di Massimiliano Perlato
La notizia era stata ripresa a luglio dal sito dell’emigrazione sarda www.tottusinpari.blog.tiscali.it e si riferiva alla tragedia del cargo russo Komsomolets Kalmykii, naufragato il 31 dicembre 1974 a Capo Carbonara in Sardegna con 9 marinai sovietici annegati. Nel sito ci sono state diverse testimonianze su quell’accaduto oramai lontano 36 anni. Anni di silenzio relativo in cui non si è più parlato del carico stivato nel cargo sovietico. La prima testimonianza raccolta è del signor Raffaele (citiamo solo il nome) italiano residente a Mosca che ci parla del carico del Kalmykii: “qualcosa si sta muovendo anche grazie al vostro sito: ora si può ipotizzare tutto ciò che si vuole e anche questo può andare bene al fine di smuovere le acque e provocare gli interventi dovuti. La nave russa (così come ho scritto su Wikipedia), aveva caricato 4.939 tonnellate di profilati d’acciaieria, 1.732 tonnellate di NaoH fusa al 98% infustata in contenitori metallici per un totale di 6.671 ton. detto questo si comprende che la teoria di un ulteriore carico di 1.500 ton. è praticamente assurda se si considera che la nave aveva una stazza lorda di 5.200 ton. Stefano Masala, prima della sua scomparsa mi aveva raccontato che il relitto e parte del fondale adiacente era ricoperto da un manto di sali bianchi che si doveva fare con urgenza per recuperare i fusti di soda prima che si corrodano tutti”. Ed è intorno a quest’ultima questione che si dipanano gli interrogativi: un qualcosa che comunque interessava molto il governo sovietico che, per circa tre anni, cercò inutilmente il relitto della Komsomolets Kalmykii nel mare di Capo Carbonara. Erano gli anni della “Guerra Fredda” e a quella nave si interessarono molto anche i servizi segreti italiani, l’intelligence americana e la Us Navy. Il relitto era però introvabile. Sembrava essere svanito nel nulla. E qui entra in ballo Stefano Masala già citato dal signor Raffaele. Sono stato contattato dal fratello Eugenio: “Io e Stefano facevamo parte di una nota impresa di lavori subacquei della Sardegna. Per diverso tempo abbiamo cercato la nave in una zona circoscritta, senza nessun risultato”. Sarà finito su un fondale di almeno mille metri, dicevano negli anni Settanta gli esperti della Capitaneria di porto di Cagliari. E così la storia del cargo sovietico venne dimenticata. Fino a due anni fa, quando il relitto è stato localizzato. Recuperata la mozione del Consiglio Regionale della Sardegna (a firma di Zuncheddu, Uras, Ben Amara, Sechi e Zedda) scopriamo che la nave ad una profondità di soli 118 metri è stata avvistata proprio da Stefano Masala. L’autore del ritrovamento – dice la mozione – esperto subacqueo, è deceduto mesi dopo durante una immersione. E ad oggi, non si conosce ancora la posizione esatta del relitto. Tuttavia il suo ritrovamento è da considerarsi di grande importanza al fine di accertare un eventuale danno ecologico legato alla presenza a bordo del carico di soda caustica contenuta in fusti metallici, nonché all’eventuale presenza di materiali tossici o radioattivi stoccati all’interno della nave e non dichiarati. La soda caustica o sodio idrossido (NaoH) è una polvere bianca tendenzialmente granulare, inodore e molto solubile in acqua. Si tratta di una sostanza chimica (detergente caustico) utilizzata nell’industria siderurgica; ad alte concentrazioni è corrosiva per la pelle, le mucose e per gli occhi. Per quanto riguarda la tossicità, si sono verificati decessi in adulti che hanno ingerito meno di 10 grammi di idrossido di sodio: a livello ambientale, se scaricata nelle acque ha violente reazioni esotermiche. In ogni caso la soda caustica è responsabile di una forte variazione di pH con gravi ripercussioni per l’habitat marino e i suoi organismi viventi. Il mistero s’infittisce: cosa trasportava la nave Kalmykii? Non è stata mai chiarita ufficialmente la natura di quel carico e dove fosse stato imbarcato. Ma in Regione Sardegna, rileggendo la mozione del 29 luglio 2010, sembrano avere un po’ più le idee chiare seppur a distanza di tantissimi anni ponendosi la domanda sul perché soprattutto i russi avessero insistito a lungo nella ricerca. A tutt’oggi, 36 anni dopo, l’interesse dei