di Gianfranco Pintore
Come ormai succede solo in Afghanistan, ci vorranno ancora quindici giorni per conoscere i risultati definitivi ed ufficiali delle elezioni sarde. Con questo di differente: che in Afghanistan c’è guerra e da moltissimi villaggi sperduti le notizie viaggiano a dorso di mulo e non con i bit dei computer. Chiaro nulla cambierà per i canditati alla Presidenza (Cappellacci ha vinto, Soru, Sale, Balia e Sollai hanno perso), poco cambierà nell’attribuzione delle loro percentuali, qualcosa cambierà nel numero dei voti per i partiti e per le loro coalizioni. Ma ancora, mancando il risultato definitivo, non potremo sapere chi andrà nel Parlamento sardo. A chi andranno i tre seggi del Partito sardo, i due di Rifondazione, i due del Movimento per le autonomie, il seggio dei Rossomori e così via dicendo. Questo è il prodotto della pessima legge elettorale voluta nel 1999 dal primo governo D’Alema, subita dal centro-destra nella penultima legislatura e dal centro-sinistra nella legislatura appena finita. Né l’uno schieramento né l’altro hanno voluto o saputo esercitare la potestà che la Regione aveva ed ha di fare una legge elettorale diversa da quella voluta dal governo D’Alema. Tutti, o quasi, considerandola pessima, tutti, o quasi, pensando: "Se però vinciamo noi, anche la pessima legge ci torna comoda". E che sia pessima, a parte l’aver precipitato la Sardegna in Afghanistan, lo dimostra il risultato dell’Irs, straordinario sul piano dell’immagine, inutile al fine dell’attribuzione di seggi. Il 3,1 per cento varrebbe due o tre seggi e una presenza non banale nel Parlamento sardo. E, invece, quelli dell’Irs non ci saranno. Ed è un peccato.