di Franco Ruju
Da anni vado per circoli scambiando alla pari cultura sarda verace con amicizia fraterna. Nel mentre mi onoro di aver conquistato sul campo la stima di infiniti fratelli diasporati nei confronti dei quali, ogni volta che vengo invitato a parlare di feste e tradizioni popolari, avverto non poco disagio per il solo fatto di aver avuto la fortuna dell’essermi realizzato fra le mura domestiche e non in "terr’anzena". Ogni volta che ci vado osservo con tanta discrezione e pari ammirazione quello che mi circonda e avverto che le premure che ovunque mi vengono riservate vanno ben oltre le norme della buona creanza. Azzardo, pertanto, considerazioni che possono sembrare banali, e banali non sono: il solo ricevere un ospite, tanto per fare un esempio, l’organizzarle la venuta, comporta una disponibilità di persone e un’organizzazione non indifferenti, per cui reputo che mandare avanti un circolo, considerando l’arrivo di un ospite uno dei disagi minori, non sia per niente cosa di poco conto. Quando mi presento nei circoli vedo con piacere che molti dei presenti sono continentali, gente che gli iscritti che vado ad incontrare ha saputo sapientemente coinvolgere ed interessare. Onore al merito. Dal loro numero e dalla loro attenzione deduco che anche loro, "sos istranzos" avvertono l’esigenza di un’altra Sardegna, più genuina, diversa da quella ormai omologata esclusivamente costiera. Quella che non vedo fra gli astanti, purtroppo, e me ne dolgo con vero rammarico, è la presenza dei giovani, e si che ce ne sono oltre Tirreno di giovani lavoratori e studenti nostrani! Pertanto, al mio cospetto, nella stragrande maggioranza dei casi, solo gente attempata. I circoli che hanno la fortuna di annoverare qualche giovane fra gli iscritti bene farebbero a non farlo scappare. Quale potrebbe essere il rimedio? Partendo dal mio personalissimo modo di vedere e inquadrare le cose per poterle affrontare, la soluzione è una soltanto: snellire le procedure e condividere gli entusiasmi giovanili. Un giovane ha gusti ed esigenze diverse, non solo, ma di tempo da perdere ritiene di non averne abbastanza, e purtroppo ha ragione. Logico quindi attivarsi perché la vita di un circolo sia incentrata principalmente su attività ricreative, attività che richiedono un impegno assai limitato. Rabbrividisco pensando alle innumerevoli riunioni di cui sento parlare; agli altrettanti verbali che bisogna saper predisporre prima, durante e dopo; alla tenuta di contabilità più o meno maldestre necessarie per l’esistenza in vita di uno spaccio, che, se di soldi ce ne fossero di diversa e più legittima provenienza, non avrebbero più motivo di esistere. Certo piange il cuore pensando all’indotto che ci bazzica intorno; ma a che serve rischiare verbali e denunce se gli stessi prodotti si possono reperire nel mercato a prezzi più o meno comparabili? Ben venga, pertanto, il classico sforzo mirato di una settimana, le variopinte settimane culinarie. Bastano ed avanzano per dare ai residenti del luogo l’immagine dei sapori nostrani e per coinvolgere, in giusta misura, giovani e anziani mai sazi a dovere di sana nostalgia. I giovani potrebbero impegnarsi se l’impegno, mi si perdoni il raddoppio di parole, fosse meno gravoso. E così pure gli anziani. Perché non è forse vero che più di uno di essi si limita allo stretto necessario con la scusa di non esser capace di ricoprire incarichi più impegnativi? E il cambio, di questo passo, chi lo da a quelli che hanno tirato la carretta fino ad oggi? Mamma Regione, pertanto, bene farebbe a rivedere le cose e ad avanzare meno pretese nei confronti di chi ha già dato abbastanza. O si vuole confondere all’infinito il motivo dell’esistenza dei circoli? L’amicizia, lo spirito di gruppo è già di per sé richiamo ad una cultura assai antica, solidale, altrove scomparsa. E noi la vendiamo, voi la vendete con il vostro operare giornaliero. Un circolo fa promozione turistica, immagine in positivo, solo per il fatto di esistere. La Regione dovrebbe finanziare la loro esistenza e sopravvivenza con discreti e non assillanti controlli, e i finanziamenti dovrebbero arrivare a tempo debito in modo da consentire una oculata organizzazione delle manifestazioni da tenere nel corso dell’anno. E’ sul valore didattico delle manifestazioni che dovrebbe intervenire la Regione, non sul modo di procedere della burocrazia che ci vuole per mandarle avanti. Mamma Regione dovrebbe essere meno matrigna, più prodiga di aiuti e di consigli anziché di pretese, memore soprattutto della sua decennale incapacità a trattenere ed allevare tutti quei figli che per respirare dignità sono dovuti scappare altrove. Ciò nonostante si ha la faccia tosta di continuare a parlare di rinascita. Che dia contributi, il tanto che serve, per allestire un ambiente ospitale e consentirne un dignitoso andare avanti. Il resto lo faranno i sardi, quelli sparsi nel mondo. Visto che alla loro sopravvivenza nessuno provvede se non loro stessi, non credo sia opportuno pretendere che debbano diventare lacchè di una struttura capace di investire miliardi in opere che ancora dimostrano di non dare frutto. Diventi fiscale, Mamma Regione, nei confronti delle sue tante incompiute o fallimentari iniziative che avrebbero dovuto sovvertire i destini delle sue genti, poi, forse, si potrà parlare di altro. Un caloroso abbraccio agli unici ambasciatori di una Sardegna che non teme confronti.
Franco Stefano Ruju.
Documentarista fotografico di Usi, Costumi, Feste e Tradizioni Popolari della Sardegna