Marirosa voleva sposarsi. E voleva sposarsi con un uomo buono, che le volesse bene per davvero. Lei, ragazza di campagna, aveva una testa piccola di dimensioni ma grande di pensieri. Non le importava che fosse bello, alto e ricco. Le bastava che avesse un cuore grande quanto il suo e insieme avrebbero formato una famiglia. Voleva un maschietto e una femminuccia , come sua nonna Clorinda. I pretendenti erano tanti, troppi. Ma nessuno faceva al caso suo: non poteva e non voleva innamorarsi di un conto corrente, di un’azienda agraria modernizzata. Come il Ramon di Sergio Leone mirava dritto al cuore. Un giorno, alla fonte, incontrò uno di quelli “tostati” al sole, abituati a lavorare e non lamentarsi mai. Antonio non era bello, ma aveva un sorriso di quelli che bucano le nuvole e fanno risplendere il sole anche nelle giornate più buie. Decisero di frequentarsi, senza fare previsioni, o meglio, le previsioni le aveva già fatte Marirosa , ma non aveva il coraggio di dirglielo, nonostante l’ardore dei vent’anni le facesse divampare il petto. Poi una di quelle notti insonni, passate a fare il civraxiu , decise che l’indomani l’avrebbe presentato ai suoi. Furono nozze senza sfarzo e senza sforzo: non un matrimonio combinato. Arrivò Genoveffa e dopo appena un anno Anselmo. Antonio lavorava e anche molto, ma i soldi mica bastavano per tutto. Un giorno, preso dalla disperazione, cercò di togliersi la vita. Voleva affogarsi in un bicchiere. O meglio, in una serie sterminata di bicchieri di malvasia che la metà sarebbe bastata a castrare un toro. Superò il coma etilico grazie a una tempestiva iniezione de su potecariu, il farmacista medico per necessità. Marirosa , passò un’altra notte insonne, non a infornare pane ma a pensare come tirar su la famiglia. Si ricordò che sua nonna le aveva insegnato s ‘atti de su cosingiu ( l’arte del cucito). Vendette su burriccheddu (l’asinello) una scrofa gravida e un servizio di bicchieri ricevuto per le nozze. Comprò una macchina per cucire con la quale fece i vestiti prima per figli e marito, poi per i parenti stretti, quindi per quelli un po’ più “larghi”. Fu la volta del vicinato. Tutto il paese andava da Marirosa: cropettus,( gilet) crazois(calzoni), brusettas (camicie femminili). La voce si sparse, e arrivarono commesse da tutto il circondario. Riusciva a cucire anche diciotto ore al giorno. Divenne ricca, così tanto da sfamare non solo la sua famiglia, ma anche quelle dei suoi tre fratelli. Quando, per la terza volta in vita sua, passò una notte insonne, le venne in mente una riflessione. La confidò l’indomani alla figlia Genoveffa. Doveva essere un segreto. E tale rimase sino al suo ultimo viaggio. Le sarebbe piaciuto che per il giorno, tutto il paese andasse a salutarla vestita coi suoi vestiti e con un sorriso di quelli che bucano le nuvole. Proprio come quello che Antonio indossò per lei, alla fonte.
LA SARTINA: I SOGNI A COLORI DI MARIROSA E QUEL SORRISO CHE BUCAVA LE NUVOLE
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questo racconto mi riporta indietro di tanti, tanti anni, anche se il finale è diverso!