russi per la localizzazione del relitto è ancora vivo, viste anche le sollecitazioni recenti documentabili e datate 26 novembre 2009. Un dato importante è che la tipologia del 50% del carico risultava sconosciuta sia alle autorità che alle assicurazioni. La Kalmykii era una nave moderna e dotata della più sofisticata tecnologia navale dell’epoca. Il naufragio, poi, risulta essere una sorta di buco nero. Prima di tutto la fragilità della versione ufficiale: la nave sarebbe affondata in un mare in burrasca. Una circostanza clamorosamente smentita dal bollettino meteo ufficiale che parlava di “vento di maestrale, con mare agitato valutato in forza quattro, tendente forza cinque”. Insomma, non certo una burrasca e comunque una situazione sicuramente non critica per una nave di quella stazza. La testimonianza più coinvolgente ottenuta dal sito di “Tottus in Pari” è del signor Corrado Armerino, che originario di Ponza, vive a Capoterra nel cagliaritano in precarie condizioni di salute: “Ho 4 figli, mia moglie è originaria di Desulo: la Sardegna è la mia seconda terra. Ho dedicato la mia vita al mare e sono uno dei pochi ancora in vita che quel giorno erano sul rimorchiatore Vigore che doveva prestare soccorso”. I soccorsi appunto: finiti sotto inchiesta per la loro lentezza. L’Sos venne lanciato alle 15 circa, dopo mezz’ora di navigazione. I soccorsi si mossero con un inspiegabile ritardo e con mezzi assolutamente inadeguati: il rimorchiatore Vigore, molto lento, uscì dal porto di Cagliari alle 17,45. Cioè quasi tre ore dopo la richiesta d’intervento. Nove dei 36 marinai della nave sovietica morirono nel mare di Capo Carbonara. Tra loro, anche il capitano Nikolay Sychev. Per l’incredibile ritardo dei soccorsi, l’allora comandante della Capitaneria di porto di Cagliari, Bruno Sassu, nel 1980 finì sotto processo per omicidio colposo plurimo. Ma Corrado invece parla che l’ordine di salpare arrivò molto tardi: “Il Vigore ormeggiò alla vecchia stazione marittima di fronte ai Vigili del Fuoco in attesa delle 18, orario della partenza del postale per Civitavecchia. Ma poco prima di quell’ora ci arrivò l’ordine di allerta pronti ad uscire per un salvataggio”. Insomma, il sospetto che intorno al relitto, diventato oggi una bomba ecologica, si sia sviluppata una sorta di spy-story: una corsa al suo recupero, ma anche una volontà di occultamento del luogo esatto in cui Komsomolets Kalmykii è finita. In questo contesto potrebbe inquadrarsi il misterioso incidente al sommergibile americano a propulsione nucleare SSN-653 Ray della classe Sturgeon, avvenuto il 20 settembre 1977. Dopo aver tenuto nascosto per due giorni l’incidente, il comando della VI Flotta diffuse un comunicato ufficiale nel quale si diceva che il Ray era finito “contro una montagna sottomarina di corallo” circa 60 miglia a sud di Cagliari. Si parlò genericamente di “imperizia da parte dell’equipaggio” e che comunque non si erano verificati danni al propulsore nucleare. Versione dubbia: nel canale di Sardegna i fondali sono superiori ai mille metri di profondità e i sommergibili della classe Sturgeon raggiungono una profondità massima operativa di 350 metri. E poi, in quell’area non ci sono montagne sottomarine. Tanto meno di corallo. Ne deriva che l’incidente è sicuramente avvenuto altrove e su fondali molto più bassi. Scavando nella storia di questo sommergibile, poi, si scopre che il Ray era il mezzo più attrezzato per lo spionaggio sottomarino. Cosa stava cercando? Il signor Corrado, testimone vivente dell’accaduto, nel suo dettagliato resoconto che abbiamo ricevuto, avanza dubbi anche sulla profondità del relitto: “dicono di averla trovata a 118 metri di profondità. Ma tale fondale sta
ndo alla carta nautica lo troviamo a circa 5 miglia a sud dell’Isola dei Cavoli anzi dalla secca di Santa Caterina unica responsabile di tale sciagura dedotto dal racconto del primo ufficiale russo che salvammo per primo e che ci aiutò nel salvataggio di coloro che erano ancora in acqua”. Altra discrepanza quindi. La Regione Sarda ora vuole chiarezza sulla vicenda che ha fortemente interessato Stai internazionali come gli U.S.A. e l’ex U.R.S.S. Quale trama criminale si nasconde nelle acque cristalline della Sardegna?