Essendosi verificati terribili terremoti e inondazioni, nel corso di un giorno e di una terribile notte, tutti i vostri guerrieri sprofondarono insieme dentro la terra e allo stesso modo fu sommersa e scomparve l’isola di Atlantide. Per questo ancora oggi quel mare è diventato impercorribilie e inesplorabile, essendo d’impedimento i bassifondi fangosi che produsse l’isola, sprofondando. Platone
Così scompare una civiltà e dal profondo di un torbido mare nasce il più grande mito di tutti i tempi: la civiltà di Atlantide. La letteratura e la cinematografia su questa leggenda si sprecano, altrettanto numerose sono le ricerche scientifiche, ultima delle quali quella di Robert Sarmast, americano, che l’avrebbe individuata nelle profondità marine tra Cipro ed il Libano. Gli oceanografici che scandagliano da anni la zona sono in disaccordo con le tesi proposte da Sarmast, il quale, ritengono, è stato tratto in inganno da alcune singolarità dei fondali di quella zona. Il mito di Atlantide scompare nuovamente negli abissi profondi. Prima dell’esploratore americano, senza il supporto di sofisticati ecoscandagli e navi oceanografiche, sulle pagine di Repubblica venivano pubblicati stralci del libro del giornalista Sergio Frau, una serie di articoli che erano destinati a far discutere, riflettere, sognare. Cosa sarebbe successo se… La storia di Atlantide raccontata dall’inviato di Repubblica. Come ben noto a chi ha letto il libro "Le colonne d’Ercole – Un’inchiesta" e si è documentato sull’evolversi di tale ricerca, a Sergio Frau, il dubbio che qualcosa potesse essere scappato agli investigatori del tempo, impegnati a cercare Atlantide in luoghi come Creta, Canarie, Penisola Scandinava, nacque dalla vista di una cartina che schematizzava il livello delle acque del Mediterraneo dall’ultima glaciazione fino, all’incirca, ai giorni nostri. Ma è possibile che si siano commessi dei grandi rimaneggiamenti nell’antica geografia, tanto da ingarbugliare le testimonianze più antiche? Frau si è posto lo stesso dubbio, al quale si è dato una risposta svelando un altro grande bluff: quello della terra piatta. Siamo soliti considerare che tale credenza sia nata con l’uomo e cancellata da Cristoforo Colombo, scopritore delle Americhe. Superato il dubbio iniziale in merito agli artifizi storici, si può riproporre il quesito fondamentale di tutta l’opera: "Chi e perché ha spostato le Colonne di Sicilia nello Stretto di Gibiliterra?" Così, in una fatica letteraria lunga ben 678 pagine, l’inchiesta di Frau cerca di dimostrare come la cultura mondiale sia stata ingannata da una mossa di geo-politica, incolpando per tale macchinazione Eratostene che parlando di Atlantide affermava: davanti a quella bocca che viene chiamata, come dite voi, Colonne d’Eracle (Ercole), c’era un’isola… Quell’isola era Atlantide, che per ricchezza, tecnologia, organizzazione sociale e militare, superava qualsiasi altra nazione di quei tempi. La nuova visione del Mediterraneo e le vecchie testimonianze sulla fantastica civiltà, presentavano una novella candidata al titolo di "isola dei beati": la Sardegna. La descrizione di Platone è grandiosa: le descrizioni di una terra attraversata dalla più bella e fertile di tutte le pianure (il Campidano), in cui i raccolti sono abbondanti e le greggi figliano più volte nel corso dell’anno, dove si poteva trovare ogni genere di metalli o materiale da costruzione. Le descrizioni successive continuano a calzare come un guanto, parlando di commerci, di una natura raggiante, dei giochi, delle gare, delle acque termali e degli splendidi palazzi in cui vivevano i "vecchi più vecchi". Ancora oggi, la Sardegna si contende il titolo della longevità con il lontano Giappone. La fame dei sardi ultracentenari è ben nota, tanto da farli entrare nel Guinness dei primati mentre, ritornando alla descrizione di Platone, sono semisconosciuti i suoi palazzi reali. Immaginare che un nuraghe potesse essere stato un castello è difficile, ma se si ha la pazienza di recarsi presso la Reggia Nuragica di "Su Nuraxi" a Barumini, c’è raffigurata una fortezza del tutto simile alle più moderne roccaforti medioevali, ovvero "Su Nuraxi" più di 3mila anni fa, epoca in cui solo le piramidi e pochi altri monumenti, potevano competere con la grandiosità dei nuraghi. I grandi complessi nuragici si possono contare sulla punta delle dita, ma seguendo gli studi di Giovanni Lilliu, simbolo vivente dell’archeologia nuragica moderna e scopritore di "Su Nuraxi", in quei tempi vi era probabilmente un’organizzazione politca cantonale che si riscontra anche nella suddivisione dei grandi complessi nei diversi distretti geografici isolani. Per citare i più famosi: "Palmavera" ad Alghero, "Santu Antine" a Torralba, "Losa" ad Abbasanta e "Sa Sedda e sos Carros" a Oliena. Proseguendo nella lettura del libro inchiesta si rincorrono ancora centinaia d’indizi, confronti e riscontri che dovrebbero sancire, una volta per tutte, che Atlantide non è mai sprofondata nell’Oceano, ma era nel mezzo del Mediterraneo. In sintesi ci si troverebbe davanti ad una grande censura storica, nella quale i nuragici e quindi i sardi, sarebbero stati privati delle loro radici. La questione è spinosa, anche perché l’ipotesi mette in dubbio la ricostruzione di gran parte delle vicende storiche del Mediterraneo Occidentale, almeno fino al 1000 aC. In merito si sono sollevate polemiche e scontri tra alcuni settori dell’ambiente scientifico ed i sostenitori della teoria di Sergio Frau. In generale, c’è chi è propenso a credere allo spostamento delle Colonne e all’Atlantide Sarda, altri ritengono verosimile solo la prima ipotesi ed altri ancora che avversano l’intera teoria. Giovanni Ugas, Archeologo dell’Università di Cagliari afferma che "non vi sono misteri nella vicenda nuragica, ma buchi di conoscenza storica, che vanno colmati con la ricerca scientifica". Lo stesso ha cercato di risolvere gli interrogativi sulla mancanza di documentazione storica della Nazione Nuragica, sovrapponendo i Sardi a quei Shardana dei Popoli del Mare, affermando con certezza che con le conoscenze attuali i due possono essere identificati come lo stesso popolo. Sergio Frau rincara la dose, confermando una forte componente caucasica nel Dna dei sardi, accontentando anche chi ritiene gli Shardana siano di esclusiva provenienza orientale. I popoli del mare erano una confederazione di stati, ricordati soprattutto per la grandiosa avanzata operata intorno al XII aC quando devastarono Cipro, la Sicilia, contribuendo alla caduta dell’impero Ittita ed infine, scontrandosi con l’impero del grande faraone Ramsesse III, che li bloccò e li respinse. I geroglifici del tempio di Medinet in Egitto, davanti ai famosi templi di Luxor e Karnak, raccontano di un popolo che si muoveva e combatteva con a seguito carri, donne e bambini; geroglifici che narrano e raffigurano guerrieri, identici a quelli dei bronzetti sardi. Che i sardi potessero essere avvezzi al mare più di quanto si credeva, lo aveva già rivelato Giovanni Lilliu nel testo "Sardegna Nuragica" del 1996 parlando delle ricchezze derivate dai commerci oltremare. Nel libro Lilliu rovescia l’idea dei sardi spaventati dal mare, che aveva a lungo abbracciato e divulgato. Seguendo le mappe della diffusione dell’ossidiana del monte Arci nel resto d’Europa ed in alcune aree dell’Africa
settentrionale, si sposta la data dei grandi traffici marini mediterranei, molto più indietro di quanto si credesse. Seppure i sardi fossero stati gli Shardana o gli Atlantidei e se, comunque, hanno occupato un posto di tale rilievo nella preistoria e nella storia del Mediterraneo, bisogna domandarsi perché quella civiltà sia lentamente caduta in rovina nei secoli dopo il 1000 aC, soccombendo ai Cartaginesi ed ai Romani, arrocandosi nelle alture più impervie ed acquistando la fama di gente chiusa e bellicosa, che è ancora cucita intorno ai popoli barbaricini. L’ipotesi di Sergio Frau, che nelle prime battute aveva dell’incredibile, sale ancora d’intensità quando le parole di Platone sulla fine di Atlantide sono intrecciate con i geroglifici di Medinet: i popoli del settentrione complottavano nelle loro isole, ma, proprio allora, la tempesta inghiottì il loro paese… la loro capitale è devastata, annientata. In questi passi, l’epica fine del "paese delle meraviglie" s’incastra con la storia degli Shardana. Il grande cataclisma colpevole di tanta distruzione, uno Tsunami, ossia, l’onda anomala che si verifica in caso di terremoti sottomarini, frane lungo le coste o durante le eruzioni vulcaniche. Sarebbe stato questo fenomeno naturale a causare la fine della grande civiltà nuragica: improvviso, implacabile, che in un giorno imprecisato tra il 1178 ed il 1175 aC non lasciò scampo alle popolazioni occupanti gli oltre 100 chilometri del Campidano, la più grande pianura isolana, risparmiando tutto ciò che si trovava sulle alture circostanti, ma trascinando tanto fango da sommergere il più grande monumento nuragico dell’isola: "Su Nuraxi" situato a circa 60 km dalla costa ed oltre 200 metri sopra il livello del mare. Il cerchio si chiude in un’attenta analisi, si fanno quadrare le cifre sugli anni della civiltà atlantidea e la disperata migrazione Shardana; inoltre, sempre in base ai racconti di Platone, si calcola l’estensione della pianura atlantidea, che si sovrappone quasi perfettamente al Campidano. Sergio Frau è più sicuro che mai, la questione fondamentale non è lo spostamento delle Colonne d’Ercole, ma è la storia antica di mezzo Mediterraneo che va riscritta.
