di Massimiliano Perlato
Miliardi di sottili, verdi foglie nastriformi ondeggiano all’unisono mosse dalle correnti e dall’andirivieni delle onde: da 40 metri di profondità fino alla superficie, ampi tratti dei fondali marini che circondano la Sardegna, sono coperti da fitte praterie. Si, praterie come quelle che stanno fuori dell’acqua, formate dalla posidonia, una pianta che cresce sott’acqua e che come quelle terrestri produce fiori e frutti. Questa strana pianta, endemica del Mediterraneo, ha un ruolo di straordinaria importanza per la qualità degli ambienti sommersi e per i litorali sabbiosi dell’isola. Nell’intrico fittissimo delle radici, dei fusti e delle foglie non solo si produce un’enorme quantità di ossigeno, ma si rifugiano, si cibano, si riproducono miliardi di organismi vegetali ed animali. La presenza diffusa della posidonia è denunciata anche dai grandi ammassi di foglie che si accumulano sulle spiagge alla fine dell’inverno: si tratta di un evento assolutamente naturale, un indicatore di buona salute. Anche perché proprio la presenza della prateria sul fondale e l’accumulo dei detriti sulle spiagge riducono o addirittura annullano i fenomeni di erosione sui litorali sabbiosi. Eppure sia le grandi distese sommerse sia gli ammassi di foglie morte non sono ben visti; sono interpretati le prime come inutili distese di alghe prive di vita, gli altri come scomodi impedimenti all’uso delle spiagge. Niente di più sbagliato: se il mare che circonda la Sardegna è così trasparente, se alla fine dell’estate si leggono agevolmente fondali profondi più di 40 metri, lo si deve anche all’enorme polmone verde delle praterie di posidonia che circonda l’isola. E con le verdi foglie della posidonia il mare sardo racchiude un’infinità di altri gioielli da scoprire: il corallo rosso, le vistose gorgonie rosse e gialle, le grandi cernie, che stanno divenendo sempre più numerose, le aragoste, sempre più rare invece, ed un’infinità di organismi grandi e piccoli dai colori insospettabili e dalle forme straordinarie. Le rocce fin dai primi metri di profondità sono popolate da nuvole di castagnole, da coloratissime donzelle, da piccoli saraghi fasciati e da tordi indolenti: saraghi maggiori e orate sono meno facili da osservare, presenze elusive, sensibili al disturbo dell’uomo. Al largo e a maggiori profondità nuotano i grandi dentici e fanno le loro incursioni branchi di ricciole. Anche le nude distese di sabbia sott’acqua sono tutt’altro che deserte: di giorno e di notte, gli organismi più disparati sono costantemente in cerca di cibo. C’è chi con la sabbia si confonde come sogliole e rombi, i virtuosi del mimetismo che adeguano il loro colore alla natura del fondo e chi nel sedimento ci si infossa come le tracine, il pesce lucertola e molte specie di granchi. Insieme al complicato intreccio dei paesaggi sommersi e degli organismi che li popolano, sott’acqua giacciono straordinarie testimonianze antiche e moderne di chi ha solcato questi mari. Ancore antiche, di pietra, di piombo e di ferro, anfore dalle mille forme, interi carichi e scafi di relitti raccontano, già dai primi metri di profondità, l’intensità dei traffici marinari che hanno interessato l’isola fin dall’età nuragica. Così dal mare di Porto Rotondo è tornata alla luce un’ancora litica, di granito sardo, decorato da fregi orizzontali che risale ad almeno 3500 anni fa. Ma le scoperte di questi manufatti, alcuni dal peso enorme, sono sempre più frequenti in tutto il perimetro dell’isola, smentendo clamorosamente il luogo comune di un popolo sardo relegato alle montagne, senza rapporti con il mare ed incapace di navigare. Non a caso l’ancora di Porto Rotondo giaceva sott’acqua a pochi metri di distanza dai resti del nuraghe che dominava il promontorio. Ha fatto scalpore tempo fa la scoperta della nave di Mal di Ventre, di fronte alla penisola del Sinis, per il suo carico di lingotti di piombo di epoca romana: ancora più prezioso e particolare il recupero di un carico di lingotti ed altri manufatti in piombo decorati con preziosi bassorilievi, avvenuto di recente nella costa settentrionale. Se gli studi confermeranno le prime valutazioni, si tratta di un carico personale dell’imperatore Augusto proveniente dai possedimenti d’oltralpe. Una sequenza diffusa ed ininterrotta di testimonianze che porta fino ai giorni nostri: decine di relitti moderni infatti punteggiano a varie profondità i fondali della Sardegna, inanimati simulacri di tragedie di pace e di guerra. Ma la maggior parte di essi racconta di un anno cruciale, il 1943, nel quale l’isola fu al centro dello scontro bellico. Lo raccontano i relitti del golfo di Cagliari, di Capo Ferrato, del Golfo di Orosei e di Tavolara: molti di essi furono affondati dal medesimo sottomarino inglese che pattugliava la costa orientale per fermare i convogli di vettovagliamenti diretti verso l’Africa. Tra natura e storia il mistero dei fondali marini si dirada, risalendo verso il litorale e scoprendo il fascino della costa. Sono oltre 1800 chilometri di rocce e spiagge: intorno all’isola predominano le coste rocciose, che solo a tratti si aprono e si addolciscono sulle spiagge. Minuscole mezze lune bianche in Gallura, incastonate tra le forme morbide e mutevoli del granito, aperte su specchi d’acqua dove la sequenza dal turchese al blu cupo colpisce sempre per la sua bellezza. Scendendo verso sud le spiagge si allungano e raccordano tra loro promontori di roccia lontani: è così fino ad Orosei dove il paesaggio cambia ancora. Si apre infatti il grande anfiteatro calcareo del Supramonte: qui le spiagge diventano rare e minuscole, piccoli gioielli, al termine delle codule che tagliano l’alto bastione roccioso, ultimi ricettacoli, un tempo non lontano, di uno dei miti della natura sarda, l’ormai estinta foca monaca. Continua così andando verso sud questo alternarsi tra roccia e sabbia fino alle candide spiagge di Villasimius e a quelle del cagliaritano, terminali della grande pianura campidanese. Poi risalendo verso nord dopo le ardue coste rocciose di Sant’Antioco, di San Pietro, di Nebida e Masua, il deserto in miniatura della foce del rio Piscinas prepara alle spiagge del Sinis. Non sono normali distese di sabbia: a Is Arutas, a Mari Ermi la spiaggia è formata da miliardi di piccoli granuli di quarzite, tutti del medesimo calibro, come se fossero stati selezionati ad uno ad uno. Gemme preziose in una zona ancora in gran parte trascurata dal turismo estivo. Salendo ancora a nord bisogna doppiare l’Asinara per ritrovare grandi spiagge: dalla Pelosa di Stintino a Platamona, a Castelsardo e, fin quasi a Capo Testa, al litorale di Rena Maiore.