di Sergio Portas
Il popolo sardo emigrato festeggia “sa die” in salsa meneghina a Cinisello Balsamo, ventidue chilometri da dove abito io, a Milano, come specificano le innumerevoli mappe di internet, secondo le quali ci si arriva in venti minuti con l’auto. Ingorghi di traffico, bontà loro, non sono previsti, mai. A questo tipo di appuntamenti l’età media dei partecipanti aumenta drammaticamente con gli anni che si vanno contando dopo il duemila fatidico, e comincia a sfiorare cifre che ricordano da vicino quelle dei centenari del Serrabus, dell’Ogliastra. Il popolo immigrato è vecchio. Figli e nipoti la bandiera dei quattro mori la sventolano allo stadio di S. Siro, quando il Cagliari si presenta alla “scala del calcio italiano” per tentare l’impresa di rubare qualche pareggio ai più titolati squadroni di Moratti e Berlusconi. Che non sono più, ahimè, i tempi di Gigi Riva rombo di tuono. Tra i riti che fanno parte dell’auto identificazione dei presenti, campidanesi o galluresi che siano, immancabile è l’ascolto della messa a mezzodì. Per importanza seconda solamente al pantagruelico pasto che rinsalda, complice il cannonau e il vermentino d’annata, una ritrovata fraternità di sentimenti, se non anche d’intenti. Che per quanto riguarda i sardi sono notoriamente riassunti dal proverbio che canta: “chentu concas, chentu barrittas”, a certificare una rivendicazione di atavico anarchismo, in cui tutti o quasi si riconoscono volentieri. Debbo confessare che i numerosi esami di storia che ho inanellato alla facoltà di scienze politiche hanno non poco contribuito a farmi sorgere dentro un pregiudizio negativo verso la Chiesa, intesa come stato sovrano, complice la chiosa dei vari Machiavelli e Guicciardini, pregiudizio che si è andato gonfiando a dismisura in questi ultimi quindici anni d’imperante berlusconismo. Che considero, a torto o a ragione, un periodo di oscurantismo culturale e politico foriero di guai ulteriori per la classe sociale cui mi onoro di appartenere, quella dei salariati a reddito fisso e tassato che di più proprio non si può. Sento dire da illustri politologi che scrivono in importanti gazzette “liberali” (il Corriere della sera su tutti) che il concetto di “classe” è oramai da abbandonarsi in toto per spiegare il reale, e che la globalizzazione ci fa tutti più uguali che prima, ma che ci volete fare, in quella benedetta università che vi dicevo, aveva grande spazio anche il pensiero di quell’ebreo tedesco che del capitalismo che tutti ci frulla, aveva scritto pagine illuminanti ( Das Kapital). E vedere che la Chiesa, intesa come gerarchia, abbia contribuito la sua parte al dispiegarsi della civiltà berlusconica, non ha fatto altro che screditarla ulteriormente ai miei occhi. Ma c’è Chiesa e Chiesa. Oggi a tenere l’omelia e celebrare i sacri riti è il generale dei Comboniani, sardo di Berchidda, Teresino Serra. E la sua predica non me la perderei per tutto l’oro del mondo. Non fosse altro che per quella loro rivista, che si può tranquillamente scorrere in internet: “Nigrizia”, che in cima alla pagina, grande come il titolo del giornale, pone: Campagna referendaria, L’ACQUA NON SI VENDE. Tutto maiuscolo. E già questo la dice lunga su come politicamente la pensano i comboniani. Che da sempre portano la parola del Nazareno fra gli ultimi della terra, condividendo con loro tutto quello che hanno. A seguire, sulla rivista, un articolo sulla cooperazione del governo italiano ai paesi sottosviluppati, assolutamente deficitaria (parola del viceministro Mantica), cento morti in Ciad ai confini col Sudan, dove pure un voto pieno di brogli ha rieletto l’ineffabile El Bashir, che la comunità internazionale tanto vorrebbe mettere sotto processo per il genocidio del Darfur. E il pasticcio somalo, col suo governo provvisorio che passa da uno scandalo di corruzione all’altro. Insomma se volete tenervi informati delle nefandezze che il cosiddetto primo mondo continua a perpetrare in Africa e nel sud del mondo, complici i dittatori fantoccio che si arricchiscono con i diamanti e la svendita di ogni materia prima appetibile, leggete Nigrizia. Teresino Serra è a capo dell’ordine, se n’è andato per venticinque anni in posti che vedono la dignità umana calpestata e umiliata dai potenti di turno. E ora, ci dice, è pronto a ripartire. Va nel Messico indio, a lenire le piaghe di popoli che stiamo lentamente cancellando dalla faccia della terra. Negando dignità alle loro culture