di Mariella Cortès
In attesa del prossimo congresso FASI, incontriamo e conosciamo meglio l’attuale presidente, Tonino Mulas, personaggio chiave dell’emigrazione che in una lunga chiacchierata dipinge il panorama passato e presente dell’associazionismo sardo.
Quando e perché ha lasciato la Sardegna? Dopo essere stato iscritto alla facoltà di giurisprudenza a Cagliari ho deciso di trasferirmi a Milano dove potevo lavorare e studiare. Ho venduto libri porta a porta, ho lavorato per una casa editrice, poi ho lavorato in una società di ricerche sociali e di mercato. Nel frattempo sono stato dirigente del movimento studentesco, con Capanna e Toscano e infine mi sono laureato in scienze politiche. Ho fatto politica attiva per 20 anni occupandomi della comunicazione, sono iscritto all’albo dei giornalisti pubblicisti e dal 1997 al 2003 sono stato presidente dell’APT di Milano.Fra gli anni ‘90 e il 2002 sono stato amministratore delegato di una società di promozione e comunicazione, la Comproget.
Ha vissuto la Sua infanzia in Sardegna? Cosa ricorda con più piacere? La cultura sociale dell’amicizia e della solidarietà, la conoscenza del mondo della natura e in particolare del mondo agricolo e pastorale, le estati al mare e la sensazione di una grande libertà.
Secondo Lei perché la Sardegna, un’isola a bassa densità e dalla quale gli spostamenti risultavano più ardui ha comunque vissuto il grande esodo migratorio? Prima di tutto per il suo ritardo nello sviluppo. E questo per molteplici cause: geografiche (l’isolamento insulare), storiche (le dominazioni straniere), culturali (l’eccesso di individualismo e l’isolamento sociale dei paesi), economiche (l’arretratezza dei rapporti economici per la persistenza di istituti feudali).
Quale e come è stato il suo primo approccio con i circoli sardi? All’inizio, nel 1970 o 1971 io e un gruppo di studenti partecipammo, quasi casualmente, all’assemblea generale che determinò il rinnovamento del circolo di Milano. Si chiamava Cecomes, Centro Comunitario Emigrati Sardi. Fu un grande strumento di socializzazione ed emancipazione. Ricordo che c’era di tutto: dal ballo del sabato sera per camerieri, infermieri, donne lavoratrici “a servizio” nelle famiglie, ai corsi delle 150 ore per il conseguimento della licenza media, all’assistenza sociale. Ma già da allora si tenevano dibattiti, erano gli anni dei “piani di rinascita”, c’era il gruppo teatrale e c’era l’assistente sociale per chi aveva problemi di adattamento e di inserimento. Poi però per venti anni mi sono occupato di altro, ho vissuto intensamente la vita sociale della “Grande Milano” città europea, capitale economica e culturale dell’Italia dello sviluppo e della modernizzazione. Nel 1988 sono stato delegato alla conferenza d’organizzazione dei circoli a Salice Terme; una conferenza importante da cui venne un contributo alla L.R. 7 del 1991 sull’emigrazione. Nel 1990 sono stato eletto presidente del circolo di Milano, nel frattempo diventato CSCS Centro Sociale Culturale Sardo, circolo nato da scissioni e riunificazioni, già con un taglio di prevalenza culturale, trasferito nel 1984 in via Ugo Foscolo, con finestra sulla Galleria e balcone sulla piazza Duomo. Da allora ho partecipato intensamente, entrando nel 1995 nell’Esecutivo Nazionale della FASI, prima come responsabile culturale, poi vicepresidente e infine presidente per due legislature.