Massimiliano Perlato
"LE COLONNE D’ERCOLE", E’ STATA TRADOTTA IN TEDESCO CON IL TITOLO "ATLANTIKA"
SERGIO FRAU RACCONTA ALLA GERMANIA L’ISOLA DI ATLANTE
Se c’è un Paese dove è forte la passione per i misteri archeologici questo è sicuramente la Germania. Proprio un tedesco, Heinrich Schliemann, scoprì dopo anni di ricerche la mitica città di Troia. All’attento sguardo teutonico Sergiu Frau porta ora il suo libro «Le Colonne d’Ercole. Un’inchiesta» tradotto in tedesco con il titolo di «Atlantika» e presentato dallo stesso giornalista e scrittore a Berlino grazie all’impegno del Centro culturale sardo della capitale della Germania. Sergio Frau, noto per aver «spostato» le Colonne d’Ercole, ha spiegato al pubblico berlinese la complessa teoria secondo la quale Atlantide o meglio l’isola di Atlante, come viene definita più precisamente, potesse essere l’antica Sardegna. «Sardinien, das antike Atlantis?». I lettori tedeschi cercheranno di trovare una risposta alla domanda leggendo il libro. È la prima volta che la fortunata inchiesta del giornalista di «Repubblica» viene tradotta in un’altra lingua e non a caso in tedesco: «La Germania – sottolinea Frau – è sempre stata molto interessata al mondo antico. Per tradizione i tedeschi hanno però guardato molto a Oriente, alla Grecia e alla Mesopotamia, meno a Occidente». L’inchiesta di Frau mette in discussione dati della storiografia ufficiale. L’intuizione nasce dalla ricerca sulla giusta collocazione delle Colonne d’Ercole, oltre le quali si trovava la mitica Isola di Atlante. Dopo aver consultato testi di viaggiatori e geografi antichi e averli confrontati con le interpretazioni teoriche nei secoli date dagli studiosi, Frau conclude con una reiterpretazione: le vere Colonne d’Ercole che si pensava fossero sullo stretto di Gibilterra, erano originariamente sul canale di Sicilia (fra Sicilia e Tunisia), e quindi oltre si trovava la Sardegna. Tutto sembra coincidere: l’isola di Altante è descritta come terra dal clima mite, che dà più raccolti all’anno, ricca di metalli preziosi, regnante sui Tirrenici, ossia il «popolo delle torri». Le torri sono appunto i nuraghi sardi che secondo gli studiosi affollavano l’isola a quel tempo. Pubblicato ormai più di cinque anni fa «Le Colonne d’Ercole» è diventato un vero e proprio caso aprendo dibattiti e discussioni sulla Sardegna dell’antichità. L’autore ha dato vita anche a una mostra «Atlantikà» che ha girato l’Italia, approdando all’Accademia dei Lincei, e a Parigi dall’Unesco (di recente è pure sbarcata sul web in Sardigna Second Life). L’esposizione propone una lettura iconografica dell’isola-mito attraverso suggestive fotografie e montaggi virtuali. Le immagini sono supportate da una importante e inedita sezione cartografica, da pannelli didascalici, documenti e riproduzioni di particolari di opere scultoree e pittoriche che identificano il mitico confine del mondo antico e il suo ritorno alla posizione originale, di cui parla per primo Pindaro, al canale dove Sicilia e Tunisia quasi si toccavano. «Spero – conclude Sergio Frau – che la mostra "Atlantikà" possa arrivare presto anche qua a Berlino».
Fabio Canessa
ENI ANNUNCIA LA FERMATA DEGLI IMPIANTI: COINVOLTI 3500 LAVORATORI
PORTO TORRES, LA CHIMICA VERSO LA CHIUSURA
Cronache buone il petrolchimico di Porto Torres non ne ha prodotte da tempo. E anche quando ci sono state (vedi gli annunci di Polimeri Europa a spendere sul territorio una grossa quota dei 720 milioni di euro complessivi destinati all’industria sarda, vedi l’accordo di programma del 2003) è finita sempre con un due di picche. Eni ha annunciato a sorpresa, ma senza sorpresa, la chiusura temporanea dello stabilimento turritano assieme alla fermata di altri numerosi impianti sparsi lungo lo Stivale a partire da dicembre fino al 31 gennaio. Notizia conferma
ta dai volantini fatti appendere sulle bacheche degli operai all’interno della fabbrica e, fatto assai più grave, dall’avvio delle procedure di cassa integrazione per 3500 lavoratori annunciato dall’azienda. Gli impianti nel frattempo non resteranno senza presidio ma da essi nemmeno una cicca di prodotto chimico verrà fuori. Gli uomini resteranno dunque a guardare le macchine e nient’altro, mentre i vertici dell’azienda resteranno a guardare un mercato in crisi profonda. Polimeri deve ancora presentare il suo piano industriale all’Eni, ma Eni pare abbia già deciso la partita. La scommessa è adesso capire se è vero che per Porto Torres e per la Sardegna non resteranno che briciole. Briciole da spartire fra migliaia di lavoratori parte dei quali sta già pensando di aver perso un lavoro. Il sindacato confederale e gli enti locali hanno deciso di non parlare con Polimeri fin quando almeno non ci sarà una mediazione istituzionale forte. Ma è anche comprensibile che l’unica strategia di sindacati e istituzioni faccia riferimento a un tavolo nazionale: il tema della chimica e gli annunci dell’Eni riguardano tutto il Paese. Il nodo sta nel comprendere come e perchè al sito turritano spetta la parte più pesante di questa crisi. Intanto i rapporti fra territorio ed Eni si sono inaspriti e la popolazione è chiamata dal sindacato a sostenere la vertenza dei lavoratori contro la chiusura del petrolchimico. E sembra uno strano destino quello di una città lacerata dalle brutture all’ambiente e alla salute prodotte da un’industria che oggi la chiama in soccorso. Oggi però la partita sulle bonifiche è su un altro livello. La dismissione dell’industria non la garantisce affatto. Eni ha inquinato ed Eni deve pagare, questo è il principio su cui si basa il ministero dell’ambiente. Ma se mettiamo sul piatto della bilancia tutti i siti di bonifica di interesse nazionale in cui è l’Eni ad aver prodotto inquinamento e le centinaia di milioni di euro che dovrebbe pagare per risanare i terreni, sappiamo anche quanto il ministero possa essere interessato a sollevare la posta. Si tratterebbe di un esborso notevolissimo a tutto vantaggio dello Stato. È chiaro che la partita andrà avanti ancora per le lunghe e per vie legali, mentre le popolazioni residenti nei luoghi in cui c’è stato danno ambientale continueranno a non avere nessun vantaggio. La dismissione dell’industria turritana rischia invece di procurare gravi sofferenze non solo all’indotto diretto e indiretto del nord Sardegna, ma a larga parte del comparto industriale sardo. Le produzioni del cloro soda di Assemini per esempio sono legate a quelle del vcm e del pvc turritano che appartengono a Ineos. A sua volta, questa filiera si lega alle produzioni di etilene e a tutti gli altri servizi che Polimeri fornisce alla stessa Ineos. La chiusura dello stabilimento comporterebbe per l’azienda inglese la necessità di procurarsi altrove la materia prima che serve per la produzione di dicloretano e quindi di vcm e pvc. Inutile dire che la reazione a catena aggiungerebbe alla rovina ambientale determinata da anni di industria selvaggia, anche un danno all’economia. A questo punto non si tratta più di sostenere o meno l’industria in Sardegna. La pretesa forte, grintosa, della popolazione non può che essere adesso quella di una salvaguardia da parte del governo nazionale finora latitante. Anche perchè la crisi che investe oggi Porto Torres e la provincia di Sassari non può, a ben guardare, cogliere di sorpresa nessuno. Era il 1994 quando qualche attento osservatore della parabola petrolchimica scriveva "La provincia di Sassari come l’intera Sardegna è coinvolta da una grave crisi. (….) si addensano nuove nubi sul petrolchimico di Porto Torres, il cui peso nel territorio si è gradualmente ridotto nell’ultimo decennio, anche perchè in quest’arco di tempo i lavoratori dipendenti direttamente dello stabilimento Enichem di Porto Torres sono passati da 4000 a 2000 unità". Undici anni prima si parlava del tracollo dell’impero di Rovelli, che proprio l’Eni (come Enoxi) fu chiamata a salvare: La Sir non è stata un’industria a misura di territorio, a misura di città, a misura degli uomini che ci hanno lavorato. Perciò non poteva essere amata (…)Le condizioni che la Sir avrebbe voluto per operare in Sardegna (erano) finanziamenti agevolati, servizi, infrastrutture realizzate, investimenti a costo zero. Cose che la Sir in larga misura ha avuto. Molti imprenditori a queste condizioni avrebbero saputo realizzare una industria sana invece di andare al disastro che ci sta sotto gli occhi. Ma se nell’arco degli anni ‘70-’75 lavoravano a Porto Torres circa 9 mila persone fra diretti e indotto e oggi arriviamo a parlare di 3500 persone nel complesso, qualcosa non deve aver funzionato. E il pegno che questo territorio pagò e che ancora paga inevitabilmente, in cambio di un vantaggio economico, se è vero ciò che sta accadendo in queste ultime ore, non ha avuto una contropartita ragionevole. Né sul breve, né sul lungo periodo.
