Grande entusiasmo al circolo "Gennargentu" di Nichelino: a fine marzo il sodalizio degli emigrati sardi ha organizzato con il patrocinio del Comune, rappresentato dal sindaco dottor Giuseppe Catizone, in collaborazione con la Regione Sardegna e la FASI, rappresentata dal coordinatore della zona Nord Ovest, dottor Gian Paolo Collu, l’inaugurazione della via dedicata a Grazia Deledda. Tutto questo si è reso possibile, dopo la richiesta fatta dall’associazione sarda al Comune in occasione del convegno del 19 maggio 2006, per il Settantesimo anniversario della morte e dell’80° dell’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura a Grazia Deledda. Una via in una zona di nuovi insediamenti della città, dove è stata messa a dimora una quercia da sughero in ricordo e simbolo della manifestazione. Dopo la cerimonia di inaugurazione, presso la Sala Consiliare del Comune, si è svolto un dibattito sulla scrittrice sarda e internazionale. Il presidente del "Gennargentu" Salvatore Fois ha aperto i lavori e per la prima volta in un luogo istituzionale di Nichelino è stato pronunciato un discorso "in limba" con molta sorpresa dei convenuti, sia sardi che amici della Sardegna presenti in sala. Le duecento persone che hanno gremito l’aula in tutti i suoi spazi, hanno avuto l’opportunità di applaudire le musiche della banda cittadina "Puccini" di Nichelino e la rappresentazione dei balletti del gruppo "Amici del Folk" di Nuoro, invitati per l’occasione e provenienti dalla città barbaricina che ha dato i natali alla scrittrice Grazia Deledda. Le evoluzioni del gruppo folk hanno riscosso grande entusiasmo. Il relatore principale, è stato il professor Roberto Mario Scarpa, un luminare della scienza prestato alla letteratura per l’avvenimento, ha appassionato i presenti con le sue conoscenze sulla vita della Deledda e sulla società di quel tempo, ricordando la situazione sociale dell’epoca e le difficoltà personali della scrittrice nel contesto locale in cui viveva. Gli interventi si sono susseguiti apportando grandi contributi al dibattito. Uno dei più significativi è stato quello dell’assessore alla cultura di Nichelino, l’avvocato Michele Pansini che ha ricordato le complicata collocazione della scrittrice nei vari filoni di pensiero. L’accostamento tra il pensiero deleddiano a quello di Tolstoj è stato il più sintomatico. In chiusura, il sindaco Catizone, ha portato i saluti dell’amministrazione alla comunità sarda ha voluto sottolineare degli ottimi rapporti iniziati con il Comune di Nuoro a seguito di questa sorta di gemellaggio sorto nel nome di Grazia Deledda. Il tutto si è concluso con un buffet di specialità isolane giunte appositamente da Ozieri.
Salvatore Fois
EPPURE IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA, NON E’ MAI STATA IN PIENO APPREZZATA
GRAZIA DELEDDA, PUO’ UN NOBEL VENIR DIMENTICATO?
Grazia Deledda, grande scrittrice sarda, appare scomparsa dalla maggior parte delle antologie scolastiche e dimenticata da buona parte della critica, eppure si dovrebbe essere orgogliosi di lei, in quanto è stata la prima ed attualmente unica scrittrice italiana ad essere stata insignita del prestigioso premio Nobel per la letteratura. Grazia Deledda nasce a Nuoro nel 1871, in una famiglia benestante, è la quarta di sei figli; intrappolata nella minorità sociale in cui era relegata la donna in quegli anni e in quell’ambiente, suo malgrado segue pochi studi regolari, fino alla quarta elementare. La sua adolescenza è contraddistinta da gravi problemi familiari e fu forse in seguito a queste difficoltà che si accentuò nella Deledda il carattere sognante che la fece rifugiare nella lettura. Ci fu in lei un ripiegamento interiore che le facilitò lo svilupparsi di una fantastica, sognante e protratta adolescenza, piena di vagheggiamenti romantici. L’elemento della formazione culturale della Deledda ha una particolare importanza, perché molta della sua scrittura più matura è percorsa dalle suggestioni più varie, dalle influenze tematiche ed espressive più ortodosse proprio perché frutto di quelle letture disordinate, occasionali ed onnivore di cui si nutrì la scrittrice da ragazza: la Bibbia, i grandi narratori russi come Dostoevskj, Tolstoj e i grandi narratori francesi: Zola, Flaubert e Maupassant. Lesse poi Fogazzaro, soprattutto "Malombra". Fu poi lettrice di Carducci e soprattutto di D’Annunzio, considerato da lei un vero modello culturale. Cominciano gli anni dell’apprendistato in cui sperimenta varie scritture come novelle e poesie, poi si occupa anche di etnologia: collaborando alla "Rivista di Tradizioni Popolari Italiane", in particolare scrive 11 puntate delle "Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna", questa profonda conoscenza per la sua terra e per il suo popolo, apparirà poi in tutti suoi romanzi maggiori. La sua grande passione per la vocazione letteraria, su cui pesava il diffuso pregiudizio che "una donna scrittrice non può essere onesta", riesce finalmente a concretizzarsi ufficialmente con la pubblicazione del racconto "Sangue Sardo" sulla rivista romana "Ultima moda" (1886), da questo momento in poi, anche in seguito a una recensione favorevole di Capuana, con tenacia continuerà la sua produzione riuscendo a pubblicare varie novelle su diverse riviste letterarie. Anche se non mancarono le stroncature, in particolare con dolore apprese che i suoi conterranei l’accusavano di aver calunniato la Sardegna, descrivendone gli usi primitivi e quasi selvaggi, questo "risentimento" della sua gente si andò stemperando con il tempo e la comprensione del valore che l’opera della Deledda ha per la Sardegna tutta. Un viaggio a Cagliari tra l’ottobre e il dicembre del 1899 segna la svolta della sua vita. A casa dell’amica presso quale era ospite, incontra un funzionario del Ministero delle Finanze in missione sull’isola; Palmiro Madesani, romano. La Deledda capisce di essere davanti all’uomo della sua vita e l’11 gennaio lo sposa, nel mese di aprile gli sposi si trasferiscono a Roma. Si realizza in questo modo il suo sogno di evadere dalla provincia sarda, raggiungendo ben presto una precisa coscienza di sé. Sono questi gli anni della vita familiare, con i figli Sardus e Franz, e del lavoro regolare e quotidiano. I suoi scritti: novelle e romanzi vengono conosciuti da un numero crescente di lettori. Da allora in avanti pubblicherà in maniera sistematica novelle e romanzi, e saranno proprio quei romanzi, a condurla al premio Nobel nel 1926. Nel 1900 pubblica il primo romanzo composto a Roma, ambientato in Sardina, Elias Portolu, considerato un capolavoro a cui seguiranno con scadenza quasi annuale gli altri romanzi sempre ambientati nella sua isola: "Cenere" (1904), "L’edera" (1906), "Canne al vento" (1913), "Marianna Sirca" (1915), "L’incendio dell’uliveto" (1917), "La madre" (1919). Accanto a questi, considerati i romanzi maggiori e che sembrano far parte di un unico progetto letterario, c’è una vastissima produzione di novelle e di altri romanzi. Nei trent’anni trascorsi a Roma, la Deledda condusse una vita ritirata e semplice col marito e i due figli, suoi devoti collaboratori; non teneva conferenze, non partecipava quasi mai a ricevimenti o feste mondane e le rare volte che era costretta ad apparire in pubblico conservava sempre un atteggiamento modesto e dimesso. Grazia Deledda colpita fatalmente dallo stesso male di cui parla in uno dei suoi ultimi romanzi "La chiesa della solitudine" morì per un cancro al seno a Roma il 15 agosto del 1936, lasciando alla pubblicazione postuma "Cosima", il suo romanzo più evidentemente autobiografico. Il contenuto e la ricerca della sua opera sono rivolti sempre verso la realtà del costume contemporaneo; dove per il particolare periodo l’istituzione della famiglia, che per millenni aveva retto le regole etiche della società, entra in crisi. La scrittrice si sofferma soprattutto sulle lacerazioni interiori, di cui l’individuo diviene vittima, fenomeno che acquista nell’ambiente sardo maggior vigore, poichè la legge morale degli avi è fortemente inscritta nelle coscienze e assume il ruolo di un tabù religioso. I personaggi di Grazia Deledda appaiono pervasi dall’orrore che il violare le leggi provoca, ma nello stesso tempo non sono in grado, né vogliono resistere all’impulso dell’agire. La scrittrice non dà nessun giudizio morale sui personaggi, ma vive con loro il tormento e lo affronta, Lasciando sempre al destino l’ultimo gesto e parola. Grazia Deledda mette spesso in luce un urto tra il vecchio e il nuovo, lo stimolo a trasgredire le regole deriva da un cambiamento che può essere sociale, morale o derivante da un esperienza che porta il protagonista a vedere con occhi diversi il mondo. La forza drammatica della narrativa deleddiana nasce dagli episodi in cui la crisi delle coscienze esplode, portando alla luce l’unico principio etico positivo: il sacrificio di sé. Negli anni dell’apprendistato sperimenta varie scritture, alcune vicine al romanzo d’appendice, ma una volta a Roma, dopo essersi lasciata alle spalle la Sardegna, la sua arte si manifesta pronta e matura: i suoi romanzi appaiono perfetti nella loro scrittura così pulita e lineare, dove solo in alcuni punti vi sono delle concessioni al dialetto sardo, come il verbo alla fine della frase. Nei trent’anni trascorsi a Roma, la Deledda continuò sempre ad attingere dalla Sardegna, e l’essersi allontanata dalla sua isola fece si che tutto le apparisse più nitido. L’isola diventa così un territorio mitico e senza tempo dove si svolgono le grandi tragedie umane. Grazia Deledda fu insignita del premio Nobel per la letteratura nel 1926, il suo fu un premio che creò molto scalpore per diversi motivi; la sua formazione culturale, quasi esclusivamente autodidatta, la tematica, grandiosa e profonda della sua opera, il fatto che fosse una donna ( prima di lei il Nobel lo aveva avuto solo la scrittrice svedese Selma Lagerlòf) e non ultimo l’atteggiamento della scrittrice schivo e riservato, estremamente distante dall’ambiente letterario italiano di quegli anni. E’ passato molto tempo da quel Nobel, ma la sua opera appare più che mai attuale, i suoi romanzi, che per la accurata regia dei drammi psicologici possono essere considerati tra i più grandi del patrimonio letterario italiano, vengono purtroppo sistematicamente dimenticati. Si tratta di un grave caso di ignoranza letteraria. In una libreria di una grande città, mi sono imbattuta in una commessa che mi ha detto: "Grazia Deledda? Non la conosco, chi è?" Spero che questo mio articolo possa far venire a te che leggi la curiosità di conoscere l’opera della scrittrice. Grazia Deledda con un istruzione "scolastica" quasi assente fu insignita del Nobel grazie soprattutto alla sua sconfinata passione per la lettura e per la sua forza di volontà; possa essere questo un monito per avvicinare tutti, giovani e meno giovani alla lettura, porta di sapere e di libertà.