e tradizioni. Bramosi solo di sfrattarli dalle terre che vivono da sempre. Dove avevano eretto civiltà durate secoli che stupirono persino gli avventurieri spagnoli che le avrebbero depredate e distrutte. A città del Guatemala, quando le luci delle favelas che coprono la collina sovrastante paiono lucciole d’agosto, ogni sorso di birra gelata sembra andarti di traverso, che esse ti rammentano la precarietà della vita di tanta umanità che sopravvive senza acqua, servizi igienici, elettricità che non sia quella rubata da fili volanti di rame rubato. E che ci sia una parte del mondo che se ne sta a vedere, alla televisione, l’altra parte che muore di fame non sta scritto in nessuna ineluttabile legge di natura. Se non nella crudeltà di chi divide gli esseri umani in gerarchie di sfruttamento. Confidando nell’abulica indifferenza dei più. Ebbene questo ai comboniani fa scandalo. Come non faccia scandalo a tutti, è mistero. Nell’omelia padre Serra ci dice che ognuno di noi nasce maestro, con tre parole: zaino, rosa, arcobaleno. Così dice Pietro Casu, scrittore e prete di Berchidda anche lui. Lo zaino (sa bertula) simbolo del viandante, contiene le nostre lacrime e le nostre gioie, il nostro paradiso e il nostro inferno. Dio vive naturalmente nell’inferno, nella malattia, nel disagio, nelle favelas. Nello zaino c’è sempre una rosa, simbolo della persona che ama il bene. La rosa non ha bisogno di parole, profuma da sé. Anche il vangelo va predicato senza parole, la vita di ognuno è vangelo. E se la tua vita è incoerente, la gente ti volta le spalle. L’arcobaleno è il simbolo della speranza di coloro che partono. Molti sardi sono partiti. E si sono sparsi per il mondo, hanno qualche difettuccio anche loro ma il più delle volte sono sensibili, ospitali, silenziosi. Capaci, a volte, di regalare le loro vite per gli altri: padre Silvio Serpi, missionario in Uganda, a soli quaranta anni, ucciso dai soldati del dittatore del tempo, tale Idi Amin Dada. Sul posto dell’eccidio sorge una chiesa più grande della Sant’Ambrogio di dove ci troviamo oggi. Perché in Africa l’ordine per i soldati è di uccidere bambini e per le donne c’è la violenza carnale. Chi non obbedisce perde la vita sparato dai graduati. Eppure, dice l’arcobaleno, alla lunga l’agnello vincerà il lupo. Parla e predica anche in sardo padre Serra, quando Pino Martini Obinu e il suo gruppo musicale intonano il “Deus ti salvet Maria”, invita gli astanti a unirsi al canto che fa una la gente di Sardegna. A fine messa non posso non chiedergli del ciclone “pedofilia” che sta squassando la chiesa cattolica. Dice che è contento se la verità esce fuori e fa cambiare comportamenti omertosi che hanno recato tanto danno a persone innocenti. Anche se scorge una volontà di persecuzione, specie da parte di tanta stampa statunitense (New York Times). Purificazione sì, persecuzione no. Lui ha deciso che la sua vita di cristiano vada parlando nel modo in cui lo fa la rosa. Lo chiedeva, mi dice sorridendo, uno scrittore spiritualista non cristiano: Gandhi.
Salve,mi chiamo Letizia Marras e lavoro per una casa editrice che sviluppa progetti editoriali legati alle tradizioni folkloristiche della Sardegna; son entrata in contatto con il Vs. blog per caso, navigando tra i link consigliati dai circoli sardi, e devo dire che mi è
piaciuto molto e mi ha dato l’opportunità di avere informazioni su iniziative ed eventi culturali vari riguardo la Sardegna.
Volevo invitarvi a visitare anche il nostro sito internet http://www.paginefolk.it e se può essere interessante per voi e per i visitatori che frequentano il Vs. blog a inserire il nostro indirizzo nel blog.
Vi ringrazio anticipatamente e vi invito, se desiderate avere maggiori infrmazioni sulla Ns. attività a contattarci.
Saluti
Questo signore e’ cugino di mia moglie, ho cercato di parlare con Perlato, perché questo signore con cui ho cenato il 30 aprile 2014 meriterebbe e merita ben altra considerazione, sono si’ un cugino preso ma l’idea di festeggiarlo lo avevo formulato alla Abis del circolo Sardo di Milano, l’ha raccolta ma poi si è dimenticata di invitarmi, l’ ho letto su un manifesto al ristorante Novecento di Milano.
Non è bastato quest’uomo merita ben altro ma unitamente alla sorella anch’essa suora Comboniana. Due figli di una famiglia che hanno deciso di donare la loro vita agli altri. Quindi dite poche parole e se volete fate dei fatti. Co molto rispetto per tutti voi. Michele Sanzo’