di Cristoforo Puddu
Il documento in limba sarda più antico risale all’XI secolo ed è un atto di donazione di ville e di diritti sulla servitù artigiana (i liberus de paniliu), a favore dell’arcivescovo di Cagliari da parte del giudice Torchitorio nel periodo giudicale 1070-80. Immediatamente successivo è invece il documento del Giudicato di Torres, scritto in volgare logudorese tra il 1080 e il 1085, e conosciuto come Privilegio logudorese in quanto tratta delle concessioni del giudice Mariano di Laconi a dei cittadini pisani. Gli scritti in volgare sardo hanno provenienza principale dagli ordini monastici o sono fonti redatte dai funzionari degli uffici del Giudicato. E appunto i condaghi (condaghes, condaxi, fundaghe, kondake), termine derivato dal sostantivo greco kontàkion che significa registro, rappresentano i documenti su cui i monaci delle abbazie sarde annotano attività e atti giuridici per documentare così i diversi aspetti della vita sociale, di quella giuridica (sentenze, contratti, lasciti, compere, vendite, etc…) e storico-ecclesiastica. Oltre ai condaghi sono significativi gli scritti degli statuti cittadini (Sassari, Castelsardo) e il Liber Judicum Turritanorum (Libro dei giudici turritani) -opera pubblicata da Enrico Besta nel 1906 a Palermo e ripresa per studi successivi da Antonio Sanna (Libellus Judicum Turritanorum, Sassari, S’Ischiglia, 1957)- che riporta la cronaca di “qualche secolo di storia costituendo quindi una fonte importante per il Medioevo sardo” e tendente a dimostrare “i diritti della Chiesa sul Giudicato di Torres” con la morte dell’ultima “giudicessa” Adelasia. La ricchezza e compiutezza linguistica (non ancora di valenza letteraria) verrà raggiunta con la Carta de Logu di Arborea. I condaghes monastici pervenuti integralmente sono quattro: quelli di San Pietro di Silki, di San Michele di Salvenor, di San Nicola di Trullas, di Santa Maria di Bonarcado. Si registra anche un condaghe laico, quello di Barisone II o dell’ospedale di San Leonardo di Bosove, che documenta l’atto di donazione a favore del lebbrosario, e altri condaghes di fondazione (San Gavino, Santa Maria di Tergu, SS. Trinità di Saccargia e San Pietro di Bosa). Tutti i manoscritti risultano redatti su pergamena e rappresentano fonte inesauribile per inquadrare e capire la civiltà giudicale e l’unica vera stagione sarda di libertà e indipendenza. I condaghi segnano l’impiego e la validità del volgare sardo scritto e significano i primi passi di legittimazione linguistica identitaria. Una sfida al dominante latino, pur nella consapevole “distinzione di sfere d’uso tra le due lingue”.