In diverse occasioni ha ribadito che oggi siamo lontani dall’emigrato con la valigia di cartone e che non solo la nuova emigrazione è diversa ma che è cambiato anche il ruolo dei circoli. Perché secondo lei continuano invece a permanere degli stereotipi? L’emigrato con la valigia di cartone, ma ricco di speranza, coraggio e orgogliosa fiducia nelle proprie capacità è esistito per alcuni decenni. Esistono ancora oggi quei tipi di emigrati, ma sono gli extra-comunitari. Oggi invece dalla Sardegna è drammaticamente attuale una nuova emigrazione prevalentemente intellettuale, che la crisi finanziaria ed economica internazionale tende ad ingrossare. Certamente l’emigrazione di oggi, a partire dagli anni Novanta, è molto diversa. Diversi sono i presupposti: lo sradicamento culturale e sociale, Su Disterru, come si dice in lingua sarda, con un termine efficace e carico di significati, anche drammatici non c’è più. Oggi, nel periodo della globalizzazione degli i-phone, di Internet, delle play station, (della droga facile nelle discoteche milanesi, o nelle coste sarde e anche negli ovili), lo sradicamento non c’è: il ragazzo di un paese dell’interno parte e va a lavorare per una stagione, sei mesi, un anno, ad Amsterdam o a Barcellona, senza grandi patemi d’animo. Non c’è più il dramma di massa della sopravivenza e dell’integrazione in una società molto diversa. Certo il lavoro è sempre un problema ed è il motore primo dell’esodo. Gli stereotipi sono anch’essi legati a quei tempi passati, ma resistono, rischiano di essere vecchie etichette, applicate da chi non conosce la realtà di oggi e l’attività dei circoli di oggi.
Qual è e quale potrebbe essere oggi il ruolo dei circoli sardi? Un ruolo soprattutto di promozione culturale. Se il problema di aiutare la gente a inserirsi non è più prioritario, il circolo non è più il luogo sociale di rifugio e di passaggio: una specie di camera di compensazione, tra l’acqua in cui nuoti e l’aria nuova che sei costretto a respirare. Abbiamo passato gli ultimi vent’anni a lottare perché cambiasse il ruolo dei circoli e non è stato facile. Da qualche parte in Italia e all’estero resiste l’idea del circolo come dopo-lavoro, luogo solo di ricreazione e socializzazione. Beninteso è un ruolo che ci può stare ed è anche utile se è funzionale al mantenimento di un rapporto della comunità sarda con la Sardegna, la sua cultura, la sua identità. Ma è ovvio che la vocazione principale, la “mission” come si dice oggi, non può essere che quella della promozione della cultura della Sardegna, della promozione dei suoi prodotti di eccellenza, prima di tutto il turismo, della rappresentanza dei suoi interessi.
Quali sono state le maggiori difficoltà dei primi anni di presidenza Fasi? Quali invece le maggiori soddisfazioni? La FASI c’è da sedici anni. Prima ancora si chiamava “Lega”. Le differenze sono enormi dopo quarant’anni: la Lega è nata con 7 circoli, la FASI ne conta 62 ufficiali più altri 10 non riconosciuti dalla Regione. Le difficoltà: ieri come oggi, coordinare “chentu concas e chentu berritas”; conseguentemente un certo tasso di litigiosità. Altro problema delle origini è stato quello di superare il riferimento alla Sardegna in termini campanilistici, secondo le provenienze di paese. E ancora: la cultura era spesso ridotta a folklore passatista. Altro problema ancora è stato quello della partecipazione degli intellettuali alla vita dei circoli, salvo rare eccezioni. La maggiore soddisfazione: aver contribuito al cambiamento. Oggi tutti, anche i circoli più piccoli e più deboli fanno qualcosa sul terreno culturale. Almeno 50 circoli sono in grado di organizzare iniziative di buon livello, alcuni sono capaci, da soli o in collaborazione con la FASI, di gestire progetti di eccellenza. Altro motivo di soddisfazione: è venuto a costruirsi nel tempo un gruppo dirigente di alto livello formato dai presidenti dei circoli, dal comitato esecutivo FASI, con personalità, età, opinioni, provenienze sociali diverse, ma abbastanza coeso, impegnato e soprattutto generoso, ricco di quello spirito di solidarietà che è il presupposto primario per un movimento di volontariato come il nostro.
Come si è evoluta la FASI? Cosa è rimasto dei servizi offerti alle origini e quali sono stati aggiunti? Alcuni servizi delle origini sono rimasti, ad esempio la bigliettazione per i viaggi in Sardegna, che è stata addirittura potenziata (attraverso la creazione di un Centro Servizi Nazionale). Questo è stato un servizio che ci ha permesso di diventare una grande associazione con 18.000 iscritti. Oggi rimangono altri servizi: le informazioni sulla legislazione regionale; l’informazione turistica; la lettura dei giornali e dei libri sardi ecc. Altri sono venuti meno, ad esempio quelli assistenziali: trasporto salme dei deceduti soli e bisognosi, le colonie per i figli degli emigrati, il contributo alle famiglie indigenti per i traslochi da e per la Sardegna; i corsi per la licenza media ecc.