Valentina Fiori
A MILANO, PER LANCIARE IL CINEMA DI QUALITA’ "MADE IN SARDINIA"
ENRICO PAU E IL SUO "JIMMY DELLA COLLINA"
Pare che ogni anno in Italia vengano girati circa 150 film, di questi solo 90 trovano sbocco nei normali circuiti cinematografici. Che fine facciano gli altri non mi è dato sapere, quale sia la trama sottesa a tanto spreco è pure difficile da capire. I critici parlano di cattiva distribuzione, di mercato drogato in mano ai "soliti noti". Mi pare di supporre che sia un poco come nei libri, uno se lo scrive il suo romanzo, si paga le spese di pubblicazione e poi tenta di venderlo. Ma quanti libri arrivano davvero nelle librerie italiane? E quanti film arrivano a vedere almeno una programmazione in un cinema di prima visione? Qui a Milano i cinema non-multisala sono rimasti solo quattro: il cinema "Mexico" cerca di pescare in quel mare morto che sono le pellicole "di qualità" e qualche volta ci riesce pure. A giugno è un anno esatto che "Il vento fa il suo giro" viene continuamente proiettato con costante favore di pubblico, che accorre unicamente spinto dal "passaparola" di quelli che già sono andati a vederlo. Bene, ora i dirigenti del Mexico ci riprovano, programmando un mese di proiezione per il film di Enrico Pau: "Jimmy della collina". E’ tratto da un romanzo breve di Massimo Carlotto, lo scrittore di noir che ha scelto Cagliari a sua residenza. Qui il regista, cagliaritano di nascita, lo ha incontrato , si è innamorato dello scritto e ne ha tratto la sceneggiatura per questo suo secondo lungometraggio (il primo fu quello incentrato nel mondo dei dei pugili : pesi leggeri). Questa sera è presente in sala e dopo la proiezione risponde alle domande del pubblico, ci sono molti sardi, la FASI di Tonino Mulas e il Circolo culturale sardo di Milano offrono pabassini e Giogantinu ai presenti tutti. Sarà che venivo dalla proiezione (al circolo suddetto) di un altro film ambientato in Sardegna: "Le ragioni dell’aragosta", che Sabina Guzzanti ha girato nel Sinis di "Su Pallosu", in cui l’isola si presenta nella consueta veste ornata di sole mediterraneo e di palme verdeggianti, sarà che il film aragostano è decisamente comico e spensierato, pur mantenendo un fondo soffuso di ricerca di quella tensione sociale tanto cara alla Guzzanti, sia come sia "Jimmy" per me è stato troppo. Ambientato tra Sarroch, la sua incombente mostruosa raffineria morattiana male dimensionata rispetto al territorio circostante, e gli altri paesini che gli fanno da contorno, anche la Sardegna scelta a sfondo (naturalmente a ragione) è quanto di più alieno dal mio pensare l’isola natia. Del resto il romanzo è ambientato nella periferia bolognese. Ma importa poco visto che la storia è un’intima disanima della psicologia di un quasi diciottenne, che è sardo ma potrebbe essere
benissimo francese piuttosto che ungherese. Non ci sta ad andare a lavorare "nella chimica" come il padre e il fratello Jimmy, tenta la scorciatoia dei soldi facili con una rapina e viene preso. Tre ani di riformatorio, poi in comunità: la Collina del film. Qui un prete illuminato e una serie di volontari gli tendono più che una mano. Ma nella testa del ragazzo c’è altro, la fuga in Messico, inteso naturalmente come paese "mito", non che lui del Messico sappia alcunché. La libertà da tutto e tutti. Del resto dalla famiglia non gli arrivano che messaggi di vergogna, di dispiacere. Eppure ha persino una ragazza che gli vuole bene, e che lavora anche. E lui è proprio un bel "figo". Ma come dice poi il regista, che di mestiere (quello che gli permette di mangiare tutti i giorni) fa l’insegnante di lettere in un istituto professionale, di questi ragazzi disperati nell’animo se ne incontrano sempre di più. E sempre più è difficile con loro avere una qualche interlocuzione, non si dice capire cosa abbiano veramente intesta, che questa è davvero impresa disperata. Jimmy scappa dalla collina, si fa fregare i pochi soldi che aveva in tasca da uno più cattivo di lui che per sovrapprezzo lo pesta bene bene, e alla fine lo vediamo, naso sanguinante, che si affaccia su di un dirupo che evidentemente lo affascina, lo attira. E qui la pellicola termina e lascia agli spettatori di immaginarsi il finale che vogliono. A me verrebbe da dargli una pedata nel sedere e di fargli fare un bel ruzzolone, non dico di rompersi la testa. Perché mi sembra troppo introverso, troppo statico nella sua negatività. Troppo sordo alle voci amiche che pure, in fondo, lo circondano di bene. Di bene che niente vuole in cambio, quello dei volontari della "Collina", persino di qualche ragazzo che con lui sconta la pena nel carcere minorile. A tutti Jimmy sembra dire ( lo fa nel film): "Hai rotto il cazzo…". Tutto e tutti glielo hanno rotto. Lo dico a Pau: "Hai lasciato la scuola troppo presto, mi fa lui, se no ne avresti incontrati a bizzeffe". Nei miei 35 anni di insegnamento neanche uno. Avrà ragione Carlotto, che ha scritto il romanzo, e lui viene da un’esperienza di vita segnata da una violenza tanto più cruda quanto insensata, che giocoforza lo ha segnato per sempre. Ma questo rifiuto aprioristico di ogni espressione della realtà che ci circonda non mi convince per nulla. E’ una professione di nichilismo esibito ad avverare una previsione negativa di un futuro che non può essere corretto, né tanto meno disegnato in maniera autonoma. Quest’estate a Milano hanno proiettato:"Tutto torna" di un altro Enrico cagliaritano: che di cognome fa Pitzianti. Anche qui c’è un ragazzo che da un paese interno della Sardegna se ne va a Cagliari per lavorare nel locale notturno gestito dallo zio. Questo Massimo sogna (almeno lui ha un sogno "vero") di diventare scrittore. Trova una Cagliari moderna, multirazziale, si imbatte in un cenacolo di artisti che lavorano con materiali riciclati. La palazzina tipica della Marina dove vive con lo zio e i coinquilini con l’accento cagliaritano che ben conoscete dà un tocco di sardità che pervade tutto il film. Anche a ‘sto ragazzo rompono il naso con una testata per rubargli i soldi eppure, alla fine, tenta davvero la via del mare verso una Barcellona che promette un lavoro e una speranza fattibile. Silvana Silvestri sul "Manifesto" scrive di un tono del film che ha un che di commedia amara. Un tono inedito nel nostro cinema così ridanciano che non ha niente a che fare con un tipo di cinema regionale. Singolare che anche il terzo film "sardo" uscito quest’anno, il "Sonetaula" di Salvatore Mereu abbia un adolescente a protagonista. E comunque significativo che questi tre registi siano riusciti a trovare i finanziamenti per produrre i loro film, anche in un clima di scarsità crescente come quello che stiamo attraversando. Ma pare che la"nouvelle vague" sarda sia più forte della cattiva congiuntura. In scia di quella letteratura che fa nascere libri di autori che durano, che rimangono nelle vetrine delle librerie, e vendono copie. Vincono premi a carattere nazionale. E’ in tempi di globalizzazione che si riscoprono le radici che hanno senso, questo vento caldo di cultura che spira dalla Sardegna nostra ha un profumo così intenso di mirto e lentischio che ti fa innamorare anche d’inverno.
