di Sergio Portas
In questo periodo storico che ci tocca di vivere l’immagine è (quasi) tutto. Che si stia parlando di persone o che il discorso verta su associazioni, gruppi di tendenza, movimenti e, regnante divo Berlusconi con le sue TV, partiti politici. Quand’è che Renato Soru si impose, pur per un ristretto tempo come possibile leader nazionale, ampiamente debordando i limiti della Sardegna? Ma quando approdò a quel vero e proprio indicatore e contemporaneamente moltiplicatore della popolarità che è il programma di Fabio Fazio “Che tempo che fa”. Solo allora ebbe una esistenza vera, politica e mediatica, popolare in senso stretto. Leggendo un datato supplemento D di “Repubblica”, seppure con minor enfasi, ché il mezzo “giornale” è meno potente del mezzo “televisione”, si è verificato un analogo evento. A balzare sul proscenio della politica nazionale, lasciandosi dietro il cono d’ombra dell’agone sardo con le sue idiosincrasie e particolarità, è Ornella Demuru. Gabriella Saba (sicuramente non di origini nordiche) che cura il servizio e Mario Pischedda (altro nome poco longobardo) che fa le foto, le dedicano un primo piano a tutta pagina titolando sotto il suo nome a caratteri cubitali: “IL CORAGGIO DELL’INDIPENDENZA”. E sotto una sua foto a quarantatrè denti tutti esibiti: “E’ l’unica donna segretario nazionale di un partito: Indipendèntzia Repùbrica de Sardigna. Un movimento giovane, moderno, autonomista, non violento. Sicuro di farcela (senza fretta) senza Italia.” E poi due pagine d’intervista. Se l’IRS arriva sulle pagine patinate di Repubblica state sicuri che è sulla cresta dell’onda (mediatica) e questo non potrà che giovarle nel prossimo futuro, anche e soprattutto in termini di voti, come noto: successo chiama successo. Certo fosse la proprietaria di Videolina e presidente del Cagliari calcio, se solo suo fratello (avrà un fratello?) fosse proprietario dell’Unione Sarda nonché controllasse tre quarti delle aziende editoriali sarde, il percorso sarebbe più semplice. Il suo quasi 4% di consensi ottenuti alle ultime amministrative nella nostra isola si moltiplicherebbe magicamente per cinque, sette, dieci. E se pensate sia impossibile vi prego di girare il capo verso gli ultimi quindici anni di vita politica italiana dove, partendo da zero, ha visto nascere un partito politico dall’improbabile nome (Forza Italia, pensa te!) che da allora ci governa, senza che praticamente nessuno si sia mai preso la briga di leggere il suo programma elettorale ( se c’è qualcuno che usa il tempo libero per leggere i programmi elettorali dei partiti politici italiani,alzi la mano!). Basta e avanza sapere che il “nuovo partito” rinnoverà la nazione. Più stringati sono gli slogan più diverranno popolari. Specie se essi slogan vengono veicolati da: in ordine di importanza mediatica: Rete quattro e Mike Buongiorno, Canale Cinque e Raimondo Vianello, Italia uno e Iva Zanicchi, (altro che Ochetto e compagni) poi “IL Giornale”, “Il Foglio”, tutta roba di famiglia, il”Corriere della sera” (roba d’amici), ciliegina sulla torta, una squadra che con Ruud Gullit e Marco Van Basten ti fa alzare in mondovisione la coppa dei campioni per quattro anni di seguito. Per qualunque mortale di questo globo è esempio irripetibile. Fortunatamente, per la democrazia italiana, l’uomo politico padrone di tutta questa potenza mediatica non è un fulmine di guerra, chiunque altro avrebbe da tempo la maggioranza assoluta dei voti. Ebbene l’IRS non solo ha un programma che non è riferito alla stretta attualità politica, ma fa riferimento a un futuro sicuramente migliore di adesso, non solo rinnovamento della nazione ,sarda, ma addirittura una vera e propria rinascita. Mercé, slogan di estrema sintesi : l’indipendenza dall’Italia. Da studioso della politica, penso che avrà successo. Dati i tempi che corrono. Del resto la democrazia italiana è malata di quel cancro che vi dicevo prima e ci