Roberta Pietrasanta
LE CASCATE DAL CIELO SULLA TERRA VIOLATA DAL CEMENTO SELVAGGIO
DALLA SICCITA’ ALL’INCUBO ALLUVIONI
"Passavamo leggeri come acqua che scorre", scriveva Sergio Atzeni, penna visionaria di Sardegna. Ma l’acqua che bagna l’isola non è più lieve, da tempo. Anzi, la pioggia benedetta nella terra arsa, si trasforma in tragedia ogni volta che il cielo si apre. Quattro morti il 22 ottobre nel cagliaritano, migliaia di danni. E a novembre ancora disastri. Allagata la Baronia: Orosei in ginocchio, Tortolì isolata. Le greggi portate via dall’acqua che batte. E ogni pecora che muore è un piccolo dramma che si consuma in una terra dal tessuto fragilissimo. Un tassello di un’economia antica che annega. E pensare che prima era una festa. La Baronia è uno spicchio di Sardegna tra monti e mare, una conca verdissima sotto gli spigoli nuragici della Barbagia, attraversata dal Cedrino. Il fiume scorre fino alla diga, ma quando straripa anche il bacino di cemento si gonfia, tracima, copre d’acqua la valle. Copre ogni cosa. I campi, le case costruite nell’alveo del fiume. Per questo la legge urbanistica di Renato Soru è sacrosanta. Non c’è niente di naturale in queste catastrofi, tutta colpa degli uomini, di questa smania di costruire, usare i blocchetti invece delle pietre. I pastori, con gli agricoltori sono i più colpiti. Lavorano la terra, curano le bestie anche quando l’acqua non c’è, quando si muore di sete. Poi, se piove è ancora peggio. Ma i fondi a sostegno dell’agricoltura arrivano davvero col contagocce, controllati dalle norme comunitarie. «La civiltà della pecora massacrata dalle banche, dalla burocrazia», per citare Gavino Ledda, l’autore di "Padre Padrone". Una civiltà che annaspa, tanto che il latte, il latte che ancora si ricava, serve più al Continente, più per il pecorino romano che
per il Fiore Sardo. L’ultima umiliazione. Orosei, Galtellì poggiano su un territorio delicatissimo. Esiste un reticolo idrografico che ha dormito per anni, e ora si è svegliato. Non ci sono solo i grandi palazzinari della Costa, in Sardegna. Esistono piccoli pesci con la fame di cemento a tutti i costi. Orosei d’inverno conta 7mila anime, che d’estate triplicano. E’ indubbio: il ciclo naturale si è messo di traverso, l’area è vulnerabile. Come a Villagrande Strisaili, Ogliastra, dove a dicembre del 2004 la piena del Rio Sa Teula fece due vittime: nonna e nipotina di tre anni. Il Rio, certo, che forse poteva defluire se non avesse trovato i canali delle fogne cementate. Il sindaco saltò. Ma da allora la vita di Gianfelice e Antonietta Longoni è cambiata. Non c’è giorno che non piangano la figlioletta morta. Si chiamava Francesca. La piena si portò via anche l’archivio comunale, gli atti di nascita, di morte. Villagrande è ancora un paese a lutto, senza più memoria. E’ passato oltre un mese dall’alluvione di Capoterra, periferia abusiva e condonata. Il mare ogni tanto restituisce frammenti di vite altrui. Sulla spiaggia del Poetto sono arrivati pezzi di frigoriferi, sedie di plastica, bambole, perfino un album di foto di un matrimonio. C’è lei in bianco che ride. Sullo sfondo una montagna senza più alberi, senza pecore al pascolo.
Daniela Amenta
IL DECRETO ANTICRISI DEL GOVERNO RINNOVA IL RAPPORTO CON LA COMPAGNIA FINO AL 2011
TIRRENIA-STATO PER ALTRI TRE ANNI
Il Governo proroga per tre anni la convenzione con la Tirrenia. Lo prevede il decreto anti-crisi varato dal Consiglio dei Ministri. In vista della futura privatizzazione, il Governo Berlusconi rinnova la convenzione per i trasporti marittimi da e per l’isola fino al 2011. Ogni anno la compagnia guidata dall’amministratore delegato Franco Pecorini percepirà un finanziamento di 65 milioni di euro. Un taglio rispetto ai 263 milioni annuali incamerati fin’ora. Ma il rischio adesso è che la riduzione dei fondi corrisponda ad un’ulteriore caduta nella qualità del servizio. E in più, c’è la beffa. Perché i finanziamenti vengono sottratti ai fondi FAS: a rischio risorse preziose per la Sardegna. Su tutte le furie, chiaramente, l’assessore regionale ai trasporti Sandro Broccia che dopo aver spedito una seconda lettera di protesta alla Commissione Europea, definisce il provvedimento "vergognoso e indecente". L’articolo 26 del decreto anticrisi è dedicato alla privatizzazione di Tirrenia. "E – si legge nell’atto – al fine di consentire l’attivazione delle procedure di privatizzazione della Società Tirrenia di Navigazione spa e delle società da questa controllate, e la stipula delle convenzioni è autorizzata la spesa di 65 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011". Anche se le risorse verranno stanziate solo "previa verifica da parte della Commissione Europea della compatibilità della convenzione". Per l’armatore di Moby Vincenzo Onorato è l’ennesima puntata della telenovela sulla rotta Civitavecchia – Cagliari. "In realtà è una non-privatizzazione – accusa il presidente di Mascalzone Latino – perché si concretizzerà con la cessione al privato del 51% della società mentre lo Stato rimarrà azionista al 49. E a queste condizioni nessun armatore sarà disponibile. I sindacati chiedono l’istituzione di un fondo privato per perpetuare il potere di Pecorini". "Prima il Governo manda a Bruxelles una lettera in cui si annunciava la proroga di un solo anno – accusa Broccia – poi firma un decreto legge che proroga di tre. Inoltre, si motiva la richiesta con l’esigenza di portare avanti il processo di privatizzazione già avviato, ma al momento non c’è nessun atto concreto in questa direzione. C’è anzi un aspetto sconcertante – aggiunge l’assessore ai trasporti – noi abbiamo subito detto di essere pronti a rilevare, come sollecita la stessa Ue, la società regionale di trasporti gestita dalla Tirrenia per i collegamenti con le isole minori, ma alla Commissione, è stato spiegato che il Governo non ha ricevuto alcuna offerta". Sarebbero 5 secondo l’assessore le richieste per la procedura d’infrazione per la violazione delle regole comunitarie sulla concorrenza. Infine, la stoccata al ministro dei trasporti Altero Matteoli. "E’ da un mese che non risponde al presidente Soru che gli ha chiesto un incontro. Difficile trovare aggettivi".
Ennio Neri
QUATTRO TARTARUGHE "CARETTA CARETTA" PER IL VERTICE 2009 A LA MADDALENA
IL LOGO DEL G8
Un vertice eco compatibile fin dal logo, che riproduce quattro tartarughe ‘Caretta Caretta’ e che spesso approdano nelle acque protette del parco naturale della Maddalena. Ma anche un summit in cui i leader della terra renderanno omaggio all’uomo che ha contribuito in maniera determinante a fare l’Italia, Giuseppe Garibaldi. Se la crisi economica e il coinvolgimento a tutti gli effetti al tavolo dei grandi dei paesi ‘ex emergenti’ sono il piatto forte del G8 che si terrà a luglio in Sardegna, l’Italia punta molto anche sulla ‘location’ e sull’organizzazione dell’evento per far vedere al mondo intero che quando vuole sa fare, e bene, le cose. Con un’unica, grande, preoccupazione: quella della sicurezza. Certo è che, preoccupazioni a parte, l’Italia vuole arrivare al vertice anche con l’obiettivo di lasciare in eredità all’economia sarda strutture e infrastrutture all’avanguardia, dotate delle più moderne tecnologie e nel massimo rispetto ambientale. Per questo tutti gli edifici su cui si sta intervenendo a La Maddalena, compresa la ristrutturazione dell’Arsenale, che ospiterà tutti gli incontri più importanti del vertice, dell’ex ospedale della Marina Militare trasformato in hotel, e la costruzione del nuovo albergo di lusso che affaccia sul porto interamente rinnovato (le due strutture che saranno riservate ai leader mondiali), sono realizzati con materiali locali. E per questo il G8 sarà l’occasione per l’allungamento della pista dell’aeroporto di Olbia e la costruzione dell’autostrada Olbia-Sassari. Massima attenzione sarà rivolta anche all’ambiente, vista la particolarità del parco de La Maddalena. Sull’isola i leader e le delegazioni si muoveranno con auto elettriche e verranno sperimentate anche imbarcazioni ibride per i trasporti, mentre per i rifiuti l’obiettivo è quello di potenziare al massimo la raccolta differenziata per far sì che nulla venga sprecato. Quanto all’energia, si sfrutteranno al massimo le fonti alternative, come l’energia solare, anche se sar&
agrave; necessario portare dell’energia elettrica con un elettrodotto sottomarino visti i ‘picchi’ che si registreranno per la presenza dei media di tutto il mondo. Alla Maddalena arriverà anche la più grande nave da crociera al mondo, la ‘Msc Fantasia’ che sarà varata il 18 dicembre a Napoli e che ha ricevuto il certificato di ecosostenibilità: le sue 99 suite e 1.530 cabine ospiteranno le delegazioni dei partecipanti al summit. Tutti i fondi che verranno utilizzati per realizzare le infrastrutture sono soldi che si spenderanno per la Sardegna e non per il vertice. Alla Maddalena è stata fatta la più grande bonifica ambientale mai fatta in Italia in modo che l’isola diverrà un’attrazione turistica assolutamente all’avanguardia.