Sergio Portas
SARDEGNA GRANDE PROTAGONISTA NEL CUORE DEL MEDITERRANEO
INCONTRO COL REGISTA DAVIDE MOCCI
Nuovo appuntamento di Su Nuraghe Film, per "conoscere la Sardegna attraverso il film d’autore", un modo semplice per trovare o ritrovare l’Isola. In cartellone "Sardegna nel cuore del Mediterraneo", un cortometraggio della durata di 75 minuti, realizzato dal giovane regista cagliaritano Davide Mocci, apprezzato documentarista di Geo & Geo, la trasmissione televisiva pomeridiana di Raitre. Il documentario racconta il significativo percorso dell’originale civiltà nuragica, sviluppatasi in maniera imponente circa 3500 anni fa quando furono creati i primi nuraghi, edifici fortificati dei quali oltre settemila sono ancora esistenti in Sardegna. Il filmato permette di scoprire come poteva apparire la vita dentro i grandi massi di pietra e i motivi che hanno determinato la scomparsa di molti nuraghi, il simbolo, la radice storica del Popolo sardo. Nel corso del documentario viene analizzata anche l’originalità della lingua sarda, le differenti parlate nelle diverse aree geografiche dell’Isola e le due enclave linguistiche in terra sarda, quella catalana ad Alghero e quella tabarkina a Carloforte. La lingua, la cultura e la storia sarda sono qui presenti nell’incredibile contesto geografico che, dalle immagini del documentario, dimostrano anche perché la Sardegna sia una grande protagonista nel cuore del Mediterraneo. Alla serata, presentata dal dott. Gianni Cilloco, era presente il regista Davide Mocci, impegnato in alcune riprese naturalistiche nella Baraggia biellese.
Battista Saiu
IL CINEMA IN SARDEGNA
DALLE ORIGINI AD OGGI
I primi a raccontare la nostra isola attraverso delle immagini in movimento sono stati addirittura i fratelli Lumiere, gli inventori del cinema. Nel 1899 i Lumiere, per mezzo del regista Francesco Felicetti, girano Voyage du Roi Humbert Ier en Sardaigne. Le origini del documentario in Sardegna, infatti, sono molto più antiche di quanto si possa pensare. Questo avvenne in occasione della visita dei Reali a Sassari, dove proprio questi av
evano inviato dei loro operatori per realizzare una cosiddetta cineattualità. Ovviamente in pochi minuti di immagini il pubblico poteva vedere il sovrano Umberto I e la regina Margherita in visita a una miniera, l’inaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele e la cavalcata in costume sempre a Sassari. Un filmato di straordinaria importanza e di grande valore nella storia della documentaristica nell’isola, che è stato restaurato dalla Lumière nel 1995, in occasione del centenario del cinema, e dato poi in coppia alla cineteca sarda. Una testimonianza unica e un documento di memoria della Sardegna di fine 800, che sembra aver anche codificato lo schema di lavoro che sarà poi utilizzato dalla gran parte dei cineasti fino agli anni 60 con pochi, ma fermi elementi costitutivi: attività dei governatori, opere pubbliche e tradizioni popolari. In seguito il genere del documentario vero e proprio nascerà nel 1924, con l’avvento del fascismo. Proprio ai primi del 900 l’isola apparirà solamente in documentari, ormai perduti, come La Sardegna: usi e costumi, Visita ad una miniera d’argento, Piccoli mestieri del mare e Briganti in Sardegna. Altre testimonianze riguardano i rari film interamente girati o solo ambientati in Sardegna, ispirati prevalentemente alla scrittrice nuorese, premio Nobel per la Letteratura, Grazia Deledda, vissuta a cavallo tra 800 e 900, che ha dato un’immagine della Sardegna fatta di banditismo, folklore ed esotismo, soprattutto grazie al successo dei suoi romanzi. La Deledda è stata, infatti, per il cinema sardo fonte continua d’ispirazione, i richiami sono molti anche quando i film non sono ispirati direttamente ai suoi romanzi. Tuttavia alla scrittrice non interessa molto l’arte cinematografica, non partecipa neppure alla stesura della sceneggiatura di Cenere, il famoso film tratto dal suo più noto romanzo e interpretato da Eleonora Duse, che lo tradusse in sceneggiatura insieme al regista Febo Mari. L’unico documento ritrovato relativamente da poco, scritto dalla Deledda per il cinema è un soggetto del 1916, scoperto alcuni anni fa dal professor Cordova, docente di storia contemporanea all’Università di Roma. Questo documento fu ritrovato nell’epistolario della giornalista Olga Ossani, intellettuale di primo piano dell’epoca, amica di Grazia Deledda e Eleonora Duse. Il soggetto appare in anteprima sul quotidiano L’Unità il 1 febbraio 1994. Dal dopoguerra in Sardegna comincia a farsi strada un cinema documentario, più attento agli aspetti antropologici della nostra isola. Iniziano ad apparire i primi autori sardi come Enrico Costa, ma soprattutto Fiorenzo Serra che con una ricca attività filmografica realizza L’ultimo pugno di terra, premiato al Festival dei Popoli nel 1965. L’ultimo pugno di terra fu realizzato con il patrocinio della Regione Sardegna per celebrare il piano di rinascita, l’opera appunto doveva rappresentare un valido e duraturo documento della situazione economico sociale ed umana della Sardegna dell’epoca. Questi sono gli stessi anni in cui si girava Sardinia, opera prodotta dalla Walt Disney per la serie popoli e paesi in cui la gente di Sardegna era paragonata ai popoli primitivi. C’è un forte confronto tra l’opera della Disney e i documentati girati, anche da De Seta (Pastori di Orgosolo; Un giorno in Barbagia), che riescono a trasmettere una visione fortemente realistica dell’isola rispetto alla spettacolarizzazione disneyana. Fiorenzo Serra il più grande documentarista sardo, muore nel 2005 con l’intenzione di voler recuperare tutti gli spezzoni del suo film per poterli riversare in digitale. Al giorno d’oggi, infatti, questo tipo di documentario non esiste più, ma nella nostra isola stanno emergendo molti registi di grande valore che riescono a farsi seguire anche da un pubblico non isolano; portano in scena tematiche di ogni genere che oscillano dall’eterno problema della criminalità nelle zone interne (La destinazione di Piero Sanna o Arcipelaghi di Giovanni Columbu) al moderno racconto metropolitano (Un delitto impossibile di Antonello Grimaldi e Pesi leggeri di Enrico Pau) o al mondo dell’infanzia ritratto da Peter Marcias. Inoltre, per quanto riguarda il cinema sardo e i suoi registi, va ricordato l’uso costante della lingua sarda e la presenza, anche questa costante, di attori presi dalla strada.
Nicoletta Cavaglieri
VISITA A BOLOGNA AL GRANDE GIORNALISTA
LUCA GOLDONI: LA MIA SARDEGNA
Siete mai stati a Bologna città di portici e di torri, del buon cibo e del buon vino, di cantanti rock e dei molti stranieri? Bologna dei manifesti, degli studenti, ancora dotta ma un po’ troppo sporca. Bologna romantica in inverno tra antichi quartieri, chiese e mercati. Bologna e la sua stazione con targa per non dimenticare. Bologna patria d’adozione dello scrittore Luca Goldoni che ci ha aperto le porte della sua casa per raccontarci come ha scoperto, per caso, la Sardegna più genuina, il suo amore per gli animali e i suoi sogni.
