di Massimiliano Perlato
Un giorno su un Cagliari-Milano – uno di quei drammatici giorni in cui sull’aereo ti capita il sedile di mezzo della fila da tre – si è seduto un tizio che mi sembrava indiano, ma poi mi ha rivolto la parola per non so quale motivo e, nel corso di una conversazione in inglese very polite, mi rivelava di essere di Singapore. “Do you know Singapore?” E io gli ho risposto “Yes I do”. Chi non conosce Singapore? Questa era la frase che tradiva la mia espressione facciale. Singapore, tzè. In realtà non sapevo niente di Singapore, come penso la quasi totalità delle persone che c’erano sull’aereo. Tutti avrebbero risposto “Yes I do!”, ma io avrei voluto sottoporli al test a cui mi stava quasi sottoponendo il mio amico singaporegno, che aveva aperto la rivista della Meridiana alla pagina della cartina mondiale. Ha puntato il dito su Singapore e mi ha detto: “It’s a dot”.
In effetti al mondo ci sono 201 stati che coprono la vasta gamma che c’è tra una Russia o una Cina e un dot come Singapore. A parte quei 10-15 stati che rivestono una certa importanza intrinseca ed estrinseca, la geopolitica ci riserva un po’ di sorprese. Ci sono dot come Singapore che però sono delle piccole potenze, o paesi pazzeschi come – chessò – il Kazakhistan o la Mongolia che saranno mille volte Singapore e avranno la metà del suo Pil. Poi ci sono stati di cui non ti capaciti: l’Indonesia ha 230 milioni di abitanti, il Bangladesh 162 milioni. La Città del Vaticano, ha 794 abitanti. Ci sono Stati dove succedono troppe cose, ci sono stati in guerra, stati assediati, stati martoriati. Poi ci sono Stati dove non succede quasi mai niente. Sottolineo il quasi. Una volta avevo parlato del Belgio. A parte due corse ciclistiche e quella palla mortale del Parlamento europeo, cosa ci offre un Belgio? E invece in Belgio accadono cose efferatissime e spaventose, in maniera del tutto sproporzionata alla superficie e alla popolazione. Mi aspetto così che un giorno succeda qualcosa di clamoroso in Uruguay e Paraguay, che vivono di Mondiali e Coppa America, ma di cui ignoro forma di governo e principali risorse economiche. E l’Islanda? No, voglio dire, 322mila abitanti, più o meno come Bari. L’Islanda è un postaccio, come ricavo dalla descrizione di Wikipedia: “Collocata sulla dorsale medio atlantica, l’Islanda presenta una forte attività vulcanica e geotermica, che ne caratterizza il paesaggio (embè!). L’interno consiste principalmente di un altopiano sabbioso desertico, montagne e ghiacciai, da cui molti fiumi glaciali (wow!) scorrono verso il mare attraverso le pianure. Grazie alla corrente del Golfo, l’Islanda ha un clima temperato, relativamente alla sua latitudine, che ne consente l’abitabilità)”. Per esempio: io credo che in Belgio si annoino molto, e quindi ogni tanto fanno cose che neanche nei film splatter. E in Islanda penso che si crei un vortice di negatività (pensate a quante volte un islandese medio dice in un anno “che brutto clima!” oppure “uffa che fiumi glaciali” oppure “accidenti un geyser!”) che periodicamente può provocare qualche cataclisma mondiale. Il mondo oggi è in balia di un vulcano islandese: la trovo una cosa spaventosa ma anche molto democratica (tutti gli Stati del mondo hanno pari dignità e importanza) e simbolica (perché negare all’Islanda di trovarsi al centro dell’attenzione, lei che è così drammaticamente periferica?) Pensate alla Merkel, che ci mette 60 ore a tornare a Berlino dagli Stati Uniti, perché decolla dagli Usa, fa scalo a Roma, prende il bus e questo buca una gomma proprio in un tratto della A1, ahilei, privo di colonnine Sos. E’ la rivincita della natura, e la rivincita dell’Islanda. Cenere siamo, e cenere torneremo. E non prendiamocela troppo: sapete qual è il proverbio tipico del’Islanda? “Non ti piace il tempo che fa? Aspetta un minuto”. Pavia al confronto è Mauritius.