ANTONIO GRAMSCI, SEMPRE ALLA RIBALTA DELLA CRONACA ITALIANA
ANCHE NON CONVERTITO, RESTA UN "SANTO", LAICO
Chi ha dimestichezza con la sterminata bibliografia dei testi che riportano ricerche, informazioni e testimonianze su Antonio Gramsci, quando è stata recentemente divulgata la notizia sulla presunta conversione in punto di morte del politico e filosofo comunista, non ha potuto non commentare sconsolatamente: "niente è più inedito della carta stampata". Questa notizia venne infatti pubblicata la prima volta nel 1977, quando il gesuita Giuseppe Della Vedova riferì sulla rivista "Studi sociali" (e l’informazione venne ripresa dal "Corriere della Sera") della testimonianza di una suora sarda, suor Pinna, che appunto aveva parlato dell’ avvicinamento alla fede da parte di Gramsci in fin di vita. Il preteso "scoop" venne amplificato dal settimanale "Gente" e in seguito smentito dal quotidiano "Paese Sera". La stessa testimonianza di suor Pinna era stata richiamata il 6 agosto 1998 non in un trafiletto ma in un editoriale di Emilio Cavaterra sul quotidiano "Il Giornale" diretto allora da Mario Cervi; in esso si faceva cenno anche a notizie contenute nel libro dell’insegnante sassarese Luigi Nieddu intitolato "L’altro Gramsci" (1990).Nell’articolo di Cavaterra veniva specificato che la sarda suor Pinna, in occasione della celebrazione di una messa in suffragio per il proprio fratello, monsignor Giovanni Maria Pinna, nella chiesa di San Lorenzo in Damaso, aveva raccontato che "Gramsci volle vedere la statuetta di Gesù Bambino e quando l’ebbe di fronte la baciò con evidenti segni di commozione" a un gruppo di sacerdoti amici che avevano assistito al rito. Tra essi i due più autorevoli erano due sardi: monsignor Luigi De Magistris (di origine cagliaritane, oggi penitenziere emerito della Santa Sede, che nei giorni scorsi è stato autore della "clamorosa" rivelazione) e monsignor Sebastiano Masala, allora giudice della Sacra Rota (da me ben conosciuto in quanto nato, nel 1915, nel mio stesso paese, Ploaghe, in provincia di Sassari), scomparso nel 1994. Come si vede, un gruppo di personaggi sardi è al centro delle rivelazioni sul conforto dei sacramenti che sarebbe stato chiesto dal sardo Gramsci nelle ultime ore di vita presso la clinica Quisisana di Roma. Personalmente condivido l’opinione di Giuseppe Vacca, presidente della Fondazione Istituto Gramsci: "Dalle carte relative agli ultimi istanti di vita di Gramsci non emerge alcuna ipotesi di una sua conversione. Ovviamente non sarebbe uno scandalo, né cambierebbe nulla. Dico solo che si tratta di un fatto che non trova alcun riscontro nei documenti disponibili". E poi sarebbe bene comunque che Gramsci venisse considerato come uno che ha assunto le dimensioni storiche e metastoriche del martire per le proprie idee antifasciste. In un discorso di approfondimento delle figure di due "santi cristiani e cattolici" come i pavesi San Riccardo Pampuri e Teresio Olivelli (quest’ultimo, come si sa, è morto a 29 anni in un campo di concentramento nazista), il prof. Giulio Guderzo, dell’Università di Pavia, qualificò l’ateo Altiero Spinelli, uno dei padri del federalismo europeo, come un "missionario laico" o addirittura "un santo laico". Anche per l’ateo Gramsci (convertitosi o no nelle ultime ore di vita), sia l’una che l’altra definizione, a mio avviso, si attagliano perfettamente.
Paolo Pulina
L’OTTIMO LAVORO DELLA STUDIOSA TERRALBESE LUISA SALARIS
GLI UOMINI PIU’ LONGEVI? SONO A VILLAGRANDE STRISAILI
Dati e statistiche sono stati diffusi durante un convegno chiuso da un intervento del demografo Michel Poulain, che arriva da Louvain in Belgio e che in tutto il mondo studia i centenari, non ha un solo dubbio: «Villagrande è il paese dove la longevità degli uomini è la più alta al mondo». Dice il professor Poulain, nato in un paesino di nome Sart-Eustacke che sta a cinque chilometri da Charleroi, la città bagnata dal Sambre: «A Villagrande va assegnato d’ufficio il Guinnes della longevità. Per i maschi è più elevata di quanto registriamo nel Tibet, nell’isola giapponese di Okinawa, siamo di fronte a un fatto eccezionale. Ne ho parlato nella rivista specializzata Experimental Gerentology». E perché qui si vive più a lungo? «Non lo so, è una ricerca che devono fare anche i medici, forse i genetisti ogliastrini del Dna ci saranno d’aiuto, ma ci dovranno studiare antropologi e sociologi. Certo è che questo è un paradiso fra monti e mare, fra laghi e fiumi. Anche il mio paese è bagnato da un corso d’acqua come il Flumendosa, ma da noi di centenari non ce ne sono proprio, beati voi». E dà una notizia, finora inedita: il primo centenario di Villagrande, a partire dai primi decenni del 1600, è stato un ex pastore di pecore e mucche, al secolo Antonio Francesco Pasquale Orrù, noto come "ziu Farìgu", nato nel 1847 e morto proprio nel 1947. Il boom a partire dall’immediato dopoguerra: ventidue centenari, come si è detto, per certificare un primato internazionale. Il professore belga non lavora da solo. È in contatto con l’Università di Sassari e collabora col team guidato da Luca Deiana,Giovanni Maria Pes e Ciriaco Carru. E poi c’è un’altra ricercatrice in condominio fra l’Università di Cagliari (facoltà di Scienze politiche, sezione Statistica) e l’ateneo di Louvain. È Luisa Salaris, 28 anni, nata a Terralba, diploma in un Istituto tecnico di Oristano, con Intercultura aveva trascorso alcuni mesi a Klimosk, 48 chilometri da Mosca, e così questa giovanissima ricercatrice parla benissimo tre lingue (russo, francese e inglese), studia il tedesco e vuol «imparare bene il cinese, la lingua del futuro». Si era laureata (110 e lode) con una tesi sui centenari, subito dopo un master in "Studi sulle popolazioni" all’università di Groningen in Olanda. E adesso eccola qui, fare la pendolare fra Belgio e Italia, tra viale Fra Ignazio a Cagliari dove collabora con la professoressa Anna Maria Gatti e le case di Villagrande e di Villanova, a spulciare documenti non solo negli uffici comunali ma negli archivi parrocchiali e diocesani. Sono state la Gatti e la Salaris a pubblicare (settembre 2004) un quaderno del Dres (Dipartimento di ricerche economiche e sociali, coordinatore scientifico Giuseppe Puggioni) dal titolo: "Grandi vecchi in Sardegna tra Ottocento e Duemila. La longevità attraverso i censimenti della popolazione". Un documento scientifico che esalta anche le ricerche fatte dallo studio epidemiologico (Akea) dell’Università di Sassari guidate da Luca Deiana e altri ricercatori ("The Sardinia study of estreme longevity" e, con Rossella Lorenzi, "Secret of Long Life Found). Studi che in un primo tempo segnalavano "la popolazione sarda come quella a più alto tasso di longevità fra le popolazioni studiate. Tale asserzione si basava sul fatto che erano stati rintracciati nell’isola 222 centenari, numero che – rapportato a quello dei censiti in Sardegna nel 1991 – forniva un tasso di 13,56 centenari per centomila abitanti con un massimo nella provincia di Nuoro (24.35) e un minimo in quella di Cagliari (9.71)". Poi il primato isolano perde smalto e si legge: «Secondo gli ultimi tre censimenti della popolazione i tassi di longevità dei sardi sembrano alquanto ridimensionarsi, risultando pari a 4.3; 7.8 e 11.5 centenari per centomila abitanti rispettivamente nel 1981, nel 1991 e nel 2001. Secondo quest’ultimo censimento il tasso regionale non si discosta da quello nazionale, 11.1. Mentre il tasso registrato nella provincia di Nuoro- 18.5 – pur essendo il più elevato delle altre province risulta alquanto inferiore a quello citato prima, cioè 24.35". Se queste sono statistiche che interessano non poco gli studiosi di tutto il mondo, resta accertato comunque che il regno mondiale dei centenari è proprio Villagrande, paese della nuova ribollente Provincia dell’Ogliastra.
80 IMPRESE ARTIGIANE SARDE PRESENTI PER IL TRADIZIONALE APPUNTAMENTO MENEGHINO
LA SARDEGNA A MILANO PER "L’ARTIGIANO IN FIERA"
Un appuntamento fisso prenatalizio per i milanesi, è sicuramente quello di partecipare nel polo fieristico d
i Rho all’Artigianato in Fiera. Quest’anno è arrivata alla tredicesima edizione, e la partecipazione massiccia di persone è compensata da una esposizione internazionale di altissimo livello. L’appuntamento risulta essere il più grande evento dedicato alle imprese artigiane a livello mondiale. Una fiera che nel corso degli anni ha raggiunto maturità e solidità, con nuove aree espositive, nuovi spazi e il nuovo Salone dell’Ecoabitare. Una nuova veste rinnovata e moderna che permette ai cittadini di diventare protagonisti in vista dell’imminente Natale. Nostro preciso intento, di fronte a circostanze del genere, è scoprire il mondo "Sardegna" all’interno di queste manifestazione. E come al solito, l’isola ha fatto le cose in grande. La Regione Sardegna era presente con l’Assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio in collaborazione con l’Unioncamere Sardegna, in uno stand malto ampio di 1.100 metri quadri visitatissimo dai partecipanti. Le aziende espositrici, in totale 80, arrivavano da ogni angolo dell’isola. L’ha fatta da padrone il settore alimentare, con 36 aziende provenienti da tutte le province. Ma non solo: erano presenti degli stand di ceramica, di complementi d’arredo, del tessile, del ferro, del legno. Curatissime le vetrine che esponevano gioielli. Ma anche coltelleria, vetro e articoli promozionali e gadget isolani. Gli artigiani sardi hanno così avuto la possibilità di esporre e vendere le proprie produzioni in un contesto d’eccezione. Nei dieci giorni di fiera mercato, in cui erano presenti le regioni italiane e molti Paesi esteri, le imprese sarde hanno potuto confrontarsi con altre esperienze, anche a livello internazionale, ed effettuare un vero e proprio test di mercato alla luce della straordinaria affluenza di visitatori. Insomma, "Artigianato in Fiera" oramai rappresenta un punto fermo della promozione della propria terra, che a dire il vero, non coinvolge solo la Sardegna. L’Artigiano in Fiera offre una incredibile esposizione di prodotti, effettuata seguendo il criterio della territorialità. Sezioni dedicate all’artigianato in Lombardia, in Italia, in Europa e nei Paesi del Mondo offrono la varietà di culture e tradizioni diverse. Una grande vetrina per le imprese artigiane, un’occasione irrinunciabile per quanti condividono ed apprezzano la bellezza e l’originalità del prodotto artigianale. L’edizione 2008 si è proposta per il settore, in collaborazione con le associazioni di categoria, un volano per tutto il movimento. In un periodo di restrizione economica internazionale, è importante che la gente e gli artigiani possano avere spazi come questi per confrontarsi direttamente. Molti sono stati quelli che hanno acquistato direttamente in fiera dal produttore, senza passaggi intermedi e quindi con considerevoli vantaggi sui prezzi, senza perdere in qualità. I prodotti esposti, fra cui si annovera tutto il settore Sardegna, sono frutto ognuno a diverso titolo, di una tradizione e di una storia che vengono da lontano, spesso tramandate di generazione in generazione, e che arrivano oggi alle famiglie e alle persone che hanno visitato i padiglioni della Fiera. L’appuntamento per il 2009 è già fissato dal 5 al 13 dicembre.