Qual è il rapporto di Luca Goldoni con la Sardegna più vera e perché uno scrittore come lei decide di andare in un paesino come Arzana? Ho scoperto la Sardegna per caso, in effetti penso che nella vita tutto quello che ci accade, ci accade casualmente. E così un’estate ci hanno proposto di andare a Costa Paradiso dove c’era la possibilità di comprare degli appartamenti. Siamo stati là e dopo aver visto le case io e mio figlio abbiamo fatto un giro. Era una giornata di forte maestrale e ci ritrovammo vicino a degli scogli sul mare: a braccia aperte e stavamo su, tanta era la violenza del vento. Allora ci siamo detti: non si può fare il bagno, facciamo un giro! Siamo arrivati a Castelsardo e dopo abbiamo girato verso l’interno, stavamo passando attraverso un paese che si trova vicino alla Roccia dell’Elefante. Dalla macchina ad un certo punto ho detto a mio figlio: guarda che belle querce. Lui mi ha risposto: no, papà, non sono querce. A quel punto ci siamo fermati e abbiamo notato che di fronte a noi un uomo stava lavorando sotto un trattore, lo riparava. Ho chiesto: scusi, se la disturbiamo, ma volevamo sapere: sono delle querce quelle lì? Immediatamente d’è fermato, si è alzato ed è venuto verso di noi, si è pulito le mani e ha aperto il cancello dicendo. Se venite dentro vi spiego bene cosa sono. Ci ha fatto entrare mostrandoci orgoglioso il sughereto mentre ci spiegava come avveniva la raccolta. Poi ci ha invitato nella sua cantina e ha iniziato a tagliare salame e formaggio, aprendo anche una bottiglia di vino rosso. Mi ricordo che siamo stati lì due ore a parlare con questo uomo che si chiama Gavino Conconi e poi siamo andati via. Ho detto a mio figlio: ma guarda un po’ questo qui, tu arrivi, chiedi una spiegazione e anche se non ti ha mai visto ti invita a casa sua a mangiare con lui. E così da quel giorno abbiamo stabilito un’amicizia con Gavino.
E poi cosa è successo? A distanza di tempo sono tornato e mi sono portato degli amici, portavo anche dei regali per ricambiare l’ospitalità e lui come sempre, ci imbandiva la tavola, e cucinava il porcetto. L’anno dopo sono tornato da Gavino che mi disse subito: "ho saputo delle cose su di te!" E cosa hai saputo? gli dissi io. "Mia figlia mi ha detto che ha letto un tuo libro. Ma tu sei uno scrittore?" Si, io faccio lo scrittore! Vede, questa cosa mi è molto piaciuta perché ho capito che quando mi aveva accolto non sapeva nemmeno chi fossi. Aveva aperto la sua casa ad un perfetto sconosciuto e non era stato gentile perché ero Luca Goldoni. Da questo episodio siamo diventati molto amici e quando viene a sapere che vado in Sardegna e non vado a trovarlo si arrabbia mi chiama e mi fa delle scenate quasi da amante, si sente quasi tradito. "Come! Sei passato da queste parti e non sei venuto a trovarmi?" Da allora ho cominciato a capire che la Sardegna era una terra da scoprire. Non era solo quella delle bellissime spiagge, ma anche dell’interno. Ho cominciato a girarla. Quando vado a trovare Gavino incontro queste incredibili basiliche romano-pisane abbandonate tra pascoli e voli di falchi. Vado ad Arzana, un paese che mi ha dato la cittadinanza onoraria e da cui sono partito alla scoperta del Gennargentu, e su questo territorio incredibile che sembra un continente ho scritto diversi articoli. Ti trovi a girare con quel trenino e incontri canyon poi cascate, montagne e pianure e naturalmente ho cominciato ad innamorarmi di questa terra. Ho cominciato ad innamorarmi anche di questa gente, che è molto chiusa, diffidente ma se capisce che sei sincero ti apre il cuore e te lo apre per sempre.
Cosa le ha dato l’identità sarda? La sincerità nei rapporti, a volte semplici, a volte brutali ma belli perché schietti. Ci sono luoghi dove per entrare devi essere chissà chi, lì invece, ti presenti per quello che sei e se sei genuino le porte ti si aprono. Una cosa che mi ha colpito molto di questo mio amico Gavino è che parla un italiano perfetto, con i congiuntivi. Non come dalle mie parti, dove i contadini parlano quella specie di lingua bastarda che è il dialetto italianizzato. I contadini sardi, invece, l’italiano lo parlano bene.
Lei ha scritto molti libri che parlano di animali, da cui traspare il suo profondo amore per loro. Perché più libri sugli animali che sugli uomini? Sono soggetti migliori, alla fine? Non proprio! Prima di tutto, le dirò che nella mia vita per tanto tempo ho fatto l’inviato speciale girando il mondo. Mi sono ritrovato spesso a raccontare di guerre, di cose atroci, cose veramente atroci. Poi, tornato, forse per reazione a tanti anni di brutture, mi sono comprato una vecchia casa di pietra in collina qui vicino a Bologna, perché mi sono reso conto di aver necessità di scoprire il mondo in un altro modo, di scoprirlo in mille metri quadri. Il mondo fatto di insetti, di animali; di animali tuoi o animali che scelgono te passando di lì. Faccio sempre questo esempio per spiegare meglio il mio pensiero: non vorrei che la commozione per la clinica del cardellino sia superiore alla commozione per casa del moribondo costruita a Calcutta da Madre Teresa. Stiamo attenti, gli animali non sono né migliori né peggiori di noi, sono diversi. Hanno un’intelligenza ridotta e se uccidono lo fanno per mangiare non certo per denaro.
Cosa pensa dell’informazione oggi? Penso che tutto sommato, presi globalmente, i giornali italiani siano fatti con una certa professionalità e indipendenza. Non è così invece per le televisioni. Sappiamo che in parte sono proprietà di chi ci governa e il resto sono comunque influenzate perché il governo mette la sua mano anche sulla RAI e di conseguenza sull’informazione pubblica. Per la carta stampata, il discorso è diverso. Ci sono dei giornali indipendenti che hanno degli editori che capiscono. Il giornali vai a comprartelo in edicola, lo scegli fra tanti. Dovremmo comunque prendere esempio dai giornali americani che sono riusciti a buttar giù un presidente come Nixon con una campagna di stampa.
Quindi ha ancora senso scrivere? Si certo! Non solo ha senso ma è necessario!
Ci vuole dire un sogno di Luca Goldoni? Adesso che ho 80 anni, non tornerei a venti, ma vorrei tirare diritto così per altri 50, così come sono adesso, con i miei limiti e con quello che mi resta ancora. Emanuela Valentino
LA MOSTRA DI TERRACOTTE AL "SU NURAGHE" DI BIELLA
DALLA TERRA, LA FORMA DI ANNA TABERLET
La mostra "Dalla terra… la forma – Terracotte e Raku" di Anna Taberlet e dei suoi collaboratori: Germana Modestini, Bruna Acquadro, Simona Demontis, Simona Villaverde. Anna Taberlet è nata a Cagliari, dove ha compiuto gli studi artistici prima di arrivare a Biella. Insegna "Arte" e "Sostegno" ai ragazzi diversamente abili. La sua sperimentazione artistica coinvolge anche giovanissimi allievi del laboratorio di ceramica di Biella Pavignano. Un’esperienza sviluppata per anni anche con i suoi conterranei in un analogo laboratorio di pittura e ceramica organizzato presso il Circolo Culturale Sardo Su Nuraghe di Biella. Il sole caldo della Terra di origine irraggia il suo agire e si riflette nelle opere che realizza. Bisogna "fare cose con gioia – sostiene – comunicarla con le mani che toccano la materia e gli smalti splendenti". Proprio nelle sue mani la materia prende forma, con rimandi alla Sardegna, ai suoi abitanti, ai suoi dolci rilevi modellati dal tempo; ai colori delicati della primavera precoce; alle sfumatura del mare a volte pacifico o dall’umore bizzarro, spesso imprevedibile; alle tonalità solari dei campi arsi da estati calde di luce. La natura è la sua tavolozza. "Fuori, nella natura – afferma Anna Taberlet – la terra, l’acqua, il fuoco, gli amici, l’amore… ti fanno vivere giovane". Le terracotte ed ancor più la ceramica "raku" il cui l’ideogramma significa "gioia, ben si adatta a materializzare le idee e la fantasia solare dell’artista. Con la tecnica "raku", la smaltatura di un "pezzo" può essere ripetuta più volte rimuovendolo via via dal forno per rotolarlo nelle foglie secche, nella segatura o tuffarlo nell’olio e ottenere piacevolissime i
nattese fiammate di colore.