Come si è evoluto il rapporto della FASI con i circoli associati? C’è un maggiore coordinamento, favorito dalla costituzione delle circoscrizioni territoriali. Questo avviene essenzialmente su 2 elementi: 1) le grandi campagne alle quali partecipa la FASI, su temi generali della Sardegna; 2) i progetti culturali nazionali. Per il primo facciamo l’esempio della continuità territoriale: la raccolta di firme in tutti i circoli comprese quelle di sindaci, assessori, esponenti politici e sindacali nel territorio; idem le occupazioni simboliche in sei aeroporti interessati dalla continuità territoriale o la delegazione di cento persone fatte dai circoli alla Commissione Trasporti di Bruxelles, al Parlamento Europeo. Altro esempio è la raccolta di firme a favore della proposta di legge sulla lingua sarda a metà degli anni Novanta. Altri momenti di attività coordinate sono le campagne nazionali di solidarietà: ricordo fra tutte quella per l’acquisto del separatore cellulare per le operazioni ai bambini talassemici, a favore dell’ospedale microcitemico di Cagliari; quella a favore dell’ospedale dei bambini di Nukue, Guinea Equatoriale, fondato dalla dott.ssa Grazia Manca. Altro momento importante su cui si sono fatti passi in avanti sono i progetti culturali FASI, fatti in accordo con la Regione e articolati con la partecipazione di più circoli. Ad esempio nel 70° del Nobel a Grazia Deledda abbiamo fatto 40 iniziative, in 40 circoli e in 40 città, differenziate secondo la libera iniziativa di ciascuno attraverso cinema, teatro, convegni, letture, con partner diversi: biblioteche, licei, università, libreria, altri circoli. È una specie di “format” in cui abbiamo sperimentato un’operazione culturale nazionale contro l’oblio verso il nostro premio Nobel e nello stesso tempo il coordinamento di molti circoli, con una pluralità tematica ed espressiva. È un progetto che ancora oggi sta dando i suoi frutti: ad esempio quest’anno il circolo di Nichelino organizza assieme al Comune una manifestazione per la dedica di una via alla grande scrittrice sarda. Questo modello lo abbiamo usato anche per ricordare Giuseppe Dessì, Gramsci, Giommaria Angioy, ecc. Tutto questo senza ledere l’autonomia di programmazione dei singoli circoli. Sia perché siamo contrari ad una centralizzazione burocratica (che sarebbe contro natura rispetto al dna autonomista dei sardi), sia perché il volontariato non può essere imbrigliato, pena il suo deperimento, sia infine perché una attività centralizzata presupporrebbe strutture di tipo professionale retribuite, impossibile con le nostre risorse, ma soprattutto sbagliate rispetto all’idea fondamentale di volontariato su cui poggia la FASI.
Quali sono al momento le maggiori iniziative portate avanti dalla FASI? È troppo lungo fare la lista, i circoli organizzano oltre 600 iniziative ogni anno, dalla presentazione di un libro, di un film, di un CD musicale, all’incontro di poesia, alla presentazione dei vini e prodotti di qualità, ai dibattiti sulla storia, l’archeologia, l’economia della Sardegna. È sempre più presente l’attualità. Ma personalmente non banalizzo come fanno alcuni, le iniziative e le ricorrenze storiche: si parli di Grazia Deledda o di Giommaria Angioy, di Giuseppe Dessì o della Brigata Sassari, di Francesco Ciusa o dei canti a tenores, non è la nostalgia che ci muove, ma è la necessità di nutrire di storia e di cultura il sentimento forte di identità che sta dentro ad ogni sardo fuori Sardegna. Tra i progetti appena realizzati, a titolo di esempio ricordo la grande mostra su Albino Manca al Vittoriano a Roma, il concorso internazionale Cinema – Emigrazione, le citate interviste in lingua sarda, il premio internazionale di poesia sarda a Milano, il convegno sulla storia dell’autonomia, i monumenti alla Brigata Sassari a Biella e a Meolo (Ve), la manifestazione di solidarietà con i terremotati d’Abruzzo, le grandi feste popolari a Rivoli, a Bareggio, ad Alessandria ad Ostia e in altre decine di centri; le nuove band musicali di giovani fatte conoscere ai giovani emigrati con il “Progetto Brinca”; progetti di valorizzazione del turismo delle zone interne (“La valle del Flumendosa”, realizzata alla BIT e in collaborazione con la federazione olandese), il progetto di 15 concerti, in 15 città del mondo: “Concerto per due continenti”, realizzato con la cantante lirica sardo- argentina Eliana Sanna che ha studiato a Milano anche con l’aiuto della FASI e della Regione, il progetto realizzato con l’Associazione “Su Disterru” di Asuni con altre cinquanta interviste, questa volta in lingua italiana. Infine progetti a carattere storico-religioso: il pellegrinaggio del 500°della Madonna di Bonaria a Livorno, il progetto di promozione dell’itinerario storico-religioso di S. Giorgio di Suelli vescovo Sardo del XI° secolo; le feste religiose dedicate dai circoli del “continente” a S. Ignazio da Laconi; le ricerche su S. Eusebio da Cagliari, evangelizzatore e patrono del Piemonte e le iniziative portate avanti dal circolo di Biella. Forse è noioso questo elenco e può sembrare pomposo e vanaglorioso autocitarsi, ma le assicuro che sto facendo torto a molti circoli omettendo di citare alcune importantissime iniziative.