Valentina Telò
NEL 1983 MELCHIORRE CONTENA VENNE CONDANNATO PER SEQUESTRO E OMICIDIO
TRENT’ANNI DI CARCERE ED ERA INNOCENTE
Qusta este zustiscia mala. E deu appo pagadu cun sa vida mia. Rassegnazione ancestrale. Tristezza infinita. Sguardo perso nel vuoto. Forse per inseguire gli spazi di libertà che per 30 anni gli sono stati negati da un errore giudiziario. Melchiorre Contena rimpiange quella enorme parte della sua vita che non ha vissuto: i grandi pascoli e le grandi mandrie della sua gioventù, prima sugli altipiani di Orune, il suo paese, ai confini con la Barbagia, poi sulle dolci colline di quell’angolo d’Italia che si incunea fra Lazio, Toscana e Umbria. Un errore giudiziario pagato fino in fondo. Urlando, inascoltato, la sua innocenza. Una condanna a 30 anni per sequestro e omicidio dell’industriale milanese Marzio Ostini. Nel lontano 1977. Dopo aver espiato tutta la pena, Melchirre Contena, 69 anni, professione pastore, sbarcato in Continente 50 anni fa con il suo gregge, si è sentito dire che quei 30 anni non doveva scontarli, che è innocente, che non ha rapito e ucciso nessuno. I giudici della Corte d’Appello de L’Aquila hanno accolto la richiesta di revisione del processo celebrato nel 1983 a Bologna, al termine del quale Contena era stato condannato. Hanno vagliato nuove prove e vecchie testimonianze, e lo hanno assolto "per non aver commesso il fatto". Formula piena. E hanno ordinato la restituzione delle somme pagate per le spese processuali, per quelle di mantenimento in carcere e il risarcimento dei danni a favore delle parti civili. Poi si dovranno quantificare i danni per l’ingiusta detenzione. Lo Stato dovrà pur risarcire un errore così macroscopica e così tardivamente scoperto. Per capire il dramma di Contena è necessario risalire alle cause della condanna: il rapimento di Ostini, che aveva una grande tenuta agricola in provincia di Siena. Ci andava da Milano, due volte al mese. Ne sorvegliarono movimenti e abitudini e un commando di 3 banditi lo rapì la sera del 31 gennaio 1977. Non tornò più a casa. Non furono mai ritrovati neppure i suoi resti. Il padre dopo un estenuante trattativa, aveva pagato un riscatto di un miliardo e duecento milioni di lire. Stroncato dal dolore morì qualche anno dopo. Gli inquirenti puntarono sulla numerosa colonia di pastori sardi che avevano lasciato l’isola e avevano ripopolato le campagne toscane abbandonate dai contadini che preferivano andare a lavorare in fabbrica. Insieme a tanta brava gente che arrivò in Continente solo per lavorare, sbarcarono anche banditi che avevano alle spalle omicidi e sequestri. In carcere finirono 14 persone. Le prove? Le accuse di un servo pastore. Una persona che aveva 33 denunce per falsa testimonianza e che covava rancori nei confronti di tutti. Nel 1982 fu assassinato. Nei processi di primo e secondo grado, a Siena e Firenze, ci furono numerose assoluzioni. Ma la Cassazione nel 1982 ordinò che il processo fosse rifatto. E a Bologna, nel 1983, la Corte d’Appello distribuì condanne pesantissime: due ergastoli e una sfilza di 30 anni. Nel 1995 comparvero due pentiti che fecero chiarezza sulla terribile vicenda. Ma nessuno si preoccupò di ridare la libertà a Contena.
TRA IL DIRE E IL FARE. CULTURA MATERIALE DELLA GENTE DI MINIERA IN SARDEGNA
L’ULTIMO LIBRO DI PAOLA ATZENI
È un libro che sfata un luogo comune duro da intaccare. Solitamente si pensa (erroneamente) che l’economia dell’isola sia sempre stata basata sul binomio agricoltura e allevamento del bestiame, con qualche marginale richiamo alla pesca. Mentre l’industria si sarebbe affermata, con alterne vicende, solo negli anni Sessanta del Novecento. In realtà c’è stata un’attività estrattiva, in Sardegna, già a partire dall’Ottocento che aveva un ruolo importante in campo nazionale. Le aziende minerarie, in particolare nel Sulcis, avevano dimensioni notevoli. Per avere un’idea di una realtà così complessa basta leggere il libro di Paola Atzeni "Tra il dire e il fare. Cultura materiale della gente di miniera in Sardegna" (Cuec editrice, pagine 210, euro 22,00). Ma soprattutto vanno osservate con molta attenzione le tante foto in bianco e nero che documentano l’esistenza di stabilimenti e di maestranze all’avanguardia in Europa nel settore dell’estrazione e la lavorazione di diversi tipi di minerali. La foto in copertina, scattata a Monteponi, che visualizza una batteria di crivelli, sembra appartenere a un’industria del nord. Anche il gran numero di operai e operaie (i primi con abiti da lavoro, le seconde con l’abbigliamento tradizionale) sembrano in sintonia con l’ambiente di lavoro. Ma come si viveva nelle miniere sarde? Decisamente male, con salari appena sufficienti per sopravvivere. Anche se l’alternativa era la disoccupazione o la precarietà di lavori saltuari. Molte informazioni riportate nel libro di Paola Atzeni sono dovute a testimonianze di persone (quasi tutti anziani) che hanno lavorato nelle miniere nei tempi andati. Ma la miniera non era solo un ambiente di lavoro come gli altri. I rapporti tra gli operai andavano oltre l’orario che li impegnava in turni massacranti. Al riguardo l’autrice del libro osserva: "In molti informatori è evidente la tendenza a presentare le amicizie praticate in luoghi e momenti non lavorativi come una prosecuzione, un prolungamento delle amicizie di miniera: essi raccontano come il compagno di lavoro diventasse anche amico: amico di bevute al bar, amico di famiglia, di vicinato, compare, amico-compagno nel sindacato e nel partito". I minatori sardi dimostrano soprattutto di avere una consapevolezza dei loro diritti di fronte all’azienda, che si manifesta con scioperi e rivendicazioni legittime, superiore a quelle dei contadini e dei servi pastori. Per questi ultimi la subalternità nei confronti dei prinzipales e degli allevatori con proprie greggi era pressoché totale. Attorno al mondo delle miniere è fiorita anche una ricca letteratura in versi e in prosa, che fa parte del patrimonio culturale isolano del passato e del presente. Basti pensare a un romanzo di Sergio Atzeni, "Il figlio di Bakunin", da cui è stato tratto un film di Gianfranco Cabiddu. Il libro di Paola Atzeni non ha un taglio giornalistico. È un insieme di saggi che hanno un’impostazione accademica, in sintonia con gli interessi di ricerca dell’autrice che è stata docente della prima cattedra in Italia di Storia della Cultura Materiale (istituita nel 1986 presso l’Università di Cagliari). Il che non toglie che queste pagine siano chiare e accessibili a tutti. L’autrice non scrive per un gruppo ristretto di specialisti o di studenti universitari. Il suo intento è quello di raccontare a larghe schiere di lettori la storia di una realtà scarsamente conosciuta o proposta senza soffermarsi su aspetti della vita dei minatori finora trascurati. In tutte le scuole del Sulcis, dalle medie ai licei, questo libro dovrebbe essere adottato, letto e commentato nelle classi. C’è la storia di diverse generazioni che hanno conosciuto l’espansione e il declino di un’attività industriale all’avanguardia per diversi aspetti. Come anche dimostrano le foto storiche che corredano il volume.
Giacomo Mameli
LA SCUOLA SEMPRE NELL’OCCHIO DEL CICLONE
PRIVILEGI
La scuola italiana era il più grosso problema dello Stato. La cosa si è palesata con buona evidenza fin dalle prime battute del governo Berlusconi. A giocare di sponda hanno contribuito i pregiudizi degli italiani che quando vogliono indicare una categoria di lavoratori che non lavorano né punto né poco indicano sempre gli insegnanti. Colpevoli di avere moltissime vacanze estive, di grattarsi le mani (per non dire altro) l’intera giornata e di rubare in buona sostanza lo stipendio. Amen. Per risolvere la questione, dal momento che trattasi di governo decisionista e maschio, via con una buona limata d’insieme. Fuori tutti, in sostanza. E adesso tocca all’università, dove c’è da vincere un’organizzazione feudale che ha portato nel corso degli ultimi anni i figli degli ordinari a diventarlo anch’essi, talvolta addirittura in facoltà assolutamente estranee al proprio titolo di laurea. Come a dire: quando devi arrivare, devi e basta. Che una riforma in tal senso fosse necessaria sono d’accordo anch’io per riconoscerlo. Mi domando solo se la sbandierata oggettività con la quale si afferma che saranno d’ora in poi gestiti i concorsi, o le decurtazioni sullo stipendio per i rei di mancate pubblicazioni scientifiche siano davvero misure a prova di bomba. Perché con estrema franchezza non credo che una lobby come quella dei professori universitari, che per inciso ha svariate rappresentanze e ramificazioni nel Parlamento italiano, permetta una normalizzazione del fenomeno senza battere ciglio. Sia disposta a votare e plaudire per una riforma che, sulla carta, taglia i rami giovani della propria pianta. E non gli si stia invece dando l’escamotage già pronto per mantenere il proprio potere. E magari ricoprire anche posti di rappresentanza qua e là. Perché sarà pur vero che la scuola era il grande problema dello Stato ma limitatamente ai pesci piccoli. Le aragoste continueranno sempre ad essere protette.
Ignazia Scanu
QUALE FUTURO PER I GIOVANI?