Battista Saiu
RICORDANDO FABRIZIO DE ANDRE’ FRA KHORAKHANE’ E GENT’ARRUBIA
CONCERTO "AMISTADE"
L’anima sarda di De Andrè è emersa con tutta la sua forza sulle note del concerto Amistade, al teatro Cagnoni di Vigevano (Pavia). Sul palco, Erika Santoru e i Khorakhanè, circondati dal gruppo Gent’Arrubia, che hanno interpretato in modo personalissimo i brani più conosciuti del Faber. Il ricavato della manifestazione, organizzata dalla sezione femminile del Lions club Vigevano Sforzesco, è stato devoluto in beneficenza. Canzoni senza tempo come Volta la carta, Coda di lupo, Andrea, Il pescatore si sono unite alla fantasia dei ballerini di Gent’Arrubia che le hanno trasformate in base per un accenno di balli sardi. E così, vestendo gli abiti tradizionali di Oristano, Silì, Paulilatino, Chiaramonti, Cabras, Maracalagonis, hanno danzato Su dillu, passu torrau e scottis in coreografie che, come hanno spiegato Angelo Bianchini e Roberto Carrus, responsabili del gruppo (con sede ad Abbiategrasso, Milano), «cercano di interpretare il testo, ad esempio indossando la maschera di su componidori o utilizzando i nastri colorati che appartengono alla tradizione sarda da secoli». Divulgare la cultura dell’Isola e trasformarla in materia di studio è il loro obiettivo: «Il nostro lavoro scivola nella contaminazione: si tratta di un adattamento di passi alla musica e lavorare in un contesto così bello è stato molto facile». Uno spettacolo creato qualche anno fa che ora ha trovato un’occasione di esporsi attraverso la collaborazione con i Khorakhanè (il nome, in serbo croato antico, significa "lettore osservante del Corano"), gruppo piemontese guidato da Gualtiero Alladio, con una cantante di origine sassarese, Erika Santoru: «Mi sento sarda, anzi sardissima. Con un padre di Thiesi non posso non amare quella terra magnifica e il mio entusiasmo è anche nelle canzoni che canto». Con la sua voce potente ed emozionante che non prova a imitare il cantautore genovese ma raccoglie la sua grande eredità artistica si è esibita in oltre venti brani e ha omaggiato la città di Vigevano con una dedica su Non potho reposare, che solitamente non viene eseguita in questi concerti. E il pubblico, che ha riempito platea, loggione e palchi facendo registrare il tutto esaurito al teatro, ha dato un contributo alla beneficenza, come ha spiegato Daniela Tira, presidente del Lions: «I fondi raccolti in questa serata sono destinati all’acquisto di un mezzo per le mamme e i bambini ospiti della Casa famiglia delle suore pianzoline. Per noi è stato anche un modo per mettere in luce la grande opera di De Andrè e ricreare le situazioni che ha vissuto nella sua amata Sardegna».
Sabrina Schiesaro (Unione Sarda.it)
UNO SCRITTO DALL’OKLAHOMA NEGLI STATI UNITI
SARDEGNA, QUESTA SCONOSCIUTA!
Chiudete gli occhi per alcuni secondi e pensate all’America. A quella stessa America distante un oceano e che ci saluta, ci ha sempre salutato, attraverso la storia e l’attualità, solleticando spesso la nostra immaginazione. Fatto? Bene. Ora pensate a città come New York, Las Vegas et simili. L’associazione di idee sembra sortire il suo effetto, dato che nel 99% dei casi il pensiero che riguarda l’America (in questo caso, gli Stati Uniti) comprende città di quel calibro, spesso facendo scomparire tutto il resto. È probabile che la colpa di questa distorsione della realtà sia del caro vecchio tubo catodico che ha cambiato vestito, digitalizzandosi, ma non sostanza. E la sostanza che non cambia (in questo caso attraverso le immagini), porta inevitabilmente a una distorsione di quella che è, appunto, la realtà palpabile. In altre parole: c’è molto di più dietro l’angolo, se solo si avesse voglia di guardare. Le miglia che separano la Sardegna dallo stato dell’Oklahoma sono 7643. Le ore di differenza con l’Italia sono circa 7. Ed è già appena arrivati, superati l’area metropolitana e l’aeroporto di Tulsa, seconda città più grande dello stato dopo la capitale Oklahoma City, che ci si accorge di essere in un mondo diverso. Questo posto somiglia alla campagna americana degli anni ’50. Dove il capanno degli attrezzi, i cortili poco curati e vecchie Chevrolet in disuso stanno vicino alle case di legno con le porte esterne schermate da zanzariere, attraverso le quali si può vedere spesso, in lontananza, l’alto deposito dell’acqua con le pale da mulino. L’odore di antico, di rurale, di "Old America" è dappertutto. In uno dei tanti piccoli locali, la mattina comincia con una tipica colazione americana che, seguendo la tradizione anglosassone, si presenta generalmente con uova, bacon, pancakes, sciroppi vari tra i quali l’immancabile e molto popolare sciroppo d’acero. Una volta dentro, mentre aspettiamo che ci venga assegnato un tavolo, la cameriera sorridente ci chiede come va e discorre con noi sulle bizzarrie del tempo (sta difatti nevicando mentre scrivo!), intanto che prende le ordinazioni. Rimango colpito, in senso buono, dalla gentilezza e dalla loquacità delle persone. Mi pare addirittura una cosa piuttosto eccezionale, alla quale quasi non sono abituato. Qua, invece, tutto questo sembra la norma. Non c’è locale, negozio, ufficio nel quale non si venga accolti calorosamente come se ci si conoscesse da anni. Il mio essere italiano dà adito a un po’ d’invidia, a esclamazioni e sguardi quasi estasiati, come se venissi da un affascinante pianeta lontano. Un pianeta che si può visitare solo con l’immaginazione, attraverso i romantici canali di Venezia, l’emozione di fronte alla bellezza del Giudizio Universale di Michelangelo e il rispetto verso un genio qual era Leonardo da Vinci. Il loro sogno però svanisce in un nanosecondo quando, scuotendoli e riportandoli indietro dal loro viaggio immaginario, dico di essere della Sardegna. Si…, insomma, sa… l’isola al centro del Mar Mediterraneo, la seconda isola più grande che appartiene all’Italia, sotto la Corsica… mi arrendo. Solo un medico libanese che ha visitato l’arcipelago della Maddalena sa di cosa parlo. Se solo sapessero cosa si perdono! Mi dicono che l’Oklahoma, da sempre stato democratico, è probabilmente uno dei pochi stati tra i quali la crisi economica non viene realmente percepita. E la
gente, infatti, sembra vivere senza quelle paure che respiriamo nell’aria in Italia. Forse è una questione d’incoscienza e ingenuità, o forse è una questione di ottimismo e cieca fiducia verso un Presidente (anche se del partito opposto) e una nazione che ha sempre saputo rialzarsi dopo le cadute. Da buono stile anglosassone, la burocrazia funziona che è una meraviglia. Anche troppo, visti i controlli e la quantità di domande che mi sono state rivolte dai cordialissimi e chiacchieroni agenti della frontiera all’aeroporto di Minneapolis, in Minnesota, al mio primo scalo. Almeno però non ci si può lamentare di ritardi o di sgarbatezze, perché qui, a differenza del nostro paese, si viene licenziati con estrema semplicità. E chi il posto lo ha, cerca gelosamente di conservarlo. L’unico difetto è che spesso i servizi clienti o informazioni via telefono sono gestiti da stranieri (sudamericani, indiani, vietnamiti e cinesi, per la maggior parte) ed è difficile comunicare con loro a causa della loro scarsa padronanza della lingua. Le persone sono molto indipendenti, più distaccate. La famiglia non ha lo stesso valore sacro che ha da noi, così come non ha lo stesso valore lo stare insieme per pranzo o per cena, tutti insieme intorno a un tavolo anche solo per chiacchierare sul come sia andata la giornata. Qualcuno potrebbe giudicarli come superficiali. Personalmente non potrei dire se questo è meglio o peggio, dato che è impossibile fare paragoni con la nostra cultura. È semplicemente e totalmente diverso. Una nota curiosa è quella dei cartelli al neon al di fuori delle chiesette delle varie confessioni e che riguardano i temi della settimana. Quasi come un avvertimento divino, uno dice: "Salvation is free, but it is not cheap!", la salvezza è gratis, ma non la si ottiene con poco! Infine, il tempo meteorologico. Un detto locale: "Se non ti piace il tempo in Oklahoma, aspetta cinque minuti". Niente di più vero. Alcuni giorni fa faceva davvero caldo. Un caldo umido insopportabile. Ho chiesto se faceva sempre così caldo da queste parti. Mi han risposto dicendomi che qua il tempo può cambiare d’improvviso. Vero. La sera stessa ha cominciato a soffiare un vento fortissimo (Kansas e Oklahoma sono infatti gli stati con la più alta probabilità di tornado!), la pioggia ha seguito il vento. La temperatura è scesa in poche ore e ha cominciato a nevicare per due giorni consecutivi. In uno dei tanti centri commerciali ho letto un cartello "Tornado: when you hear the siren proceed to the bathroom", Tornado: quando sentite la sirena avviatevi verso il bagno. Non ho ancora avuto il coraggio di chiedere se fosse uno scherzo.
