossa. Quando sale sul piccolo palco di Terra Madre per parlare a nome degli indigeni Huarpe dell’Argentina, si fa subito silenzio. Ma invece di parlare, lei comincia a mugolare un canto a labbra chiuse, mentre le braccia si raccolgono intorno al petto nell’atto di cullare un invisibile nipotino. La sua voce risuona spezzata, ipnotica, piena di dolcezza. Quando finisce la ninna nanna Claudia Moreno comincia a raccontare, guardando negli occhi i rappresentati ammutoliti di oltre trenta paesi seduti davanti a lei. “Noi siamo il resto di un popolo che per il possesso della nostra terra è stato sterminato. Quando voi parlate dei “diritti” nei confronti della terra non vi comprendiamo. Ci è sconosciuto il senso di possederla. Come si può possedere la terra? Si può solo trarne nutrimento, ma non venderla e comprarla come se ci appartenesse. Nel mio popolo la terra appartiene alle assemblee comunitarie delle tribù, non ai singoli, e ogni anno viene distribuita ai gruppi familiari secondo le esigenze di ciascuno. Non esistono uomini e donne per noi davanti alla Terra: c’è solo la coppia, come sono coppia la Terra e il Sole. Noi stiamo sulla Terra insieme, la coltiviamo insieme, lei ci nutre tutti.” Scende dal palco dritta come uno scettro e mentre mi passa accanto capisco finalmente il vero senso del termine “matriarca”. Poi prende la parola una giovane filippina delicata come un giunco, con i capelli lisci e scuri che a volte mentre parla le coprono il volto. Ci mostra un video che ci impressiona e racconta delle donne delle campagne filippine che non possono lavorare la terra che è stata loro assegnata perché gli eserciti personali dei latifondisti gli sparano addosso. Ci parla della loro lotta per riprendersi il diritto a seminare, e non ci sembra possibile credere che ci siano davvero riuscite, mentre nel video scorrono le immagini degli inseguimenti con i mercenari. Dopo di lei prende la parola la portavoce del Malawi; è alta e imponente, i capelli in parte bianchi dichiarano la sua autorevolezza. Racconta che in Malawi per legge le donne non possono possedere la terra: spetta solo ai maschi. Per cambiare questa norma la sua associazione femminista ha fatto molto lavoro di lobby negli ultimi anni per aumentare il numero delle rappresentanti donne al governo, tanto che alle ultime elezioni sono riuscite a farlo passare dal 14% al 27% e si propongono di cambiare la legge sessista. In Italia la percentuale di donne in Parlamento è del 21%. La guardo mentre parla e penso che se tutte le rappresentanti del Malawi sono come lei, quella legge di sicuro passerà. Si alza dopo di lei un indiano solenne come un principe, con in testa un turbante colorato e le mani che seguono il ritmo della parole. Parla del lavoro che si sta facendo in India perché il diritto di accesso alle risorse della terra sia esteso a tutti, senza distinzione di casta o di genere. Le voci dei rappresentanti dei popoli si susseguono una dopo l’altra, da ogni parte del mondo, e anche se ho le cuffie con la traduzione spesso le tolgo per gustarmi il suono delle loro lingue. Questa è Terra Madre, il crocevia di incontri, tavole rotonde, progetti comuni e scambio di buone prassi che Slow Food organizza parallelamente al Salone del Gusto per il quarto anno consecutivo. Molte di queste persone sono qui perché sono responsabili di progetti di microagricoltura, pesca e allevamento finanziati o progettati insieme a realtà italiane, enti e associazioni. Lo spazio molto ampio dell’Oval del Lingotto sembra rimpicciolito dal numero di persone di ogni nazionalità che lo percorre in ogni direzione; nei seminari tematici che si svolgono senza interruzione si acquisiscono le informazioni più necessarie, si condividono i progetti che hanno funzionato e si scoprono problemi straordinariamente comuni anche tra mondi lontanissimi. Qui dentro non si può entrare pagando un biglietto, ci vuole l’accredito, perché non è un posto per curiosi come il godereccio Salone accanto, con i suoi profumi e il suo commercio al dettaglio. A Terra Madre si progettano diritti, pace, sviluppo: tutte cose che passano attraverso il controllo delle fonti di produzione di cibo. Sembra ovvio, ma per noi pasciuti occidentali che del cibo conosciamo meglio il contenuto calorico che la cultura che l’ha generato, è un corso accelerato di rivoluzione. Sono tornata con semi di tutti i paesi del mondo, con lane di animali di cui non conoscevo nemmeno il nome, e con la voglia fortissima di allargare questo sapere per farne competenza condivisa. Ringrazio Anna Sulis, presidente di Slow Food Sardegna, che ha reso possibile per me questa bellissima esperienza.