HO UNA FIGLIA IN GHANA
Ho una figlioletta in Ghana. Una bambina adottiva. Si chiama Ruth. Ruth Akua. L’ho adottata a distanza sette anni fa. Adesso ha ben 11 anni. Parla il twi e un po’ d’inglese. Non è una cosa che ho mai sbandie
rato in giro. Non mi è mai importato dirlo a che scopo poi? Non provengo da una famiglia ricca. Non ho necessità di riscattare la mia coscienza da condizioni di particolare privilegio. Non ho mai avuto velleità di essere considerata "buona" a tutti i costi. Tanto meno ho mai gradito essere definita "comunista" intendendo per esso quel concetto politico recente che vede i comunisti sempre protesi verso i più deboli and bla bla.. Vengo da dei piccoli paesi dove nessuno è mai stato lasciato morire di fame. Paesi modesti, di montagna, poco di tutto, solo molti boschi. Che d’estate spesso bruciano. Quando decisi questa cosa avevo 30 anni e lavoravo regolarmente oramai da diversi anni. Non mi lamentavo della mia vita, nè del mio lavoro. Era molto faticoso ciò che facevo. Entravo a scuola alle nove e non sapevo mai a che ora uscivo. A volte le otto, a volte le nove di sera. Mi guadagnavo da vivere per il quotidiano e mi restava qualcosa ogni mese. Avevo veramente poco. Vivevo in un monovano, avevo una panda vecchia di 12anni, alcuni abiti risalenti ai primi anni universitari, e molta molta speranza nel futuro. Pensare di mettere da parte una cifra modesta per aiutare una bambina a studiare mi sembrava il minimo per una come me, che a scuola ci stavo tutti i giorni ad inculcare storia e italiano a ragazzini svogliati e obbligati a studiare dai loro disperati genitori. Oggi continuo a sostenere Ruth. Ma con difficoltà. Non è più come prima. Nel giro di pochi anni questa merda di società in cui viviamo si è ciucciato tutto. La benzina, il cibo, un cinema in settimana. Io non ero proprio ricca allora. E in effetti questa mia cosa venne giudicata come ridicola da un mio familiare di allora. Si perchè oltre a non potermelo permettere (secondo la sua visione) dubitava e tentava di farmi dubitare che quei soldi potessero arrivare a destinazione. Quello che mi manca oggi e credo manchi a molti miei coetanei o giù di lì, non sono soltanto i denari con i quali conducevamo una vita modesta ma piena, ma la speranza. Non abbiamo nessuna speranza. Nessuna prospettiva di fronte. La prospettiva è quella di andare a chiedere in giro come un mendicante di essere "coptata" per fare il proprio rispettabile lavoro. Un lavoro in linea con i tempi badate bene. Non faccio il calzolaio e nemmeno l’insegnante. Mi occupo di internet.. l’eldorado del nuovo millennio. Dovrò lavorare sinchè campo. Nessuna pensione per noi. Nessun riposo. Non l’ho mai fatto sino adesso non potrò farlo mai. Ma io ho deciso una cosa. Io a Ruth i soldi continuo a mandarglieli, tutti i mesi. Finchè non sarà in grado di lavorare lei e mantenersi da sè. Io a questa società falsa e ipocrita non glielo permetto di levarmi tutto. Di levarmi la dignità, e quel sentimento di vicinanza che ho sempre provato verso il prossimo. Non glielo permetterò di rendermi arida come sta accadendo ovunque. Forse questa è la mia unica possibile lotta in questo momento. L’alternativa è la follia.
Ornella Demuru
PENSIONI, IL NOSTRO DOMANI DA DIFENDERE OGGI
IN EUROPA UN FUTURO INCERTO
Gli ultracentenari in Italia oggi sono più di 13mila. Nel censimento del 1951 erano 150. In una cinquantina d’anni si sono quasi centuplicati. Si può prevedere che a metà secolo supereranno il milione? Nel complesso dei 27 Paesi che fanno parte dell’Unione Europea esistono attualmente 4 persone in età lavorativa per ogni ultra 65enne. Una stima Eurostat rivela che i trend demografici e migratori faranno variare tale rapporto, fino a raggiungere nel 2060 un valore dimezzato: 2 persone in età lavorativa per ogni over 65. Più in dettaglio, Eurostat prevede che gli ultra 65enni passeranno dall’attuale 17,1% della popolazione al 30% nel 2060. Mentre la percentuale degli ultra 80enni toccherà quota 12,1% contro il 4,4% del 2008. Poiché la popolazione prevista in Europa per quell’anno sarà di 506 milioni (compresi gli immigrati), vuol dire che fra 50 anni avremo in circolazione 61 milioni di aspiranti Matusalemme e che 300 milioni di persone che lavora dovrà mantenere, oltre ai propri figli (se li avrà), anche 150 milioni di collocati a riposo. L’impressione è che, di fronte a questi fenomeni macroscopici, la politica europea non riesca a vedere oltre il proprio naso: fate più figli e andate in pensione più tardi, dicono. Insomma, navigare a vista, sperare in Dio e, in attesa del miracolo, segare la spesa previdenziale. Il futuro non è nero, ma neppure roseo: diciamo che è piuttosto giallino. Con un presente caratterizzato dalla forte ripresa dell’inflazione, c’è da preoccuparsi.
Massimiliano Perlato
L’ANNUARIO STATISTICO ITALIANO 2008
L’ISTAT DA I NUMERI
Da 130 anni l’Annuario statistico italiano, la più importante fra le pubblicazioni a carattere generale dell’Istat, offre un ritratto sintetico e aggiornato del Paese, a testimonianza dell’ampiezza del patrimonio della statistica pubblica. Schede metodologiche sulle singole fonti statistiche, glossario, bibliografia e indice analitico sono gli strumenti offerti per rispondere al meglio alle esigenze informative e di approfondimento degli utilizzatori. I dati pubblicati nei 26 capitoli, generalmente riferiti al 2007 e disaggregati a livello regionale, sono accompagnati da un confronto sintetico con i quattro anni precedenti. Per rendere più facile la consultazione del volume composto da circa 800 pagine, ciascun capitolo è preceduto da commenti a carattere esplicativo che ne agevolano la comprensione anche a un pubblico di "non specialisti".
Clima La temperatura media annua del 2007 si è attestata su 14,8° C, con un aumento rispetto ai valori climatici 1961-1990 di circa 1,3° C. Il 2007 è stato un anno poco piovoso: in media si sono registrati 70 giorni di precipitazioni, 8 in meno rispetto alla media climatica 1961- 1990, con una frequenza media mensile più alta a marzo (nove giorni) e più bassa a luglio (un giorno). Il numero massimo di giorni consecutivi senza pioggia è stato mediamente di 54 giorni e si registra una graduale intensificazione dei periodi non piovosi man mano che si procede dalle stazioni metereologiche del Nord a quelle del Sud: in Sicilia e
Sardegna si concentra la maggiore siccità.
Incendi forestali Nel 2006 si contano 5.641 incendi forestali, il 30% in meno rispetto al 2005, che hanno interessato circa 15,4 mila ettari di superficie forestale, pari allo 0,2% della superfiche forestale del nostro paese. Nella mappa territoriale, quasi due terzi degli incendi si sono concentrati nel Mezzogiorno, seguono il Nord con il 20% degli incendi e il Centro con il 15,4%. Calabria e Sicilia sono comunque le regioni più colpite dal fuoco (oltre 900 roghi).
Rifiuti Nel 2006 la raccolta totale dei rifiuti urbani raggiunge i 32,5 milioni di tonnellate, pari a 551,8 chilogrammi per abitante (540,5 nel 2005). La percentuale di raccolta differenziata si attesta al 25,8% dei rifiuti urbani (24,3% nel 2005), raggiunge il 39,9% nelle regioni del Nord Italia, si attesta al 20% nel Centro mentre scende al 10,2% nelle regioni del Mezzogiorno.
Controlli ambientali e valutazioni delle famiglie Nel 2007 ammontano a 6.953 i controlli effettuati dal Comando carabinieri per la tutela dell’ambiente; nel 37% dei casi si è riscontrata una situazione non conforme alla normativa vigente. Il valore delle contravvenzioni comminate ai trasgressori di leggi ambientali è pari a 14 milioni di euro, quello dei sequestri, concentrati soprattutto nel settore dell’inquinamento del suolo, raggiunge i 342 milioni di euro. Nel 2008 i problemi maggiormente sentiti dalle famiglie nella zona in cui abitano sono il traffico (45,6%), l’inquinamento dell’aria (41,4%) la difficoltà di parcheggio (39,3%), il rischio criminalità (36,8%), il rumore (36,0%), il non fidarsi a bere acqua dal rubinetto (32,8%), la sporcizia nelle strade e la difficoltà di collegamento con i mezzi pubblici (entrambe 29,4%). Traffico, sporcizia nelle strade, rischio criminalità e difficoltà di parcheggio sono problemi sentiti come particolarmente rilevanti nelle regioni del Centro e del Sud mentre al Nord il 45,5% delle famiglie dichiara la presenza di problemi legati all’inquinamento dell’aria.
Popolazione Alla fine del 2007 i residenti in Italia sono 59.619.290, circa 488.000 in più rispetto all’anno precedente. Tale incremento si deve al saldo attivo del movimento migratorio (+494.871 unità) che neutralizza l’effetto negativo del saldo naturale (-6.868 unità) sul quale ha influito l’aumento della mortalità nel Mezzogiorno. Al 1° gennaio 2008 gli stranieri residenti sono 3.432.651 con un incremento di 493.729 unità rispetto all’anno precedente; attualmente gli stranieri iscritti in anagrafe rappresentano il 5,8% della popolazione totale, un valore che conferma il trend crescente degli anni precedenti. Guardando la cittadinanza della popolazione straniera, i flussi provenienti dall’Unione europea (27,2%) tolgono il primato all’area dell’Europa centro-orientale (24,4%) a seguito dell’ingresso nell’Unione di Polonia e Romania, i paesi a più alta componente migratoria. La fecondità delle donne residenti in Italia nel 2007 è salita a 1,37 figli per donna (da 1,35 nel 2006), si tratta del livello più alto registrato negli ultimi anni. All’interno dell’Unione Europea, ma per il confronto internazionale i dati si fermano al 2006, e fatta eccezione per la Germania (1,34 figli per donna), solo alcuni paesi dell’Europa dell’Est hanno livelli di fecondità più bassi (in particolare la Slovacchia con 1,24 e la Polonia con 1,27). In lieve ripresa i matrimoni dopo il calo osservato fino allo scorso anno, che salgono dai 245.992 del 2006 ai 250.041 del 2007, mentre il tasso di nuzialità rimane costante al 4,2 per mille. Il matrimonio religioso rimane ancora la scelta più diffusa (65%), anche se sono in continuo aumento i matrimoni celebrati con rito civile. E’ soprattutto nelle regioni meridionali a prevalere un modello di tipo tradizionale e la percentuale dei matrimoni celebrati con rito religioso è del 79,2% (contro il 53,5% del Nord e il 59,3% del Centro). Prosegue il processo di invecchiamento della popolazione: ormai un italiano su cinque è ultrassessantacinquenne e anche i "grandi vecchi" (dagli ottanta anni in su) rappresentano il 5,3% della popolazione italiana. Al 1° gennaio 2008 l’indice di vecchiaia (rapporto tra la popolazione con più di 65 anni e quella con meno di 15) registra un ulteriore incremento, raggiungendo un valore pari al 142,6%. Considerando i dati a livello internazionale, che però si fermano al 1° gennaio 2006, il nostro paese, con un indice pari a 139,9%, è quello maggiormente investito dal fenomeno dell’invecchiamento. Gli altri paesi dell’Unione europea in cui la popolazione ha una struttura per età particolarmente "vecchia" sono Germania, Grecia e Bulgaria.