Gianfranco Cappai
LA "COLONNA SARDA" DELLA PROTEZIONE CIVILE E’ ARRIVATA IN ABRUZZO
AIUTO ISOLANO ALLE POPOLAZIONI COLPITE DAL SISMA
La colonna mobile della Regione dal porto di Cagliari è sbarcata a Civitavecchia: da qui il contingente sardo ha raggiunto via terra l’Abruzzo. Non solo uomini e mezzi nella nave della Tirrenia che li ha portati a destinazione, ma anche celle frigo cariche dei prodotti regionali messi a disposizione dalla Federazione regionale della Coldiretti della Sardegna. La missione assegnata, dal Dipartimento della Protezione Civile, alla Sardegna è quella di gestire i campi già allestiti ad Acciano e a Camarda, quest’ultimo ospita 500 abitanti. L’assessore regionale della Difesa dell’ambiente Emilio Simeone spiega:" Eravamo pronti da giorni e i nostri uomini della Protezione Civile, nonché i volontari del contingente, si sono liberati da qualunque impegno per tenersi pronti per la partenza. Finalmente è arrivata la chiamata da Roma e possiamo portare il nostro aiuto alle popolazioni colpite dal terremoto". La colonna regionale è dotata di due cucine da campo in grado di preparare 300 pasti all’ora, sono 4 i capannoni da adibire come locali mensa per un totale di 640 posti a sedere, due celle frigo consentiranno la conservazione delle derrate alimentari. La prima partenza è stata strutturata in funzione della missione assegnata ed è composta da 80 persone di cui 7 tra funzionari del Servizio Regionale di Protezione Civile e delle Province di Cagliari, Carbonia Iglesias e Medio Campidano, per l’unità di coordinamento , oltre 73 i volontari delle associazioni di protezione civile provenienti da queste tre province. La durata dell’intervento della colonna mobile non è stata predeterminata e probabilmente si protrarrà per più settimane, pertanto verrà previsto un avvicendamento consentendo alle restanti Province dell’isola e alle associazioni presenti nei relativi territori, di contribuire alle operazioni di assistenza alla popolazione colpita dal violento sisma. Insieme alle cucine partiranno i moduli logistici che consentono l’autonoma sistemazione del personale componente la colonna, ed in particolare 7 tende pneumatiche, 4 tende classiche, 2 autobotti per il trasporto di acqua potabile, 2 moduli servizi igienici, un ufficio di coordinamento mobile, 4 torri faro con gruppi elettrogeni. "Siamo attrezzati di tutto quel che serve per dare ristoro alle persone costrette a vivere nei campi -ha concluso Simeone-. Sono sicuro che i nostri ragazzi faranno del loro meglio".
LO DICE L’ASSESSORE AL TURISMO, SEBASTIANO SANNITU
TASSA DI SOGGIORNO, ADDIO
Campane a morto per la tassa di soggiorno dopo un solo anno di applicazione. A suonarle è la nuova giunta regionale, guidata da Ugo Cappellacci: nella Finanziaria non c’è spazio per l’imposta che, nel 2008, aveva incontrato il consenso di Villasimius e Sorso. «L’imposta di soggiorno è uno strumento che non ha funzionato se solo 2 Comuni su 377 l’hanno applicata», dice subito Sebastiano Sannitu, assessore al Turismo. «I risultati poi, dal punto di vista delle entrate, non sono così importanti, altrimenti gli amministratori si sarebbero convinti dell’utilità. Da sindaco», aggiunge Sannitu, primo cittadino di Berchidda, «non ho sposato l’imposta perché non la condividevo». La Finanziaria 2007 (articolo 5) dava ai Comuni la facoltà di applicare l’imposta di soggiorno tra il 15 giugno e il 15 settembre. A riscuoterla sono gli esercenti: 1 euro al giorno per le strutture sino a 3 stelle, 2 euro da 4 stelle in su. La tassa non si applica ai sardi e ai minorenni. L’obiettivo dell’imposta è quello di garantire un gettito da destinare a interventi «nel settore del turismo sostenibile, con particolare riguardo al miglioramento dei servizi rivolti ai turisti e alla fruizione della risorsa ambientale».
L’Anci Sardegna e il Consiglio delle autonomie locali chiedono però che la Finanziaria 2009 non elimini l’intervento. In audizione in commissione Bilancio con l’assessore alla Programmazione Giorgio La Spisa, il presidente regionale dell’Associazione nazionale dei Comuni Salvatore Cherchi ha auspicato che la tassa rimanga, lasciando ai sindaci e ai consigli comunali la discrezionalità di applicarla. Il sindaco di Villasimius, Salvatore Sanna, è perplesso. «Noi abbiamo già approvato il bilancio a gennaio, indicando nelle entrate 500 mila euro, tanto quanto garantito nel 2008 dal gettito dell’imposta. Che facciamo? E poi, i turisti non sono mica scappati: l’anno scorso», dice Sanna, «abbiamo avuto negli arrivi un +14,1%. Come copriremo una serie di servizi per i quali la Regione non eroga più nulla? Capisco il taglio della tassa sul lusso, non mi interessa, ma l’imposta di soggiorno è strumento utile. Confturismo Federalberghi delle province di Sassari e Gallura è sul fronte del no. «Il balzello», premette il presidente Giorgio Maccioccu, «avrebbe effetti assolutamente negativi sul comparto turistico sardo, già penalizzato dagli elevati costi di trasporto sostenuti da chi viene in vacanza nell’Isola. C’è poi la concorrenza sempre più agguerrita dei paesi rivieraschi del Mediterraneo, Spagna, Grecia, Croazia, Nord Africa, dove l’offerta si muove su riferimenti tariffari del tipo low cost, che noi non siamo in grado di proporre per tutta una serie di ragioni, a cominciare dagli oneri sociali che incidono nella gestione delle aziende turistico-ricettive». Ma la posizione dell’esecutivo è chiara e non sembra lasciare spiragli. «In questo periodo di crisi generale», dice l’assessore Sannitu, «questo tipo di scelte rischia di penalizzare il turismo, comparto che invece deve puntare a essere trainante. In generale non condividiamo tutto ciò che può essere percepito come negativo. Non condividiamo la politica vincolistica ma preferiamo lanciare messaggi positivi e di apertura. Abbiamo bisogno di fare della Sardegna l’Isola dell’ospitalità, una regione amica, i turisti devono sentirsi a casa loro. Quindi», conclude Sannitu, «niente tasse ma elementi che possano agevolare i flussi soprattutto nell’ottica di ingresso in nuovi mercati». Emanuele Dessì
NUOVO MERCATO DEL TURISMO PER LA REGIONE SARDEGNA
L’ISOLA A DUBAI NEGLI EMIRATI ARABI
La Sardegna sarà presente alla "Arabian travel market", una delle più importanti manifestazioni turistiche del Medio Oriente. La fiera si svolgerà a Dubai, negli Emirati Arabi, dal 5 all’ 8 maggio. L’Assessorato regionale del Turismo, artigianato e commercio parteciperà con un proprio spazio espositivo di 50 mq all’interno degli spazi opzionati dall’Enit, l’evento sarà però aperto anche agli imprenditori del settore della ricezione che operano in Sardegna. La tre giorni araba è infatti un’occasione per favorire l’incontro di domanda e offerta, considerando che negli ultimi anni c’è stato un incremento costante di turisti provenienti dai paesi che si affacciano sul Golfo Persico.
