di Gianfranco Pintore
Non so se il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, sia consapevole di aver fatto un buco profondo nella diga dello statalismo. Ma con la sua rivendicazione della proprietà fiorentina del David del Michelangelo una bella crepa l’ha creata. Costringendo il Ministero dei Beni culturali, che gli dice “No, il David è dello Stato”, a un triplo salto mortale nel nome di una vulgata storica che tale è, una vulgata. Secondo i legali di Bondi, il Comune di Firenze “nasce in epoca granducale, tra il 1771 e il 1783, e quindi non può essere considerato l’erede diretto della Repubblica fiorentina che nel 1504 pagò i 400 fiorini per saldare il debito contratto con Michelangelo dagli operai dell’opera del Duomo e dai Consoli dell’Arte della Lana che avevano commissionato il David per la cattedrale”. Non è eredità della Repubblica fiorentina, insomma, perché allo Stato-città d’epoca comunale era subentrata la Signoria dei Medici, poi secoli dopo, il Granducato dei Lorena. “È una successione fra Stati, fino alla loro riunificazione nel Regno d’Italia, che non lascia spazio alla sopravvivenza di alcuna autonomia locale”. Il parere, è chiaro, è di avvocati che di per sé non hanno obbligo di conoscenza della storia, ma se nella storia si addentrano avrebbero quanto meno l’obbligo di usarla almeno da studenti liceali. Per dire, se esiste una successione fra lo Stato dei Lorena e l’Italia esisterà pure una successione fra la città-stato di Firenze, la Signoria dei Medici e il Granducato di Toscana, o no? Non c’è bisogno di scomodare la Dottrina della statualità del nostro amico Cesare Casula, basta non immaginarsi una storia fai da te. Parlano poi, i due avvocati dello Stato, di “riunificazione nel Regno d’Italia”. Riunificare significa tornare a unificare qualcosa che fu disunito. E neppure la più ardimentosa vulgata nazionalista arriva a dire che l’Italia fu unita, poi disunita e, infine, riunificata. E poi dove? Unificata nel Regno d’Italia, come fantasticano i legali storici, o nel Regno di Sardegna, come in realtà successe? Disse un imputato orunese al suo avvocato che lo difendeva altrettanto malamente: “Dassade s’avoca’, si duncas nos intregant s’ergàstolu”. Ma, tutto sommato, queste sono rogne del Ministero dei beni culturali e del sindaco di Firenze. Mi interesserebbe di più che la Regione sarda approfittasse della breccia aperta da Matteo Renzi e delle argomentazioni del Ministero dei beni culturali. La preistoria, la protostoria e la storia della Sardegna offrono non poche ragioni per dire: questo patrimonio è nostro, non dello Stato. Mettiamo che sia vero quel che sostiene il Ministero di Bondi, e che, cioè, non c’è continuità fra la Repubblica fiorentina del 1504 e i successivi stati della Toscana che, effettivamente, cambiarono nome un paio di volte. Per la stessa logica, non esiste continuità fra il Regno di Sardegna e il Regno d’Italia. Continuità ci fu, nel nome, fra il Regno di Sardegna del 1324, quello dominato dai catalani, dagli spagnoli, dai Savoia, ma solo fino al 17 marzo 1861? Dopo nacque un nuovo Stato o lo Stato rimase quel che era, cambiando solo il nome? E il giugno 1946 morto il Regno d’Italia, nacque il nuovo Stato denominato Repubblica italiana? E, infine, dove sono i documenti che certificano “successioni fra Stati”? Il Ministero dei beni culturali e i suoi legali hanno messo lo Stato in un bel cul de sac. Buona fortuna e… grazie sindaco di Firenze.