Sanità e salute Nel 2006 sono circa 46.000 i medici di base presenti sul territorio nazionale, valore sostanzialmente stabile negli ultimi anni e che equivale a 8 medici ogni 10.000 abitanti. Per quanto riguarda i medici pediatri se ne contano circa 7.500, ovvero 9 ogni 10.000 bambini fino a 14 anni. Gli ambulatori e i laboratori pubblici e privati convenzionati sono circa 17 ogni 100.000 abitanti nel 2006, in leggera riduzione negli ultimi tre anni. Rimane stabile l’offerta dei servizi di guardia medica: i medici addetti ammontano a 23 ogni 100.000 abitanti. L’assistenza domiciliare integrata è sempre più importante in una società come quella italiana, caratterizzata da un evidente processo di invecchiamento. Su 180 Asl sono 173 quelle che offrono questo servizio nel 2006. Aumentano anche i pazienti assistiti al proprio domicilio: da circa 396.000 nel 2005 a 414.000 nel 2006; gli ultrasessantacinquenni ne rappresentano una quota rilevante (l’84,8% del totale). Prosegue il processo di razionalizzazione delle risorse e delle attività nel sistema ospedaliero italiano. Nel 2004 i posti letto ordinari sono 4,0 ogni mille abitanti (4,6 nel 2000). Alla diminuzione dell’offerta di posti letto corrisponde un’ulteriore riduzione delle degenze in regime ordinario (che scendono a 8,3 milioni nel 2004 dai circa 9,4 milioni del 2000), mentre aumenta il ricorso al day hospital: la dotazione di posti letto per questo servizio passa da 27.507 nel 2000 a quasi 32.000 nel 2004 (14% circa del totale dei posti letto ordinari). Nel 2007 il 73,3% della popolazione residente in Italia valuta buono il proprio stato di salute, con differenze di genere a svantaggio delle donne (70,2% contro 76,6% degli uomini). La presenza di patologie croniche costituisce un importante indicatore per comprendere lo stato di salute della popolazione. Il 39,2% dei residenti in Italia dichiara di essere affetto da almeno una delle principali patologie croniche, quelle maggiormente riferite sono l’artrosi/artrite (17,9%), l’ipertensione (15,8%), le malattie allergiche (10,6%) e l’osteoporosi (7,3%).
Giustizia civile Nel 2006 il numero dei protesti, pari a 1.494.541, si riduce del 5,2% rispetto all’anno precedente. Il valore complessivo dei titoli protestati ammonta a 3.916 milioni di euro, con un importo medio di circa 2.620 euro. Sono 10.192 i fallimenti dichiarati nel corso del 2006 con una diminuzione del 16,1% rispetto al 2005 e un forte addensamento fra le società (91,6% del totale.). In calo il numero dei ricorsi presentati nel 2006 (-6,7%); di questi il 61,7% è rappresentato dai ricorsi relativi all’attività della pubblica amministrazione. Nel 2006 sono stati concessi 49.534 divorzi (+5,3% rispetto al 2005) e 80.407 separazioni (-2,3%). I figli minori coinvolti sono stati affidati alla madre nel 58,3% dei casi di separazione e per il 67,1% dei divorzi.
Giustizia penale Nel 2006 sono 3.129.994 i procedimenti pendenti presso i tribunali ordinari (erano 3.178.367 alla fine del 2005), 18.795 quelli pendenti presso i tribunali per i minorenni (contro i 18.380 dell’anno precedente). Nel 2006 i delitti denunciati dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria sono 2.771.490, con un aumento del 7,5% rispetto al 2005. Tra le tipologie di delitti gli omicidi volontari crescono del 3,3% rispetto al 2005, le rapine del 9,4%, i furti del 5,4%, le truffe e le frodi informatiche del 20,5% e le violenze sessuali del 12,3%. I condannati per delitto (uomini nell’85,6% dei casi) sono 198.263 (-10,4% rispetto all’anno precedente); di questi il 59,2% aveva già precedenti penali. Per il 67,0% dei condannati la sentenza ha previsto la pena della reclusione mentre al rimanente 33,0% è stata comminata una multa. I minorenni condannati costituiscono l’1,4% del totale. In aumento i suicidi, pari a 3.061 nel 2006 (erano 2.892 nel 2005), nel 76,9% dei casi si tratta di maschi; anche per quanto riguarda i tentativi di suicidio la componente maschile registra una leggera prevalenza (53,4%) confermando la tendenza degli anni più recenti.
Istruzione Sono 8.938.005 gli studenti iscritti all’anno scolastico 2006/2007, 28.898 in più rispetto a quello precedente, a conferma del trend positivo avviato nel biennio 2000/2001. Il tasso di scolarità si attesta ormai da qualche anno intorno al cento per cento per la scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, mentre è in continuo aumento quello della secondaria di secondo grado, passato dall’89,8% del 2001/2002 al 92,5% del 2006/2007. L’aumento della scolarizzazione ha prodotto, nel corso degli anni, un costante innalzamento del livello di istruzione della popolazione italiana; la quota di persone con qualifica o diploma di scuola secondaria superiore si attesta al 32,4%, mentre il 10,2% possiede un titolo di studio universitario. I giovani iscritti per la prima volta all’università nell’anno accademico 2006/2007 sono poco più di 308.000, circa 16.000 in meno rispetto all’anno precedente (-5,0%), confermando una fase di flessione delle immatricolazioni rilevata a partire dal 2004/2005; in controtendenza le immatricolazioni ai corsi triennali dei gruppi chimico-farmaceutico (+5,2%) e ingegneria (+4,7%). Nel complesso la popolazione universitaria è composta da 1.809.186 studenti, con una mobilità territoriale piuttosto elevata: uno studente su cinque studia in una regione diversa da quella di residenza. La partecipazione agli studi universitari risulta particolarmente elevata in Molise, Abruzzo, Basilicata e Lazio, regioni in cui per 100 residenti di 19-25 anni, più di uno su due è iscritto a un corso accademico, spesso fuori sede. Le donne sono più propense degli uomini a proseguire gli studi oltre la scuola secondaria (le diplomate che si iscrivono a un corso universitario sono circa 71 su 100, i diplomati circa 61), ma anche a portare a termine il percorso accademico (le laureate sono circa 24 ogni 100 venticinquenni contro i 17 laureati ogni 100 maschi della stessa età). Le migliori opportunità lavorative si presentano ai laureati provenienti dai corsi lunghi dei gruppi ingegneria (81,3% svolge un lavoro continuativo iniziato dopo il conseguimento della laurea), chimico-farmaceutico (73,7%) ed economico-statistico (65,7%). Le laureate nei corsi lunghi incontrano più difficoltà dei loro colleghi maschi nel trovare lavoro; per i laureati triennali, invece, non si rilevano differenze significative tra i due sessi. Al Nord lavorano continuativamente il 66,3% dei laureati nei percorsi lunghi e il 54,9% nei corsi triennali; seguono i laureati del Centro (rispettivamente con il 53,6% e il 45,9%) e quelli del Mezzogiorno (con il 43,4% e il 34,7%).
Attività culturali e sociali varie Oltre 34 milioni e 439.000 persone, hanno visitato, nel 2007, i 400 luoghi di antichità e arte (di cui 197 musei e gallerie e 203 monumenti e aree archeologiche) presenti nel nostro Paese, con una leggera contrazione (-0,1%) rispetto all’anno precedente. Nel 2006 sono stati pubblicati 61.440 libri (+2,8% nel confronto con l’anno precedente), per una tiratura complessiva di oltre 268 milioni di copie. Nel 2008 il 65,2% della popolazione di sei anni e oltre ha fruito di almeno uno spettacolo o intrattenimento fuori casa. Il cinema si conferma in cima alle preferenze: una persona su due (di più di sei anni) è andata almeno una volta a vedere un film in sala. Nella graduatoria seguono le visite a musei e mostre (28,5%), gli spettacoli sportivi (26,8%), la frequentazione di discoteche e balere (22,7%), le visite a siti archeologici e monumenti (21,4%), il teatro (20,7%), gli altri concerti di musica (19,9%) e, all’ultimo posto, i concerti di musica classica che interessano appena il 9,9% della popolazione. Il teatro è l’unica attività fuori casa, fra quelle considerate, in cui la partecipazione femminile è maggi
ore rispetto a quella maschile (22,5% delle donne contro il 18,7% degli uomini). Guardare la televisione è un’abitudine consolidata per il 94,3% della popolazione di 3 anni e più, mentre il 57,7% ascolta la radio tutti i giorni. Meno diffusa è l’abitudine alla lettura di giornali e libri: legge un quotidiano almeno una volta a settimana il 56,6% delle persone di 6 anni e più (erano il 58,8% l’anno precedente) mentre il 44,0% dedica parte del proprio tempo libero alla lettura di libri. Sempre nel 2008, il 44,9% della popolazione di 3 anni e oltre dichiara di utilizzare il personal computer e il 40,2% si collega ad Internet. L’uso del pc coinvolge soprattutto i giovani e tocca il livello massimo nella fascia di età tra i 15 e i 19 anni (oltre l’80%); con il crescere dell’età diminuisce l’uso e nella fascia 65-74 anni la percentuale scende al 9,1%, raggiungendo l’1,9% per i 75 anni e oltre. A livello territoriale, permane uno squilibrio nell’uso del pc (Nord e Centro rispettivamente 49,5% e 46,9%, Mezzogiorno 37,7%) e di Internet (Nord e Centro rispettivamente 45,0% e 42,9%, Mezzogiorno 32,6%).