PAOLO PILLONCA RACCONTA IN UN LIBRO LA LEGGENDA DI SAMUELE STOCHINO
LE DUE VITE DELLA TIGRE DI ARZANA
Samuele Stochino era sottufficiale decorato con medaglia d’argento, umano e mite. Il bandito Stochino, ma un’altra coscienza, non sua, venuta dal di fuori, dentro di lui, dalle lontane tenebre di un mondo bestiale ed estranea alla sua infanzia e alla sua giovinezza. Sono le parole con cui, in una famosa seduta del Senato della Repubblica tutta dedicata al problema del banditismo in Sardegna, Emilio Lussu cercava di spiegare come si diventasse banditi: nel caso specifico, il "capitano" Lussu non chiamava direttamente in causa l’ambiente pastorale e la pedagogia del codice barbaricino quanto una sorta di misteriosa, irresistibile degenerazione, avvenuta improvvisamente dentro un uomo che in guerra era stato valoroso. Uno di quei "caporali di guerra" che Lussu aveva sognato di far diventare operosi "caporali di pace". Samuele Stochino (con una sola c nei documenti ufficiali, anche se il suo cognome viene scritto con due nelle tante biografie) era stato, nel decennio iniziale del periodo fascista in Sardegna, certo il bandito più tristemente famoso e insieme il più feroce. Non per nulla lo avevano subito battezzato "sa tigre de Arzana". Ad Arzana era nato nel 1895. Un particolare curioso. Doveva avere per padrino e madrina di battesimo il medico condotto dottor Dessì e sua moglie, futuri genitori del futuro grande pittore Stanis. Poi un qualche contrattempo aveva costretto a sostituirli al fonte battesimale. Il particolare fa parte, insieme con tante altre notizie sicuramente inedite o poco conosciute, della "Vita di Samuele Stochino" che Paolo Pillonca ha scritto. Pillonca è giornalista e scrittore molto conosciuto. E’ conosciuto soprattutto come studioso della cultura popolare isolana, e in particolare di quella forma specifica che è la produzione dei "poeti da palco". Pillonca ha registrato su nastro, fin da quando era ancora al liceo, centinaia di gare poetiche, che grazie a lui sono entrate a far parte di quell’autentico patrimonio dell’umanità che è l’intera "civiltà del popolo sardo" come scriverebbe Giovanni Lilliu. Di Stochino Pillonca ha indagato in particolare l’ambiente pastorale in cui è vissuto, i motivi che lo spinsero a scegliere una vita di delitti e di pericoli, la morte che resta avvolta ancora nel mistero nonostante i molti accenni contenuti in tante opere e le stesse biografie di più vasto respiro che gli hanno dedicato scrittori sardi di nome come Marcello Fois, Franco Fresi e Lina Aresu. "Bandito leggendario" lo chiama la Aresu nel sottotitolo del suo libro. Pillonca ha indagato anche su questa linea: il formarsi di una tradizione popolare di "simpatia", se così si può dire, nei confronti di Stochino, sentito spesso come un difensore delle ragioni dei sardi meno fortunati e più oppressi piuttosto che come il tragico vendicatore solitario di torti che aveva ricevuto (o creduto di aver subito). Pillonca richiama una per una le notizie di quelli che, nel titolo di un capitolo finale, chiama "biografi e romanzieri mezzo spartani mezzo sibaritici", portando ogni volta non soltanto il contributo dei documenti ma anche, spesso, la testimonianza orale o di suoi amici sopravvissuti agli anni o, soprattutto, di suoi discendenti diretti. Di tutti gli eventi della vita di Samuele, paradossale resta la vicenda della sua morte. Siamo nel febbraio 1928. Mussolini riceve autorità politiche e civili della Sardegna. L’isola è preoccupata per il dilagare del banditismo e ancora sotto choc per l’uc
cisione della bambina Assunta Nieddu, colpevole di essere la figlia di un nemico di Stochino. Questo delitto gli alienerà la solidarietà della stessa sua gente e preparerà la sua morte. Mussolini fa a gerarchi una promessa solenne: il fascismo estirperà il banditismo. Pochi giorni dopo la notizia: Samuele Stochino alla macchia dal 1920, è stato ucciso in un conflitto a fuoco con i carabinieri. In realtà, nel momento in cui pronunciava il suo "contratto con i sardi" Mussolini sapeva già che Stochino era stato ucciso, e con ogni probabilità neppure in conflitto. Lo stesso Giovanni Ricci, che è capitano dei carabinieri ma anche autore di una vera e propria "enciclopedia" sulla storia della delinquenza isolana scrive: I militari, secondo una versione ufficiale, sono stati guidati al suo covo da una spia. C’è chi sostiene che il fuorilegge sia stato prima ucciso a tradimento da un suo amico e poi consegnato ai carabinieri. Ma la tradizione orale non ha simpatia per i documenti: la storia preferisce inventarla. E così "sa tigre de Arzana" ha ancora fra i sardi molti appassionati cultori della sua memoria.
Manlio Brigaglia
GIUSEPPE DESSI’, UN AUTORE DA SCOPRIRE
LE CELEBRAZIONI DEL CENTENARIO
Nato a Cagliari nel 1909, trascorse la sua adolescenza nel suo paese adottivo: Villacidro. Suo padre era ufficiale di carriera. Delle continue assenze del padre soffrì molto, tanto da avere problemi a scuola: fu bocciato agli esami di licenza ginnasiale. Si ritirò dalle scuole regolari, ma scoprì dietro un muro della casa del nonno la biblioteca lasciata da un prozio giacobino (che i parenti avevano prudentemente murato alla sua morte). La convinzione tratta dalle letture che l’uomo fosse privo di libero arbitrio lo portò più volte sull’orlo del suicidio. Il ritorno del padre al paese natale e l’affetto del genitore gli riconsegnarono un po’ di equilibrio. Fu inviato a studiare al Liceo Dettori di Cagliari. Motivo di disagio ebbe a causa dell’età avanzata (vent’anni) rispetto ai compagni di classe (sedicenni). Conobbe però Delio Cantimori, che insegnava storia e filosofia, che lo sostenne e lo incoraggiò a continuare gli studi all’Università di Pisa. Qui conobbe il mondo intellettuale prestigioso dell’epoca. Dopo la laurea, frequentò il gruppo raccolto attorno alla rivista "Letteratura". Intraprese la carriera di insegnante, fu in varie città italiane. Divenne poi ispettore del Ministero della Pubblica Istruzione. Morì a Roma il 6 luglio 1977. Esordì come scrittore nel 1939 con La sposa in città, raccolta di racconti. Tra essi, "La città rotonda" scritto nel 1930. Protagonisti dei suoi racconti come di tutta la narrativa di Dessì è la Sardegna. Il suo primo romanzo pubblicato fu "San Silvano" (1939), storia di Elisa che consuma la sua vita in un matrimonio sbagliato; i suoi due fratelli la chiamano in continente pensando di poterle offrire l’occasione di poter perpetuare qualcosa che però è finita: la giovinezza. "Michele Boschino" (1942), secondo romanzo di Dessì, è la storia di un contadino solitario e chiuso che trascorre la propria vita completamente assorbito tra lavoro e contemplazione della natura. Nascite, morti, amori, accadono secondo un susseguirsi "naturale", non legato al tempo né alla storia. Il destino dell’uomo è immutabile così come l’isola. Ancora una raccolta di racconti è "Racconti vecchi e nuovi" (1945), alcuni dei quali restano mirabili, tra le cose migliori da lui scritti. "L’isola dell’angelo" (1949) è il ritorno a casa di un reduce che pensa di ritrovare nell’isola il tempo fermato della fidanzata, del paese, una speranza di futuro che lo attende senza cambiare. "La frana" (1950) storia della rovina di una famiglia, l’inevitabile precipitare nella morte di ogni cammino umano. Con "I passeri" (1953) Dessì fa entrare il mondo violento della storia nel mondo antico e immutabile della Sardegna. I luoghi dell’infanzia mitica si aprono alla realtà, ai fatti ‘di fuori’, che prima comparivano solo come eco rimbalzata dal remoto ‘continente’. Seguirono due volumi di racconti, "La ballerina di carta" (1957), e "Racconti drammatici" (1959). Del 1961 è "Il disertore", tra le cose migliori scritte da Dessì e tra i migliori racconti della produzione italiana di quegli anni. Ambientato durante la prima guerra mondiale, la storia del soldato Saverio che spara al suo capitano, esasperato dalla sua altezzosa brutalità. Saverio diserta. La madre, Mariangela Eca, che ha già perso un figlio al fronte, è costretta ad assistere impotente alle terribili sofferenze di Saverio che muore di sfinimento nell’ovile in cui si è rifugiato. Don Pietro Coi, che sa tutto, si dibatte tra lo scrupolo di aver aiutato un criminale e l’esigenza di perseguire una giustizia più giusta di quella delle leggi. Mariangela offre i suoi risparmi per la costruzione di un monumento ai caduti: solo lei e don Pietro sanno quanto di quel monumento sia dedicato a Saverio. Dessì ha prodotto anche opere teatrali, sviluppate dai suoi racconti. Il suo primo dramma, "La giustizia" fu diffuso dalla BBC inglese e poi dalla RAI, prima di essere incluso nei "Racconti drammatici" insieme a !Qui non c’è guerra" (riduzione teatrale de "I passeri"). Il secondo canale della RAI, il giorno della sua inaugurazione (4 novembre 1961), mise in onda l’atto unico "La trincea": quest’opera rievoca un episodio della prima guerra mondiale di cui fu protagonista il padre dello scrittore. Versione drammatica del racconto "La frana" è "L’uomo al punto" (1960). "Eleonora d’Arborea" (1964) è dedicato alla giudichessa sarda che nel Trecento animò la resistenza dell’isola contro gli Aragonesi. Nel 1972, Dessì pubblicò "Paese d’ombre", che ebbe in quell’anno il premio Strega.