Quali sono i programmi futuri? Per quanto riguarda l’immediato futuro, siamo in sintonia e abbiamo approvato il Piano Annuale e Triennale dell’Assessorato al Lavoro. Un esempio di nuova attività: stiamo già lavorando da un anno al 150° dell’Unità d’Italia, un progetto ambizioso e complesso che è rappresentato da un concorso internazionale di illustrazione, grafica e satira con una nuova giuria presieduta da Gavino Sanna; un catalogo con una selezione delle opere; con la partecipazione di quattro consigli regionali: Piemonte, Toscana, Lazio, Sardegna; con quattro grandi mostre nelle quattro regioni; con la riproduzione di una selezione delle opere in una mostra cartacea che può andare nei circoli italiani e di tutto il mondo; con artisti di tutto il mondo che hanno inviato già 600 opere originali; con quattro sezioni e un montepremi di Euro 25.000,00; inserito nei programmi del comitato del 150° in Sardegna e in Italia; con il patrocinio del Consiglio dei Ministri; e infine, la chicca finale: le opere originali, lasciate alla FASI per regolamento, saranno destinate a un costituendo nuovo museo della grafica nel Comune di Burgos, un obiettivo strategico della FASI, la valorizzazione dei piccoli paesi dell’interno, proprio quelli che l’emigrazione ha spesso desolatamente spopolato e impoverito.
Secondo lei l’informazione locale dedica abbastanza spazio alle attività svolte dai circoli? L’informazione locale quella dei quotidiani sardi e delle tv è cresciuta negli ultimi dieci anni con alti e bassi. È venuta meno purtroppo la pagina fissa settimanale dell’Unione Sarda. A volte facciamo cose eccellenti, ma trascuriamo una buona comunicazione; altre volte sono gli organi di comunicazione che ci trascurano. L’informazione non è mai abbastanza. Buono è l’approdo ai settimanali locali e a quelli diocesani e la presenza sul Messaggero e sui giornali on-line, grazie anche alla cura costante di Paolo Pulina. Abbiamo degli ottimi comunicatori a partire dalla rivista “Tottus in Pari” che è diventata un’impresa quasi leggendaria se pensiamo alle forze e ai mezzi impegnati, ricompensata da una crescente attenzione fra i sardi dei circoli del mondo e non solo. Altro limite: siamo insufficienti nella cura del nostro sito Internet. Abbiamo invece una buona comunicazione interna. Facciamo due consigli nazionali all’anno con cento dirigenti e molti nuovi, ogni volta; diverse riunioni delle nostre quattro circoscrizioni in cui sono divisi geograficamente i circoli, che servono per discutere i programmi, ma anche lo stato organizzativo e i rapporti con la Regione. È abbastanza buona la comunicazione dai circoli ai soci attraverso i notiziari interni. Per noi informazione, comunicazione, partecipazione, democrazia, non sono sinonimi, ma sono tuttavia strettamente intrecciati nella vita associativa. Visto il numero di intellettuali a noi vicini potremmo “osare” di fare una grande rivista culturale, ma assorbirebbe troppi mezzi finanziari, sottraendoli alle iniziative. Ci accontentiamo delle molte riviste culturali che parlano di noi e sono disposte ad ospitare le nostre opinioni.
