di Mariella Cortès
Fate una riflessione: quante volte entrando al supermercato avete acquistato di vostra sponte i prodotti sardi? Per vostra sponte intendo senza la necessità di essere ammaliati da offerte o design accattivanti. Qualche giorno fa, riflettendo sulla protesta dei pastori, ho dato un’occhiata più attenta alla posizione negli scaffali dei prodotti made in Sardegna e ho notato che nella maggior parte di casi non sono a portata di mano ma vengono quasi oscurati e relegati a posizioni non convenienti e, sempre più spesso,nei carrelli dei consumatori non si parla sardo. Ma, di contro, è anche vero che in molti supermercati, in fondo alla scontrino, subito dopo il totale, è presente la percentuale dei prodotti isolani messi nel carrello. Ma rovate anche voi a entrare nei supermercati e osservare, senza limitarvi solo a latte e formaggio quanti e sopratutto dove sono posizionati i nostri prodotti e scoprirete cosa c’è, ancora dietro le manifestazioni degli ultimi mesi e quante sfaccettature ha la polemica esplosa quest’anno.
La protesta dei pastori è la metafora della goccia che fa traboccare il vaso: latte venduto a prezzi ridicoli, pressioni dall’economia europea e nazionale, frequenti importazioni e una clientela che snobba totalmente il made in Sardegna. Basti pensare alla pluricontestata questione delle mense scolastiche che non prevedevano cibi sardi nella loro cucina o che bandivano il Pecorino – che a detta di molti non piaceva ai bambini- in virtù del Grana. A tal proposito la Regione Sardegna interviene proponendo un bonus a chi fornirà alle mense non solo merce fresca, ma anche prodotta in loco e di fatto, la strategia a chilometri zero sembra essere un primo passo verso una maggiore sensibilizzazione nei confronti dei prodotti sardi. Nel frattempo, iniziano a farsi spazio, accanto alle eclatanti proteste dei pastori, anche le voci più flebile di chi utilizza il web per promuovere i nostri prodotti: sul social network Facebook son due i gruppi dedicati alla gastronomia locale.
“Prodotti tipici sardi”, giunto a quasi 10.000 contatti promuove attraverso un sito web ogni tipo di gioiello gastronomico isolano. C’è poi un gruppo-appello, “Acquistiamo i prodotti sardi” che ai suoi oltre 1200 soci ricorda che: “Siamo i migliori a saper “lavorare” il latte,siamo i migliori a lavorare le carni ma siamo i peggiori a saperli apprezzare! Iniziamo con le piccole cose,acquista anche tu cibi e/o prodotti made in Sardegna e per chi potesse acquistare direttamente dal pastore,dal fornaio insomma da chi crede e tramanda le tradizioni sarde, è pregato di farlo. Siamo sardi le nostre tradizioni non devono morire ma anzi tramandarsi da generazione a generazione.”
Impariamo allora a leggere le etichette – con la speranza siano veritiere- e verifichiamo se i il pane, i biscotti, la pasta, i sottolio che acquistiamo sono davvero realizzati con prodotti sardi. Grano, uova, ortaggi… vengono davvero dalla nostra terra? Ecco cosa c’è dietro la protesta dei pastori. C’è una lente di ingrandimento puntata sulle nostre produzioni e sulla sempre meno attenzione che i consumatori vi rivolgono. Il tutto si traduce in un circolo vizioso: ai pochi consumatori che acquistano prodotti sardi interessa sempre meno il contenuto dell’etichetta quindi i produttori abbattono i costi e acquistano materie prime in dosi industriali senza tener conto della provenienza. E tornando alla protesta dei pastori, i problemi riaffiorano come funghi. La scarsa considerazione verso i tre prodotti a Denominazione di Origine, Pecorino Sardo, Pecorino Fiore Sardo, Pecorino Romano, (questi ultimi due inseriti anche negli atti della Convenzione di Stresa del 1951) e di altri formaggi suscettibili del marchio DOP come il Bonassai, il casizolu di pecora (ottenibile solo in estate a fine lattazione), il casu axedu, il joddu, il casu friscu, il semicotto di capra, il pecorino di Osilo e quello di Nule; senza poi considerare alcune rarità che possono essere prodotte solo artigianalmente come su Casu Cottu, su Casu Filixi, il formaggio stagionato nell’argilla del Gerrei e prodotti innovativi come il Gran Sardo (un formaggio della tipologia grana, con stagionature di oltre un anno, grandi capacità nutritive ed organolettiche), l’ Ovinsard (formaggio erborinato della tipologia Roquefort) i caprini erborinati o crosta fiorita (tipologia Camambert). Come ha confermato alla stampa l’industriale caseario tiesino Paolo Mannoni, si tratta di formaggi che non conoscono crisi e che vengono invece surclassati dal pecorino romano per il quale viene destinato il 75% del latte prodotto in Sardegna. E i dati sulle produzioni DOP 2009, ora più che mai, parlano chiaro: Romano 29.461,19 Quintali, Pecorino Sardo 1.960, Fiore Sardo 600.
