PISCINAS, CUSTODE DI MITI E TESORI: LE DUNE D'ORO RISPETTATE DAGLI UOMINI

veduta delle dune di Piscinas

veduta delle dune di Piscinas


ricerca redazionale

La sabbia è distesa come se fosse stata accarezzata da mani dolci. È ampia, livellata, destinata a consumarsi nel turchese del mare, limpido anche quando soffia il maestrale. È uno spettacolo avvolgente dopo quei chilometri di sterrato avvolto tra nuvole di polvere dal colore ocra gonfiate da un sentiero che rifiuta l’asfalto. Questa è anche una terra di scienza e di dolore. Il villaggio minerario di Ingurtosu è tra le più efficaci testimonianze dell’archeologia mineraria mondiale. Ma è anche il simbolo della sofferenza di migliaia di uomini morti per scavare nelle viscere della terra. È un angolo di paradiso che si chiama Costa Verde, nel comune di Arbus, costa occidentale. Una terra protetta ma esposta alla speculazione. Tutt’intorno dune sinuose di sabbia dorata sulle quali sfogano ginepri come corone, con lecci e ginestre a cingerne i contorni dove di tanto in tanto s’azzardano anche volpi e conigli. Un’altra fetta di paradiso terrestre, sopravvissuto ai veleni delle miniere. La miniera fu scoperta nella prima metà del XIX secolo. Cento anni e più di estrazioni, gallerie, trattamenti. Allora una terra accessibile solo ai lavoratori e intorno agli anni Settanta meta dei pionieri dell’escursionismo. «È un pianeta dalla bellezza intatta e anche un luogo di magie, di premonizioni e di fantasmi che emergono dalle viscere di quell’Eldorado barbarico dove, un tempo, si celavano tesori d’argento, di piombo e di zinco»: in questa terra, parole sue, Giampaolo Pansa ha immerso la storia del giornalista Bruno Vietti (scomparso misteriosamente) e della collega francese Angela Mercier, approdata da Parigi, trascinata dall’ossessione di scoprire la verità e saldare un conto. È da leggere sul posto, quando la sfera rossa del sole si adagia sul profilo del mare. Ogni visita nella zona dovrebbe prevedere in dotazione il romanzo “Ti condurrò fuori dalla notte” che Pansa pubblicò nel ’98 dopo avere scandagliato uomini e luoghi e riempito pagine di appunti durante le giornate trascorse all’hotel Le Dune. È questo l’albergo dentro il mito. Abile miscela di marketing e arguzia nello sfruttamento del patrimonio minerario. Una struttura sul mare, levigata dalle dune e carezzata dalle onde. Nacque colonia estiva per i bimbi dei dipendenti dell’allora società Piombozincifera sarda, erano gli anni Cinquanta. Con la mutazione degli interessi e la prospettiva di smettere la gestione diretta della Regione (la miniera chiuse nel 1968) alcune strutture finirono tra le fauci del tempo, la colonia tra queste. A metà degli anni Settanta, fu il figlio di un direttore della società di gestione ad acquisire via via l’edificio, una volta rientrato dalla sua missione di ufficiale dell’Esercito italiano. Per poi trasformare il rudere in uno degli hotel più glamour al mondo, dove stai con i piedi nel mare e il cuore nella storia, con l’aiuto di un trenino destinato a suo tempo al trasporto di minerali fino al pontile, i cui resti delimitano la spiaggia sul lato sinistro. Ora quei vagoni sono esposti in una più rilassante versione monumentale sull’originaria via ferrata. Oggi «la miniera non lavora più e la sabbia brucia il mare, come è blu il tuo mare», cantavano i Nomadi nel 1978 nella loro “Naracauli” dedicata all’omonimo villaggio (fu la sede della laveria, l’impianto per la separazione dei minerali dalle pietre) che s’incontra lungo strada, con gli edifici che raccontano ancora, nella suggestione dell’architettura del palazzo direzionale, forza di un’economia che ha primeggiato in Europa. Sulle orme della storia qui ha preso forma l’ unica altra prospettiva possibile: il turismo. La rete dei vincoli di salvaguardia che si è sviluppata negli anni dovrebbe proteggere per sempre questo paradiso dal mattone. Al bordo della spiaggia, a delimitare il limite con le dune, due chioschi, uno in concessione privata e uno gestito dal Comune, ombrelloni e sdraio sull’arenile, docce, bagni, parcheggi in parte liberi, in parte a pagamento. Tutto il resto è vietato. Non potrebbe essere altrimenti nell’unica area dunale desertica d’Europa che in linea costiera fa tutt’uno fino al Sinis. Le tentazioni cementizie dovrebbero essere scongiurate. Scenari come quelli immaginati dalla società Riva di Scivu, a fine anni Novanta – con un insediamento turistico alberghiero di 60mila metri cubi, bloccato sul nascere – non dovrebbero trovare più spiragli d’accoglienza. Piscinas è sotto la protezione del Sic (sito di interesse comunitario), è tutelato dalle norme nazionali ed è protetto dal piano paesistico regionale. Salvaguardia e conservazione integrale entro la fascia dei trecento metri (che per la conformazione dei luoghi appaiono decisamente pochi a qualsiasi profano di urbanistica) per mettere al sicuro le dune. Mare e miniera sono un compendio indivisibile. I blu, i grigi, i rossi che si sovrappongono sul mare allungano le suggestioni luminose fino a Ingurtosu, Naracauli, Pitzinurri, dove prende forma l’area montana fino ad Arbus. È la valle del Rio Piscinas. La giunta regionale guidata da Renato Soru aveva deliberato un bando internazionale per la riqualificazione e trasformazione dell’area. Gara deserta: troppo impegnativo per l’eventuale acquirente il costo delle bonifiche. Forse anche le volumetrie possibili sono state ritenute restrittive. Hanno avuto migliore successo i trasferimenti di alcune strutture dalla Regione al Comune e trasformate in servizi turistici e in un ristorante pizzeria. Una parte del recupero ambientale è stato curato negli anni scorsi con gli interventi regionali nell’ambito del Parco geominerario. Ma si è trattato di interventi piccoli e parziali. Chi si intrattiene ai chioschi rivendica qualche servizio in più per migliorare la vira ai turisti. Chissà. Di certo, quando volti le spalle per il rientro, resta impressa la stessa fotografia che ebbe all’arrivo la giornalista immaginata da Pansa: «Una calma distesa d’acqua, di un bel grigio lucente, e attorno la perfezione delle dune… Mentre la sabbia le sembrò una crema spalmata dovunque, di colore identico a quello del cappuccino con la panna».

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Un commento

  1. In tempi di refelxão globale da madre natura e gli effetti nocivi della mano dell’uomo, un ottimo esempio di conservazione per il resto del mondo …
    Belissimo Testo in breve in ristampa nel blog portoghese Sardegna Sa Terra Mia
    Parabens
    Lucinha Dettori Brasile

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