di Sergio Portas
Facciamo finta che un qualche “continentale” se ne volesse andare in giro per la Sardegna nostra e avesse, contemporaneamente, voglia di penetrala un poco più di quello che consente lo spaparanzarsi in una spiaggia assolata che proprio più non si può, nell’ attesa di un piatto di culurgiones spruzzati di pecorino. Il consiglio più spassionato è di affidarsi a un qualche “Virgilio locale”, con il rischio sotteso della visione particolaristica della realtà isolana. Meglio, secondo me, confidare in una lettura differenziata, per autore, ché può così unirsi l’utile di pagine che inventano una realtà immaginifica ma per questo non meno “vera”, al dilettevole di farsi accarezzare i piedi dal mare di cristallo che bagna le spiagge di cui sopra. Io inizierei da “Accabadora” di Michela Murgia (ed. Einaudi), con il quale la “cabrarissa” (per i non sardi: nata a Cabras) continua ad andare scalza per il mondo (suo) inanellando parole di corallo a costruire un periodare assolutamente personale, che sa di vecchie cassapanche in cui, mischiate a erbe aromatiche, dormono coperte di letti a due piazze, in cima ai quali una palma intrecciata rimanda a feste pasquali odorose di mandorle amare. A seguire e contrasto l’ultimo di Milena Agus: “La contessa di ricotta” (ed.Nottetempo), cagliaritana d’adozione, una ricerca lineare della prosa che nella sua semplicità riesce a nascondere buffe risoluzioni di vita. Con personaggi talmente “normali” da renderceli immediatamente simpatici nei comportamenti assurdi che caratterizzano giornalmente l’umano agire. Non si può tacere dell’ultima fatica di Salvatore Niffoi, “Il bastone dei miracoli” (Adelphi ed.), per chiunque di voi volesse avventurarsi in qualche paesino di barbagia, non occorre che sia specificatamente Orani, che è quello dell’autore e dove per altro un salto al museo Nivola è di rigore. La sagra messa in scrittura da Niffoi nei suoi numerosi libri continua con immutato ritmo scandito da launeddas di morte e di festa. Con una Sardegna tragica e prigioniera di un DNA che la fa altra e diversa nella storia europea, con un destino quindi che sconta meno possibilità di svolte positive, che prefigura più fatica che sorriso. Giovanni Carta è nato a San Gavino Monreale nel ’73. Fandango pubblica un suo libro bello e strano dal titolo impegnativo: “Il rumore dell’acqua, del ferro nel fieno e del giunco che stringe”. Parla del suo paese e della volontà di lasciarlo. Facile a dirsi, Santuingiu, come lo chiamiamo noi guspinesi che ci attribuiamo chissà quali quarti di nobiltà nei suoi confronti, è un paese del campidano senza infamia e senza lode, eppure in questo libro risulta abitata da una congerie di personaggi venuti al mondo a “miracol mostrare”. Nell’intrecciarsi del loro vivere è tutta la difficoltà dell’accettazione di una Sardegna che non è più, pur non essendo ancora altro, di qui la difficoltà di pensare a lasciarla solo in virtù di un disagio non ancora consolidato. E chi riuscirà nell’intento non è certo di avere fatto la giusta scelta. Come tutti i migranti. Che se vi piace piangere un poco su di una pagina più toccante delle altre ( confesso che io sono uno di quelli), imperdibile è “Vincendo l’ombra” di Mariangela Sedda (ed. Il Maestrale). Due sorelle, una rimane al paese, una emigra all’Argentina. Si scrivono. Cosa non riesce a farvi sentire questa autrice con il susseguirsi di queste lettere che diventano , una sempre più”sarda”, l’altra sempre più “spagnola”, mentre tutta una storia isolana si dipana all’intreccio di quella italiana del primo novecento, fascismo incluso, è davvero indicibile a parole. Occorre che la si legga. Altro modo di scrivere su un medesimo tema lo ritrovate in “Stirpe”, dell’altro campione sardo di Einaudi, il nuorese Marcello Fois. Se mi fanno una di quelle idiote domande tipo: “Qual è, secondo te, il miglior scrittore sardo vivente?” e ho una sola unica possibilità, faccio il suo nome. Che è come ti chiedessero se preferisci il gelato al pistacchio, al cioccolato o alla crema. Io che me li mangerei tutti i gusti di questo mondo. Ciò non toglie che Fois sa scrivere storie che toccano una corda di poesia che mi porto dentro da sempre, e lui riesce a farla vibrare, in modo imperscrutabile ma intenso. Mi piace come scrive. Nei tascabili Bompiani mi sono imbattuto in “Filosofia della navigazione” del cagliaritano Alessandro Aresu. E’ per palati un poco scafati, l’introduzione è di Massimo Cacciari, uno che prima di farti un favore vuole da te una relazione dei tuoi ultimi vent’anni (almeno così mi appare nei media). Parla di mare, ovviamente, e di isole, altrettanto ovviamente, e dell’isola più bella del mondo, che dietro di sé lascia innumerevoli libri di gente che tenta di ridurla a uno scritto, illusione fatale, che neanche le janas, che pure son fate, riescono a filare tanta lana capace di tessere il tappeto che tutta possa ricoprirla.
Bellissimo articolo complimenti di cuore ,
certo che non saprei dire chi è ” il miglior scrittore sardo vivente”, posso si dire che ” Oltremare “di Mariangela Sedda è uno dei miei preferiti e inoltre aggiungere alcuni nomi di scrittrici sarde che mi piacciono molto e che in questo articolo non sono nominati ,ad esempio la pluri premiata scrittrice nuorese Giovanna Mulas due volte nominata al Nobel di letteratura e raccomandare la lettura di “Lughe de chelu (e Jenna de Bentu)” tanto per nominare uno dei suoi libri . Giovanna Porcu di Oristano e il suo “Uomini in viaggio” pubblicato in Argentina in versione bilingue italiano e spagnolo , “A piedi scalzi” di Tatta Carboni.
Grazie del attenzione Teresa Fantasia