CARMINA TUPPONI, L’ARTE DEL RICAMO: L’ARTISTA DI OLIENA RACCONTA LA VITA E IL LAVORO SINO ALL’APERTURA DEL SUO ATELIER

Carmina Tupponi

Passeggiando per la piazza di Santu Leo ci si imbatte nell’atelier Su Recramu di Carmina Tupponi, la 77enne ricamatrice olianese che l’amministrazione comunale e lo scultore Roberto Ziranu, in occasione della mostra “I dodici Graffi”, il 21 aprile scorso hanno voluto omaggiare insieme a Dolores Turchi, Pasqua Salis e Maria Luisa Congiu “per aver contribuito a dare lustro al paese di Oliena”.

Ultima di sei figli, dopo le elementari non ha potuto proseguire gli studi per ragioni economiche. A 14 anni le venne imposto di vestire sa vardetta, il grembiule e il fazzoletto tradizionale, tuttavia questo non l’aveva dissuasa dal partecipare ai giochi comunitari de sa carrela di Sant’Idogli dove era cresciuta. A 17 ha cominciato a lavorare come cameriera a Su Gologone e a 24 ha sposato Giovanni Carrone operaio forestale. Era stata lei a ricamare su rasu e sa vranda del suo costume da sposa, altre ricamatrici avevano preparato sa tunica, sa hamisa e sos frunimentos, mentre su muncadore l’aveva ricevuto in dono dalla suocera come da usanza.

“Avevo nove anni – ricorda -, quando a cia Peppa Sale che realizzava le camicie maschili interamente a mano, chiesi di disegnarmi qualcosa perché volevo ricamare come tante. Su un tessuto in cotone perlé, con una matita aveva tracciato per me una pesca con due foglie e così ho imparato su puntu ‘e travu (punto festone)”.

Ricamare è stata sempre la sua grande passione, attratta in particolar modo dai paramenti sacri e liturgici. Fin da piccola si intrufolava a casa di Antonangela Ghisu una bravissima ricamatrice scomparsa di recente che dopo il matrimonio si era stabilita a Roma dove lavorava al ricamo in una sartoria a Santa Maria degli Angeli. Rientrata in paese era rimasta in contatto con la suora belga realizzando lavori sartoriali sempre per conto del Vaticano.  

“E’ stata lei la mia maestra – racconta -, mi ha preso per mano fino a farmi ricamare una stola e degli arredi sacri. Alla morte di Giovanni XXIII, Antonangela aveva portato dalla Capitale tessuti e modelli per preparare l’arredo di Paolo VI. Su di un lungo telaio stendeva la stoffa, sul nero e sul viola riportava il disegno col borotalco, sul bianco con la polverina di carbone. Tutto questo mi affascinava. Il ricamo – spiega la donna -, nasce da un disegno che col filo va a tradursi in opera d’arte grazie alla maestria di mani esperte. Per apprendere questo mestiere di per sé poco redditizio, occorre essere animati da una forte passione, spero tanto che nel mio piccolo possa contribuire a far sì che l’arte antica del ricamo costituisca un legame indissolubile fra passato e presente affinché la tecnologia non prevalga sulla creatività”.

Carmina ripercorre la sua vita lavorativa quando ricamava fazzoletti per conto di Su Gologone, corpetti da sposa per una boutique di Perugia e lo scialle bianco in filo d’oro per Audrey Hepburn. Nel 2000 ha avviato il suo primo laboratorio nella casa coniugale di Santu Leo con due allieve e, dopo una breve parentesi in piazza San Lussorio, nel 2010 ha allestito quello attuale, un atelier a conduzione tutta familiare. Con la piccola Giulia che si aggira fra i telai, rapita dai colori e dallo sfavillio dell’oro e dell’argento dei filati, possiamo dire che già si affaccia la terza generazione delle ricamatrici targate Carmina Tupponi.

Ripensa a quanto di sacro ha ricamato negli anni: la tovaglia per l’altare di santa Rita a Roccaporena (Cascia), quella per la Madonna del Buon Pastore di Nuoro, il manto della Madonna dei Martiri di Fonni, delle Grazie di Orosei e del Rimedio. Suo il rammendo del vestitino di velluto datato un secolo del Gesù Bambino di Praga, un altro realizzato ex novo sempre in velluto, entrambi per Avezzano (AQ) e quello ricamato in seta per il Bambinello di Praga custodito nella parrocchia di Oliena. Per il suo paese ha realizzato anche il baldacchino del Corpus Domine, il nuovo manto della Madonna de s’Incontru e sa pandela (lo stendardo) del Beato Giovanni Antonio Solinas.  

Ma ciò che ricorda con maggiore emozione è il rammendo della pianeta di San Salvatore da Horta. “Abbiamo saputo che apparteneva al Santo solo alla consegna – confessa -, quando il frate ci ha esortato di avere cura di ogni piccolo frammento perché si trattava del paramento liturgico indossato all’ordinazione. Averlo tenuto fra le mani è stato per noi fonte di rinnovata devozione oltre che di orgoglio”.

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Un commento

  1. L’artista del ricamo,Carmina Tupponi, magistralmente raccontata da Lucia Becchere.

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