vorranno, ammesso e non concesso che qualcuno riesca presto a porre rimedio a tanto scempio, altri quindici anni almeno a tagliare le metastasi che si sono innervate nella pubblica amministrazione, nella scuola, nella magistratura. Nell’economia, che fa del lavoro nero un traguardo. Che non vuole pagare le tasse. Che preferisce pagare il pizzo piuttosto che denunciare la mafia. Bossi e i suoi se ne vorrebbero andare per conto loro per tutto questo, e lucrano consensi e voti, peccato che contemporaneamente abbiano contribuito ampiamente a costruire il sistema e ora ne siano prigionieri. Simul stabunt, simul cadent. Da una simile Italia è più facile volersene andare, lo ammetto. E l’IRS scommette che riuscirà nell’intento semplicemente convincendo i sardi con le sue buone ragioni. In modo dolce. Costruendo insieme una nuova narrazione loro e della storia che riusciranno a scrivere tutti, slegati da questi italiani. Una nuova nazione pacifica, senza esercito, ( ne esistono già al mondo e nessuno le invade, vedi il Costa Rica), che punta all’energia dolce, le biomasse con tutto quel legno di foreste inutilizzato sarebbero perfette. E gli alberi si ripiantano, ovviamente. L’eolico non mafioso, senza Carboni e Cappellacci e Verdini. Perfino la lingua, a leggere l’intervista, non sarebbe un problema, la “limba sarda” assieme all’italiana e all’inglese. Un turismo di qualità che predilige coste incontaminate con alberghi comodi a qualche chilometro dal mare. Una gastronomia sganciata dalla grande distribuzione che importa pesci dall’Atlantico e cozze dalla Norvegia. Medie e piccole imprese non inquinanti. Un sogno che è anche programma politico. Niente politici di professione, gli eletti come specchio di quanto si faccia nelle pubbliche amministrazioni, un po’ come quelli di Beppe Grillo. Giovani. Come la loro segretaria, a capo del movimento a trentanove anni. Berlusca va per i settantaquattro. Fini, Bersani,Casini ne avranno dieci di meno. Come può non crescere un simile movimento? In un’Europa che sbiadisce le frontiere fra gli stati sovrani e sempre più deve porre orecchio alle nazionalità che in questi stati avevano voci fioche, i baschi, i catalani, i bretoni, gli irlandesi, ma anche i serbi e i kossovari. Per una nazione nuova anche i simboli a cui ci si riferisce debbono essere nuovi. La bandiera dei quattro mori va in soffitta con il peccato della sua origine aragonese che la contraddistingue. Rinasce l’albero deradicato che fu insegna degli Arborea. Medioevo sardo, Eleonora e la Carta de Logu ( quegli ignoranti di Repubblica hanno scritto carta Delogu). E ancora più in là, naturalmente, quando tutta l’isola aveva un’unica grande cultura: l’età nuragica, nientemeno! Che possa funzionare è più che sicuro. Ve lo dice uno che ha visto nascere la “Padania”, quando Umberto Bossi era il “senatùr”, unico eletto tra le valli lombarde, tra gli scherni dei “politici” di destra e di sinistra. Adesso hanno ventisei senatori e deputati, sindaci e due presidenti di regione, provincie, assessori, per tacere dei ministri. Tutti assiduamente decisi a secedere dall’Italia. La “devoluzione” gliela ha promessa quel genio politico padrone dei media nazionali che, senza i loro voti, non governerebbe un condominio. Se ci fossero degli intoppi ( leggi Fini) ne vedremo delle belle. Noi italiani. Che intanto i sardi avranno fatto dell’IRS uno dei partiti con cui gli altri maggiori dell’isola dovranno fare i conti. E forse si salveranno. Che Ornella Demuru coi politici come l’attuale presidente della Sardegna non andrebbe neanche a prendere un caffè. E, anche per questo motivo, moltiplicherà i suoi voti per tre, per cinque , per dieci. E senza televisioni di sorta, magari con l’aiuto di internet. Se darà il voto ai sardi della diaspora, in grazia di questo suo sogno, torno a Guspini, disposto a curare i tulipani da crescere per ornare i banchetti della sua prossima campagna elettorale.