Come si potrebbe riannodare il filo con la Sardegna? Sono molti i fili da annodare o rafforzare: quello appena citato con l’opinione pubblica sarda attraverso l’informazione; il rapporto con l’associazionismo sardo, per esempio con i sindacati, con le associazioni di categoria. Abbiamo spesso partecipato ad eventi collettivi e campagne di interesse generale: la vertenza con lo Stato sulle entrate fiscali; la campagna contro le scorie nucleari o la vertenza storica sulla continuità territoriale, dove noi abbiamo sempre avuto una parte importante; abbiamo rapporti con molti comuni e province, e promuoviamo gemellaggi, e questo è un’attività che offre ancora molti spazi di iniziativa. Se vogliamo essere presenti agli occhi dei sardi, dobbiamo essere partecipi delle loro vicende di oggi. Ad esempio è stato molto positivo il nostro coinvolgimento con l’intervento del Presidente della FASI voluto dai sindacati, nell’Assemblea Generale delle Rappresentanze del popolo sardo sulla situazione economica e occupazionale in Sardegna il 29 novembre 2009, dove è stato distribuito un nostro documento su chi siamo e cosa facciamo, a circa 1000 delegati.
I circoli dei sardi oggi hanno rapporti stretti con le istituzioni e con le sedi COMITES. Potremmo dire, parafrasando il titolo di un importante incontro FASI, che il Nuraghe ha trovato spazio nel villaggio globale. Concorda? O c’è ancora tanta strada da fare? I circoli sardi devono assolvere ad un ruolo importante di rappresentanza della Sardegna nel territorio. I circoli della FASI sono importanti anche per questo, perché riconosciuti come circoli del territorio dove operano. Da qui molti ottimi rapporti locali con province, comuni, regioni. Per quanto riguarda i circoli sardi all’estero credo che i rapporti e la partecipazione alla vita istituzionale dell’associazionismo italiano all’estero vada rafforzato. La Sardegna è troppo piccola per contare da sola. Il “Nuraghe” può stare nel villaggio globale con la forza dell’identità, ma se è capace di relazioni, di interlocuzione e di scambio, sia con le altre comunità italiane, sia con i paesi ospitanti.
L’Università di Sassari sta avviando una serie di iniziative/corsi rivolti agli emigrati di seconda generazione. Si tratterà in sintesi di un modo per far scoprire o riscoprire la Sardegna ai figli degli emigrati e per riallacciare i rapporti tra l’Università e i circoli sardi nel mondo. La ritiene una buona iniziativa? Quali pensa debbano essere le priorità? È possibile a suo avviso creare una rete tra le Università sarde e i circoli? In che modo? Credo sia una iniziativa importante e necessaria soprattutto per la formazione, di cui abbiamo tanto bisogno. Nel recente passato abbiamo partecipato a iniziative che costruivano protocolli di intesa fra università sarde e del continente; vedi Verona e Pavia. Abbiamo bisogno dei colori, dei suoni e dei sapori. Ma anche per questo occorrono i saperi. E le università sono il luogo per eccellenza dei saperi. Nelle università è riposta una grande possibilità di studio, di conoscenze e di divulgazione, non penso solo agli accademici, ma anche ai moltissimi studenti che con le loro “tesi” possono aiutarci a produrre memoria storica.
