di Cristoforo Puddu
La stagione di raccolta del sughero, iniziata a maggio, è coincisa con l’approvazione dell’intervento della Giunta regionale per la tutela delle sugherete dai parassiti defogliatori nel territorio della Gallura. Il sughero, ossia la corteccia della quercia da sughero ( Quercus suber L.), caratteristica risorsa di diverse aree situate nel mediterraneo centro occidentale (Marocco, Algeria, Tunisia, Portogallo, Spagna, Francia e Italia) rappresenta una rilevante fonte economica per la Sardegna, regione in cui opera una qualificata industria sughericola e conta operai di settore e decorticatori stagionali altamente specializzati. Delle circa 15.000 tonnellate di sughero estratti annualmente nella Penisola, ben 80% si stimano di origine sarda. La produzione dell’Isola è assorbita, oltre che nella classica trasformazione in tappi per i produttori vinicoli, nel settore edilizio che l’impiega come isolante termico ed acustico, nella creazione di oggetti artistici ed artigianali e nel settore calzaturiero. Alcuni anni addietro fu persino brevettato un tessuto, ottenuto integralmente dal sughero, per il confezionamento di abiti: l’eventuale affermazione e diffusione della particolarissima “stoffa” è tutta da verificare! Da segnalare l’utilizzo del sughero in ambito sportivo, con l’impiego per la realizzazione di palle da hockey e golf o caschi di protezione, nella fabbricazione di giocattoli, strumenti musicali e nelle moderne industrie automobilistiche, elettriche ed aeronautiche. L’interesse scientifico per il sughero, considerato come materiale di studio e osservazione al microscopio, conquistò anche lo scienziato e inventore inglese Robert Hook (1635 – 1703); nel 1665 pubblica l’opera Micrographia, proponendo risultati sorprendenti sulla composizione e proprietà del sughero. Studi attuali invece, effettuati nell’arco di dieci anni presso l’Orto Botanico dell’Università di Cagliari, indicherebbero risolvibile la carenza d’acqua in Sardegna attraverso un piano per l’integrazione e piantagione ex novo della quercia da sughero nelle aree dei principali bacini imbriferi (Sub-bacino Sulcis, Tirso, Temo-Mannu di Porto Torres-Coghinas, Liscia, Posada-Cedrino, Sud Orientale, Flumendosa-Campidani-Cixerri) e attorno alle centinaia di piccoli invasi presenti nell’Isola; la copertura arborea della quercia incrementerebbe sensibilmente la “lettiera” di trattenimento e veicolazione dell’acqua piovana, con un conseguente approvvigionamento idrico diffuso e garantito nel tempo. Dunque i boschi di Quercus suber L. -la cui estrazione del sughero avviene a cadenza decennale e secondo precise normative comunitarie- rappresentano una perseguibile soluzione per contenere il processo di desertificazione e favorire la protezione del paesaggio nel segno della biodiversità. Importanti monumenti botanici di maestosi esemplari secolari di quercia sono presenti nell’Isola di Sant’Antioco mentre i più grandi rilevati in Sardegna, secondo dati del Corpo Forestale, sono due esemplari da 20 m di altezza nei territori di Esterzili e Luogosanto. La lavorazione e trasformazione del sughero sardo è principalmente concentrata nel distretto industriale di Tempio Pausania, dove opera la Stazione Sperimentale, e a Calangianus, Comune titolato del riconoscimento di “Capitale del sughero”. La quercia da sughero, presenza indispensabile nell’ambiente naturale tipico della Gallura, del Marghine, del Goceano o del Sulcis Iglesiente e che si fa risalire all’era terziaria, è albero partecipe della storia e della cultura del territorio: testimone della memoria e del lavoro di generazioni di sardi.
La foto non rappresenta la quercia da sughero ma è un comunissimo (anche se secolare) leccio noto come “S’ilixi de Olissa” si trova nel territorio di Seulo.