TOTTUS IN PARI 1000: MIGLIAIA DI PENNE CHE SCRIVONO PER LA BELLEZZA DELLA TERRA DEI NURAGHI

Mettersi a disquisire cosa voglia dire scrivere per “Tottus in Pari” è come cercare di acchiappare una lucertola che si sta rintanando nel buco di un muretto a secco nel meriggio assolato di una campagna del medio campidano, lei che può scegliere innumerevoli anfratti, perlopiù schermati da una vegetazione già verde in primavera e ora virata al giallo paglierino delle stoppie. Per veloce che tu sia, e io da ragazzino lo ero molto, ben che ti vada rimarrai con mezza coda in mano, che si contorce ancora mentre lei, la lucertola, (cabiscetta, per i guspinesi come me) scommetto che nel buio del suo buco salvifico si è girata e ti fa le boccacce, con quella linguetta saettante che sa spingere in fuori come fosse una molla con cui ingoia a migliaia ragni e moscerini. La coda persa poi le rinasce miracolosamente. Tu scrivi un pezzo per “Tottus” e credi di poterlo inseguire pei gangli della rete, di seguirne una traccia, ma quello fa come una lucertola d’agosto, cerca di destare l’interesse del lettore medio del sito tramite il titolo (che sceglie Massimiliano re), poi certo l’iconografia della foto ci mette del suo, ma infine la magia delle parole e delle storie che vanno a veicolare s’impone sopra tutto. E il pezzo viaggia di suo, come adagiato su di un tappeto volante, di quelli che trasportava Aladino in virtù di quella lampada magica che aveva strofinato. Il tappeto frutto d’innumerevoli nodi dei fili colorati d’ogni gamma di cui è composta la scala cromatica, è “Tottus in Pari”, costruitosi in questi anni, di servizi scritti su le più disparate situazioni in cui si dispiegano le storie dei sardi d’oggi e di ieri. Provenienti dalle penne più varie e dalle persone più diverse che ognuno possa immaginare. E perché il tutto possa combinarsi a formare una trama che abbia in sé l’ambizione di durare e crescere nell’immaginario di chi la trova “in rete”, molto del merito è di chi sceglie trama e colori per il tappeto, molto di quel desiderio dei sardi de “su disterru” che non si rassegneranno mai a omologarsi tra le genti in cui occasionalmente sono venuti a trovarsi, malgrado loro, che se la giustizia fosse regina in questa terra mai avrebbero abbandonato l’Isola. La terra dei Nuraghi. E anche quelli che volontariamente lo hanno fatto, magari per scoprire quanto diversamente meraviglioso sa essere l’homo sapiens nel suo interagire, sempre però sono curiosi di sapere cosa intanto facciano gli altri fratelli di Sardegna, nell’isola o in giro per il mondo come loro. O cosa combinino quei circoli in giro per l’Italia, ma non solo, che si rifiutano di sparire con la modernità, ma anzi vogliono rilanciarsi per aggregare al solito i transfughi che incautamente si sono incamminati su strade che portano allo scolorirsi delle identità. Insomma “Tottus” se ancora non ci fosse toccherebbe inventarlo, ma l’imprimatur se l’è già preso Max, con tutto il lavoraccio che ne segue, che poiché il successo si nutre di numeri sempre più grandi, manco fosse Intelligenza Artificiale, moltiplica il lavoro inesorabilmente in maniera esponenziale, tipo quel porre un chicco di riso sulla prima casella di una scacchiera, due sulla seconda, quattro sulla terza e così via, sino ai dieci milioni di trilioni che occorrono per completare l’ultima, dice Google una quantità di riso inimmaginabile, che nemmeno oggi si riuscirebbe a produrre in tutto il mondo in un anno. Per continuare a mettere riso che raddoppia sulle caselle occorre molto amore per quello che si fa (e si scrive) un pizzico d’incoscienza, determinazione alla sarda. Qui fortunatamente lo si fa insieme, tottus in pari, ognuno porta il suo chicco, magari di varietà diversa (pare che al mondo ne esistano più di centomila) ma importantissimo di suo perché tutto si tenga senza che la tela continui a formarsi senza strappi, o che quando inevitabilmente diventi lisa si possa rammendare. Cosa che forse è già accaduta e riaccadrà. Di mio la meraviglia di quanto il tappeto volante faccia viaggiare per lo mondo tutto le cose che vado scrivendo. La gratitudine che debbo al mezzo, che diversamente scriverei per parenti ed amici. E qui mi capita di dovermi confrontare col mondo. E quindi la responsabilità di non andare per rane quando scrivo di persone, siano essi artisti di vaglia o gente comune, che magari coltiva il suo campicello come faceva il nonno, riesumando un tipo di grano che non si coltivava più da anni, ma che sembra essere stato scelto con criterio di saggezza particolare, per la fragranza con cui vengono fatti nascere da esso ravioli o le frittelle per carnevale. E leggere i libri dei Niffoi, dei Fois o di Michela Murgia per raccontare ai sardi la bellezza che racchiudono. Correre dietro alle visioni di Antonio Marras e di cento altri artisti come lui, alle note della tromba di Paolo Fresu, dei cantanti a tenore del capo di sopra, delle launeddas del capo di sotto. Assaggiare uno per uno i duecentoventitrè tipi di vermentino sardo per poter descriverne i sapori più tenui e delicati. Insomma l’idea è di scrivere qualcosa che si avvicini alla realtà che si chiama Sardegna, della lingua che parlavano e forse ancora parlano i sardi, delle culture politiche che in essa si sono sviluppate nel tempo. Della storia che è scritta sui testi universitari. E di quella che forse scriveranno i sardi stanchi d’essere anche italiani. Che hanno quel benedetto vizio di installare poligoni militari sulle isole poco abitate. Seguendo i dettami di alleanze atlantiche oramai datate. Insomma corro dietro a quella idea di Sardegna che mi sfugge sempre di più, e fortuna che un po’ mi scorre mischiata al sangue e quindi non devo fare la fatica di definirla, mi basta viverla per quello che sono. Figlio del Campidano di Cagliari, nipote di minatori. Senza “Tottus in Pari” di tutto questo che mi sorprende e mi affascina  importerebbe a ben pochi, ma “Tottus” cresce e si fa banditore di notizie per il mondo tutto, notizie di Sardegna e di sardi. Che evidentemente vogliono essere lette sempre più, io dico perché è lei, la Sardegna, ad essere terra particolare e unica, talmente ricca di sfaccettature che per raccontarla tutta di “Tottus in Pari” non basterebbero mille. Ma il tentativo io lo faccio comunque, del tutto conscio che è come: “acciappai s’anguidda po sa coa”.
 

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