Sempre l’Università di Sassari ha recentemente inaugurato l’Università per stranieri, centro polivalente che permetterà a non italiani di venire in Sardegna e conoscere la storia e la cultura italiana e sarda ovviamente (saranno corsi multidisciplinari che spazieranno dalla lingua alla musica, storia e così via) . Se dovesse decidere cosa mettere in cattedra cosa sceglierebbe di raccontare della Sardegna a chi non la conosce? La straordinaria e multiforme ricchezza dal punto di vista ambientale, naturalistico, etnografico, antropologico di una terra antica. Potremmo essere un giacimento di ricerca sulle bio-diversità. Inoltre viviamo una intensa stagione di creatività artistica e culturale, purtroppo inversamente proporzionale alla crisi economica: il cinema, la musica, la letteratura, vedono una crescita straordinaria per quantità e qualità di nuovi protagonisti. Vanno fatti conoscere agli stranieri, futuri ambasciatori
I giovani prendono parte alle attività dei circoli? Pensa che tra 20-40 anni si potrà ancora parlare di circoli sardi? Gli emigrati di oggi, i giovani di oggi amano ancora trovarsi insieme per socializzare, far festa, confrontare opinioni e interessi. Vedi i diversi social network presenti in molte città universitarie, frequentate ancora oggi da moltissimi studenti sardi. Però dobbiamo riconoscere che noi siamo in ritardo. I nostri circoli che hanno fatto una battaglia per il rinnovamento culturale, rischiano di trovarsi già vecchi, sia per la proposta, che per le metodologie sia per la resistenza al nuovo che deriva dall’invecchiamento anagrafico. Devono essere i dirigenti di oggi a vincere la sfida. All’estero in alcuni posti dove non ci si è mossi per tempo, soprattutto attraverso la formazione e dove non c’è ricambio generazionale si rischia di chiudere i circoli esistenti senza aspettare 10 anni. Pensiamo a nazioni come l’Australia e il Canada: li ci possono essere 100 sardi sparsi in un territorio immenso: come raggiungerli, come coordinarli, come farli partecipare a progetti utili per la Sardegna. Occorre sperimentare forme nuove, una di queste potrebbe essere il circolo on-line, trovando garanzie però per la partecipazione e per l’esercizio della democrazia nelle scelte e nella gestione. In Italia, in Europa e ad esempio in Argentina fra 20 anni penso che i circoli ci saranno ancora? C’è soprattutto in Italia, un flusso di nuova emigrazione intellettuale. Questo vale per le città, soprattutto per quelle destinazioni non tradizionali, vedi Barcellona e Madrid. Più difficile la situazione delle città di vecchia emigrazione, dove lo smantellamento di settori obsoleti, come quello minerario, o di vecchia industrializzazione, non permette l’afflusso di nuovi emigrati sardi. Fra quarant’ anni? Non lo so. Dipende anche dalle politiche regionali. I sardi fra quarant’anni si ricorderanno della grande stagione dell’emigrazione che ha visto la partenza di 800.000 sardi in solo mezzo secolo? Farà parte della loro storia? Anche per questo dobbiamo oggi produrre testimonianze di storia e cultura. Per questo vogliamo una rete di musei dell’Emigrazione e dei centri di documentazione, a partire da quello di Asuni. Per questo abbiamo portato avanti lo straordinario progetto di “Mannigos de Memoria dae su Disterru”, con 200 interviste che raccolgono in “limba”una prima parte della memoria dell’emigrazione.
Si può parlare ancora di contributo economico degli emigrati alla Sardegna? Avviene in forma diversa del passato, ma c’è senz’altro. Prima erano le “rimesse” postali degli emigrati per centinaia e centinai di miliardi di lire. Servivano per il sostegno delle famiglie, per ristrutturare o costruire una casa, in vista di un ritorno, spesso solo sognato e mitizzato (vi ricordate? “Con la rinascita c’è un posto anche per te”), per mettere su un attività economica (qualche anno fa abbiamo fatto un convegno interessante su gli imprenditori ex emigrati). Oggi ci sono meno rimesse postali, ma ci sono altre forme di contributo all’economia sarda. Migliaia di emigrati sono tornati e spendono in Sardegna i loro risparmi per ristrutturarsi la casa in un centro storico e per quelle al mare, pagano le tasse locali, spendono la loro pensione nel territorio, per vivere o per portarsi su come sempre le provviste. Altre migliaia, anche in Italia, con la casa al mare o nel paese, non tornano definitivamente ma si dividono fra le famiglie al nord e lunghi periodi di vita in Sardegna, per 4/6/8 mesi all’anno: anche in questo caso spendono i loro risparmi e le loro pensioni, guadagnate nelle città italiane, tedesche, svizzere, francesi.
Ritiene che la Regione Sardegna faccia abbastanza per promuovere (a livello regionale) e incentivare le attività dei circoli? La Regione Sardegna è stata la prima, ed è ancora fra le migliori regioni italiane nell’intervento sulle politiche per l’emigrazione. Può confrontarsi con le altre, coordinarsi, cooperare, qualche volta imparare. Talvolta sento che dovremmo fare come questa o quella Regione; io credo di no. È urgente dotarci di una nuova legge che guardi il futuro, ma con l’orgoglio di pensare ancora come primi della classe. E non parlo solo di risorse.