Lavoro Nel 2007 gli occupati aumentano di 234.000 unità, arrivando a 23.222.000 (+1% rispetto all’anno precedente). Dalla rilevazione continua sulle forze di lavoro emerge inoltre che il numero delle persone in cerca di occupazione è sceso a 1.506.000, 167.000 in meno rispetto al 2006 (-10%); il tasso di disoccupazione si attesta dunque al 6,1% dal 6,8% del 2006. Sia il numero degli occupati sia quello dei disoccupati appaiono al livello migliore dalla fine del 1992, quando è iniziata la nuova serie della rilevazione. Come nel 2006, anche nel 2007 la componente straniera ha contribuito in maniera rilevante all’aumento della occupazione complessiva: circa i due terzi di tale aumento riguarda i cittadini stranieri (+154.000), di conseguenza la quota di lavoratori stranieri sale dal 5,9% del 2006 al 6,5%. La crescita dell’occupazione coinvolge entrambi i sessi, ma è la componente femminile a far registrare in percentuale la crescita maggiore (+1,3% contro +0,8% dei maschi). Il tasso di occupazione continua a salire, giunge al 58,7% dal 58,4% del 2006, pur restando ben al di sotto del dato medio dell’Ue (65,4%); salgono i tassi di occupazione sia maschile (dal 70,5% al 70,7%) sia femminile (dal 46,3% al 46,6%). Sul piano settoriale, il numero degli occupati scende nell’agricoltura (-5,9%, pari a -58.000 unità), mentre aumenta leggermente nell’industria in senso stretto (+0,4%, pari a +22.000 unità). In crescita, seppure meno rapidamente rispetto al 2006, l’occupazione nel terziario (+1,4%, pari a 215.000 unità), invece nel settore delle costruzioni, dopo sette anni consecutivi di aumento e la battuta di arresto del 2006, si registra di nuovo una dinamica positiva pari a +2,9%. Sotto il profilo territoriale, emerge una crescita nel Centro-nord e una sostanziale stabilità nel Mezzogiorno. Nel Nord gli occupati crescono dell’1% (+118.000 unità) e nel Centro salgono del 2,5% (+116.000 unità).
Famiglie e aspetti sociali vari Nel 2008 la percentuale di persone di 14 anni e più che si dichiarano molto o abbastanza soddisfatte della propria situazione economica scende al 43,7% dal 51,2% del 2007 e dal 64,1% del 2001; la quota più alta di soddisfatti si registra al Nord (51,8%), mentre si attesta al 43,1% nel Centro e si riduce al 33,4% nel Mezzogiorno. Le persone per niente o poco soddisfatte sono invece il 53,7% (33,1% nel 2001); la quota più alta di insoddisfatti si trova al Sud (64,2%), meno rilevante quelle del Nord (45,9%) e del Centro (53,5%). Nello stesso anno l’80,1% della popolazione di 14 anni e più esprime un giudizio positivo sul proprio stato di salute (dato di poco superiore al 2006); il 12,9% è poco soddisfatto, mentre le persone del tutto insoddisfatte sono il 4,4%. Nel Nord il livello di soddisfazione si attesta all’82,8%, nel Mezzogiorno scende al 77,3%. Nel 2008 la percentuale di famiglie che denunciano difficoltà di accesso ai servizi di pubblica utilità costituisce una realtà rilevante. Le situazioni di maggiore difficoltà di accesso continuano a manifestarsi relativamente al pronto soccorso (55,7%), alle forze dell’ordine (40,6%), agli uffici comunali (35,3%), ai supermercati (31,5%) e agli uffici postali (27,9%). Permangono differenze a livello territoriale; infatti, le famiglie meridionali hanno più problemi nell’accesso ai servizi, ma il divario diventa più contenuto nel caso dei negozi di generi alimentari e dei supermercati. Nel 2008 la partecipazione, in termini di impegno, dei cittadini alle attività sociali e di volontariato risulta stabile rispetto al 2007. Nel 2008 il 9,0 % delle persone di 14 anni e più partecipa alle attività gratuite di volontariato, l’8,8% a riunioni di associazioni culturali, mentre il 15,8% si limita a versare soldi a un’associazione. Il Nord è più impegnato, infatti le attività di volontariato nell’area coinvolgono l’11,9% dei cittadini di 14 e più anni, tale quota scende all’7,8% nel Centro e al 5,8% nel Sud. Sempre nel 2007, rimane sostanzialmente stabile la quota di persone di 3 anni e più che dichiara di praticare uno sport con continuità (21,6%) o saltuariamente (9,7%). La percentuale di sedentari, cioè coloro che non si dedicano a uno sport né a un’attività fisica nel tempo libero, è pari a 40,2%, con le donne più numerose degli uomini (44,9% contro 35,3%). Nel 2007, ben il 73,7% delle famiglie è proprietaria dell’abitazione in cui vive, mentre quelle che pagano un canone d’affitto rappresentano il 17,2% del totale. Tra le famiglie in affitto, la maggior parte vive in abitazioni di proprietà di un privato (70,8%, nel 2006 erano il 70,6%), mentre le famiglie che vivono in case di proprietà di enti pubblici sono il 22,3% contro il 20,5% del 2006. L’equo canone conferma il trend decrescente, le famiglie che hanno questo tipo di contratto passano dal 23,8% del 2006 al 21,8% del 2007, ma diminuiscono anche quelle con un tipo di contratto patti in deroga che passano dal 24,3% del 2006 al 23,5%.
Trasporti e telecomunicazioni Negli ultimi dieci anni la mobilità di passeggeri e merci è cresciuta in misura maggiore di quanto non sia accaduto in passato, favorita dal progresso tecnologico e da nuovi comportamenti sociali. Nel 2007 la quota prevalente del trasporto continua ad indirizzarsi verso il traffico su strada: sono oltre 40 milioni gli autoveicoli circolanti nel 2007, e fra questi si contano più di 35 milioni di autovetture. Non a caso, tra i mezzi di trasporto privato il più utilizzato, nel 2008, è ancora l’automobile, sia per gli occupati, come conducenti, che la usano negli spostamenti per recarsi al lavoro (69,7%) sia per gli studenti, come passeggero (36,3%). Sempre nel 2008 poco meno di un quarto della popolazione di 14 anni e oltre usa i mezzi pubblici urbani, il 16,8% quelli extra-urbani mentre il 29,4% ha preso almeno una volta il treno. Rispetto alla qualità del servizio erogato, in particolare per quel che riguarda la frequenza delle corse, la puntualità e il posto a sedere, gli utenti dei pullman extra-urbani sono più soddisfatti di coloro che utilizzano autobus e treno. La punt
ualità dei treni è ancora l’aspetto che incontra la percentuale di soddisfazione più bassa fra gli utenti, appena il 42,6%, in diminuzione rispetto al 2007 (44,2%). A fine 2006 si contano 7,4 milioni di abbonati alla telefonia fissa digitale xDSL. Le linee mobili attive sono 81,6 milioni (erano 71,9 milioni all’inizio del 2006) mentre le carte telefoniche prepagate attive ammontano a 73,7 milioni (erano 65,3 milioni ad inizio 2006). Le utenze Internet sono circa 11,6 milioni; la maggiore diffusione si registra nell’Italia nordoccidentale (3,5 milioni) e nel Mezzogiorno (3,2 milioni).
Credito e assicurazione Alla fine del 2007, le attività finanziarie dei residenti italiani risultano pari a 2.338.975 milioni di euro con un incremento di 171.883 milioni rispetto al 2006 (+7,9%). L’ammontare dei depositi bancari ha raggiunto i 749.430 milioni di euro con un aumento di 21.766 milioni, il 2,9% in più sull’anno precedente. Dei 749.430 milioni di depositi bancari il 65,8% appartiene a famiglie e istituzioni sociali e private, il 21,7% a società non finanziarie, il 4,0% ad amministrazioni pubbliche e l’8,6% a società finanziarie. Gli sportelli bancari sono 33.225, pari a 5,5 ogni 10.000 abitanti. La situazione si presenta differenziata a livello territoriale: in Trentino-Alto Adige se ne contano 9,5 ogni 10.000 abitanti (10,5 a Trento e 8,5 a Bolzano), mentre in Calabria appena 2,7. Quanto al settore assicurativo, nel corso del 2006 i risultati delle gestioni danni e vita sono pari rispettivamente a 2.808 milioni e 1.995 milioni di euro. Il risultato dei due conti determina un utile d’esercizio di 5.161 milioni di euro. Il peso dell’attività del settore vita sul totale dei premi raccolti continua ad attestarsi su livelli superiori a quello del ramo danni (rispettivamente, 65,1% e 34,9%). Le uscite per sinistri, in riferimento al portafoglio italiano, sono ammontate nel 2006 a 80.415 milioni, di questi 57.301 milioni hanno interessato l’assicurazione vita e capitalizzazione e 23.114 milioni l’assicurazione contro i danni.
Industria Nel 2007 l’attività industriale registra una crescita dello 0,5% rispetto all’anno precedente (+2,0% nel 2006). I migliori risultati, a livello settoriale, sono quelli delle industrie tessili e dell’abbigliamento (+4,4%) e della fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici (+3,4%), mentre i peggiori si rilevano nelle industrie della concia e delle calzature (-5,8%) e nella fabbricazione di macchine elettriche e apparecchiature elettriche e ottiche (-6%). Di poco in rosso l’energia elettrica e gas (-0,2%). Quanto ai consumi di energia elettrica, nel 2006 sono stati consumati 317.533 milioni di kWh. La produzione lorda nazionale nello stesso anno è pari a 314.090 milioni di kWh; così ripartita: termica tradizionale 262.164,7 milioni (83,5% del totale), idrica 43.424,9 milioni (13,8%), geotermica 5.527,4 milioni (1,7%), eolica 2.970,7 milioni (0,9%), fotovoltaica 2,3 milioni (0,1%). La produzione lorda di energia elettrica degli impianti da fonti rinnovabili, sempre nel 2006, è pari a 52.239,4 milioni di kWh dai 55.087,6 milioni del 2001