Ecco allora tra i tasselli che compongono il muro della protesta, aggiungersi quello delle eccedenze. Ad ottobre 2009, l’eccedenza della produzione (cioè la stima di ciò che nei magazzini si presuppone rimarrà invenduto) è stata di 40 mila quintali di pecorino (rispetto a una produzione di 266 mila quintali 2008-2009); quest’anno l’eccedenza prevista a ottobre 2010 sarà di 60 mila quintali (con 274 mila quintali produzione 2009-2010), ossia 40 milioni di litri di latte che non verranno trasformati mentre il rischio per il 2011 è di 100 mila quintali di eccedenze.
Sfumando sul discorso politico, sulle occasioni perse in occasione di fondi europei lasciati marcire nei cassetti e su un continuo saltare di amministrazione in amministrazione, quel che può portare, nella quotidianità a un rilancio del made in Sardinia è una maggiore sensibilizzazione da parte della stessa Regione e dei punti vendita nei confronti dei prodotti sardi. Un piccolo segno viene dagli scontrini dei supermercati che si congratulano con il cliente per la percentuale di prodotti sardi acquistata. Un piccolo segno che fa riflettere e ricontrollare la propria busta della spesa. Certo,nei punti vendita serve una strategia marketing d’impatto che metta sotto i riflettori i prodotti sardi e non li releghi negli ultimi scaffali o sotto le grandi marche nazionali e internazionali: una politica delle offerte mirata alla genuinità insomma. E, a tal punto, ancora un’osservazione: a chi ha problemi di osteoporosi il proprio medico consiglierà il Parmigiano Reggiano. Ma molto spesso lo stesso medico ignora che consigliando al suo paziente di consumare del Pecorino, gli fornirà la stessa quantità di calcio con meno colesterolo. Basterebbe in fondo una maggior informazione e conoscenza ma anche solo, un pizzico di orgoglio in più nel portare in tavola i prodotti della nostra terra.
Volevo fare i complimenti a questo sito che fa informazione cento volte meglio dei nostri giornali in Sardegna, politicizzati e schierati. Vedo che c’è spazio per tutti ed è sempre bello leggere su quello che fanno i nostri emigrati in giro per il mondo. Bravi!
Torramus a li ponnere sa bandana in occros a sos moros ( e biancos e giallos ) invasores e apperimus sos nostros. Sas multinazionales sono su colonialismu modernu chi este affoccandhe peri sos sardos. Candho atta a essere chi chie nos rappresentatat in sas istituziones demograticas ana a ampilare sa voche pro difendhere su travallu nostru, sa zente nostra e sa comunidade sarda e de sos emigrantes. Candho amus a imparare a cherrer vene a sa zente nostra e a sos zovanos chi sono perdhendhe una ispera de travallu dignitosu in domo issoro. MANDHICAMUS E BUFFAMUS COMENTE ALLEGAMUS "MADE IN SARDINIA". Su chi produchene sos massaios e pastores nostros, sono alimentos vonos e de calidade. Peri tottu nois, chene nos pranghere supra, si nos cherimus vene a beru, candho acchimus s’ispesa , in tottue, comporamus e acchimus comporare sos prodottos sardos. Sono a km zero, rispettana sa natura e s’ambiente , sono de calidade e…….azzuamunnos chi Deus puru nos azzuata.