LE ATTENZIONI DEL PORTALE "AD MAIORA MEDIA"
SPAZIO ALLE NEWS DEI "SARDI NEL MONDO"
All’interno del Portale di informazione regionale span>www.admaioramedia.it – grazie alla collaborazione di Massimiliano Perlato di www.tottusinpari.blog.tiscali.it – è stata creata la rubrica "Sardi nel Mondo", studiata per accogliere le notizie sull’attività dei Circoli e dei Sardi sparsi nel Mondo. La Comunità Sarda nel Mondo è particolarmente numerosa ed è caratterizzata da un forte attaccamento alla terra d’origine, alle tradizioni, alla lingua madre. I nostri concittadini, pur vivendo lontani, e forse proprio per questa ragione, manifestano una forte attenzione per tutto ciò che accade in Sardegna. Un interesse che può trovare soddisfazione soprattutto grazie ad internet, che annulla le distanze e consente di comunicare tra Continenti diversi. Perciò, ho deciso di realizzare – nel Portale che dirigo da alcuni anni e che conta migliaia di accessi al mese – una finestra su quella che si può considerare la "Sardegna fuori della Sardegna", una realtà fatta di Corregionali e di Associazioni che non hanno mai dimenticato le loro origini. Ci interessa raccontare le loro storie, le loro esperienze, il loro punto di vista, raccogliere suggerimenti e spunti su qualsiasi tema che riguardi la nostra Isola.
Fabio Meloni
GRANDE FESTA TRA STORIA E SPETTACOLO PER LA CITTA’ DI SASSARI
LE ORIGINI DELLA CAVALCATA SARDA
Elastica e adattabile: sono due le caratteristiche più evidenti della Cavalcata Sarda. A seconda delle disponibilità o delle scelte organizzative si trasforma continuamente. La sfilata si allunga o si accorcia ed è in grado di adattarsi alle vie della città. Partendo dall’incontrovertibile dato storico, si deve arretrare fino all’ultimo calendario di due secoli fa: era infatti l’anno 1899, quando i sassaresi decidono di salutare i sovrani d’Italia presentandogli il meglio dei meravigliosi costumi della Sardegna, con una sfilata che si svolgeva nella piazza dove si inaugurava il maestoso monumento al primo re d’Italia, di fronte al Palazzo del Governo. Quella prima edizione della manifestazione folcloristica sassarese, con la presenza di re Umberto I e la sua nobile consorte Margherita, che solo più tardi si sarebbe chiamata Cavalcata Sarda, vide sfilare la rutilante tavolozza dei colori tradizionali provenienti da ogni angolo della Sardegna. Ogni gruppo, o quasi, era accompagnato dalle traccas tirate dai buoi, dalle quali si offrivano i prodotti tipici dell’isola, in quella stagione. E fu allora che si accreditò l’eleganza, la compostezza e l’abilità dei cavalieri sardi che conducevano i cavalli al galoppo con la dama in groppa. Margherita di Savoia, in quella prima edizione storica, indossò un costume di Sennori. Nel 1929 fu la volta di un’altra coppia reale, in visita nell’isola, a presenziare alla festa: il re Vittorio Emanuele III e la moglie Margherita furono gli ospiti d’onore. Occorrerà attendere altri dieci anni perché i sassaresi riproponessero una manifestazione folcloristica che raccogliessero la gran parte dei costumi dei paesi dell’isola. Ancora una volta (era il 1939) per l’arrivo in Sardegna di un Savoia: fu la visita di Umberto II, allora principe di Piemonte, con la moglie Maria Josè, a convincere gli amministratori a riproporre la sfilata dei costumi sardi in omaggio alla famiglia reale. Questa volta, la principessa si presentò sul palco con il costume offerto in dono dal comune di Osilo. Sarà necessario far passare i tristi anni della guerra perché ci si ricordi della manifestazione folcloristica che richiami a Sassari il meglio della tradizione dei costumi sardi. Siamo nel 1951: nasce nella primavera di quell’anno la prima edizione della moderna sfilata dei costumi sardi con il nome di Cavalcata Sarda. L’occasione è data dal 15° congresso nazionale del Rotary Club Italiano, che portò a Sassari migliaia di congressisti sbarcati da un transatlantico ormeggiato nella baia di Porte Conte. Da questo momento, la Cavalcata Sarda si trasforma in questo strumento di promozione turistica, capace di esprimere tutte le potenzialità presenti nell’isola: una vera festa del folclore isolano. E’ da questa seconda data di nascita, si srotola la vita della Cavalcata Sarda, la cui storia non è altro che un rosario di aneddoti, che ne distinguono le varie edizioni.
Massimiliano Perlato
DISINFORMAZIONE TELEVISIVA?
CAPI.. RAI!
Ammonizione con diffida a Santoro, una giornata di squalifica a Vauro: la solita montagna ha partorito il solito topolino. Parlo di "Annozero". Trovo abbastanza risibile la considerazione che si è fatta sul servizio pubblico e il servizio privato. Perché, scusate: a qualcuno sembra che quella di Santoro sia l’unica trasmissione sbilanciata, o faziosa, o schierata del "servizio pubblico"? Ma non avete mai visto il talk-show di chiara ispirazione leghista condotto da Paragone (vicedirettore di Libero ed ex-direttore della Padania) su Raidue? E sarà mica un ambiente anodino quello di Ballarò, per caso? E sarà mica casuale la scelta degli ospiti che ognuna delle tre reti Rai (Raitre su tutti) fa per le sue trasmissioni giornalistiche? E le recenti trasmissioni (vado a memoria) di Socci o di Moncalvo erano imparziali? Fu imparziale da parte di Enzo Biagi, che era pur sempre il migliore di tutti, intervistare Benigni due giorni prima delle elezioni? Insomma: mi verrete mica a dire che la Rai, servizio pubblico con i nostri cento euro di canone, vi dà un servizio imparziale? La Rai è il regno della parzialità. I direttori di rete e i direttori dei Tg (e questo, voglio dire, in linea teorica mi sembrerebbe già abbastanza grave, se non fosse sempre accaduto così) li scelgono direttamente o indirettamente i partiti, mica noi che paghiamo il canone. Stare qui, nel 2009, a far finta che la Rai dovrebbe darci un servizio "migliore" (si noti l’uso delle virgolette) rispetto a Mediaset mi sembra davvero un’assurdità. In Rai tutto è pilotato dai partiti, comprese le assunzioni dei giornalisti. E da tutto questo accrocchio – fatta salva la
professionalità, la deontologia e l’onestà intellettuale dei singoli – dovrebbe uscirne un servizio giornalistico perfetto, neutrale, bilanciato? Ammesso, poi, che questa condizione sia la migliore. Io per esempio ritengo che non lo sia necessariamente. Preferisco – e lo ribadisco – che ci siano i Santoro e i Paragone, i Floris e i Giletti (rumore di tuoni). Mi estorcono la tassa, e va bene. Ma ho pur sempre il telecomando, e ho pur sempre una coscienza critica e una mia idea di fondo, e so scegliere, e decido come informarmi con o senza tv. La cosa triste – e con ciò chiudo la vicenda – è che siamo qui a parlare semplicemente di un regolamento di conti. Santoro odia Berlusconi, Berlusconi odia Santoro. Io direi di prendere il lato più divertente della cosa, e risparmiarci il sangue amaro. Se l’imparzialità della Rai fosse il nostro primo problema, ci dovremmo suicidare tutti insieme come una qualunque setta giapponese.
Massimiliano Perlato