‘TUTTO’ GIGI DATOME, IL GIGANTE BUONO: UNA CARRIERA MERAVIGLIOSA, L’ORGOGLIO DI ESSERE SARDO

Filippo Barbera, sul “Manifesto” di domenica 14 aprile scrive un suo pezzo a titolo: “Infrastrutture e relazioni, il talento non basta”. Il tutto riferito a quello che possiamo chiamare “il caso Sinner” e cita a proposito Herbert Simon che nel suo: “La ragione nelle vicende umane” sottolinea l’insostenibilità di una nozione come quella di “talento innato”, non perché gli esseri umani siano dalla nascita tutti egualmente dotati ma perché è solo con l’allenamento e l’apprendistato di lungo corso che il talento si può sviluppare. Asserzione questa che mi è tornata in mente ripensando all’incontro che ho avuto nell’ultimo book pride milanese con un altro “fenomeno sportivo” che ha palesato la sua maestria sin da giovanissimo, il cestista olbiese (anche se non di nascita) già capitano della nazionale di basket azzurra Gigi Datome. Che Gigi sia stato tirato su al suono di un pallone da basket non può essere messo in dubbio, il padre anche lui giocatore incallito e tifosissimo di pallacanestro, aveva rilevato, una volta trasferitosi ad Olbia (Gigi piccolissimo, anche se si fa fatica ad immaginarlo ora che svetta dai suoi due metri e tre) la “Santa Croce”, una squadra che allora navigava nelle divisioni inferiori, fondata nel 1970, e “70” fu da allora il numero che si è stampato dietro la sua maglia.  Ci giocava anche il fratello maggiore Tullio. I genitori gestivano ad Olbia un hotel “Il Gabbiano Azzurro”, dove non era infrequente imbattersi in una clientela decisamente più alta della media, tutti ospiti arrivati spesso per disputare i tornei di pallacanestro nei periodi estivi e natalizi. Fatto sta che Gigi farà il suo esordio in B2 a quindici anni (in contemporanea con gli Allievi darà una grossa mano per conquistare il suo primo scudetto). Che fosse un fuoriclasse era evidente a tutti, come fargli continuare la carriera sportiva non era così scontato. Tanto che, quando la squadra che allora dominava la pallacanestro nazionale, la Monte Paschi di Siena (lo scandalo che in seguito mise KO la Banca che la sponsorizzava era lungi da profilarsi), dimostrò un alto interesse per quel talentuoso ragazzino nato nell’87, fu la mamma a doversi “sacrificare” nel seguirlo a Siena, finché non ebbe compiuto i 18 anni. Fatto sta che Datome esordì in A1 in prima squadra nel 2003. Vi ebbe risultati alterni, del resto i suoi compagni erano tutti campioni affermati, difficile farsi strada tra loro quando il tuo fisico sta ancora cercando una sua maturazione. Finì a Roma Gigi, e in seguito si prese la soddisfazione di giocare la finale scudetto 2012-2013 (persa) con la sua ex squadra senese, ma allora era già uno dei migliori giocatori italiani, tanto che “vennero ad osservarlo” i talent-scout della NBA statunitense, quelli del “basket stellare”, dove si gioca la miglior pallacanestro del modo, e anche gli ingaggi sono cifre da capogiro.

Ma né coi “Detroit Pistons” (contratto biennale da 3,5 milioni di dollari), né poi coi “Boston Celtics”, dove pure giocò di più, ebbe modo di mettersi in evidenza, tanto che tre anni dopo è a Istambul col Fenerbahce, un’ottima stagione la sua, finale in Eurolega e vince coppa e campionato nazionale. Nella stagione successiva vince sia l’Eurolega che il campionato. Ne vincerà ancora uno con la squadra turca nel 2017/18. Tre anni dopo firma con l’Olimpia Milano, un “triennale” da 1,5 milioni a stagione, è uno dei giocatori più pagati nella serie A. Nei cinque anni in Turchia ne aveva guadagnati 8. Con l’”Olimpia” saranno due scudetti, due coppe Italia e una supercoppa. Con la nazionale “solo” due medaglie di bronzo a livello giovanile. Ma contando anche le presenze nelle nazionali giovanili lui è recordman assoluto per l’Italbasket avendo disputato 323 partite in totale. Quando nel luglio del 2023 decide di appendere le scarpette al classico chiodo, se ne va con l’applauso e il rammarico di tifosi, dirigenti e compagni che hanno giocato con lui. Perché Gigi è proprio un bravo ragazzo. Innumerevoli sono le sue iniziative spese per beneficenza, magari coinvolgendo altri “mostri sacri” dello sport nazionale, Paltrinieri e Tamberi per esempio, ma anche Tortu e Zola. E quale debba essere l’emozione, per ragazzini diversamente abili, nel vedersi catapultare e giocare con loro, nel loro campetto di periferia, uno o molti di questi personaggi, è facile immaginare. Al Book Pride, la manifestazione letteraria promossa da ADEI- Associazione Degli Editori Indipendenti, duecento i marchi editoriali presenti per oltre 1000 metri quadrati di libri e 550 ospiti, da Vinicio Capossela a Chiara Valerio, da Walter Siti a Adriano Panatta, ebbene Gigi Datome fungerà da “curatore speciale”: un suo intervento per ognuno dei tre giorni in cui si svolge la manifestazione. A parlare di sport ovviamente, assieme al giornalista-cronista principe del basket Fabio Tranquillo: “Cosa vogliamo dallo sport”; e “Cosa vogliamo dalla musica”, incontro questo che lo vedrà interloquire con Ghemon, rapper, cantautore, comico. Che Gigi è un eccellente suonatore di chitarra, impossibile non citare la sua “performance” al Castello Sforzesco di Milano, il primo di agosto di due anni fa, al concerto di Patti Smith (per gli scettici si trova facilmente in rete) dove si è esibito con la chitarra acustica assieme alla banda della star del rock, durante l’esecuzione di “People have the power”, quella che probabilmente è la sua canzone più famosa, tra le ovazioni del pubblico presente. Si ricorda ancora Gigi di quando la sua squadra, la Santa Croce, vinceva un incontro a Olbia, partiva a tutto volume il disco dell’apertura dell’”Aida” di Verdi. Ma anche la canzone che ascoltava durante la finale scudetto persa del 2013: “Vola alto” di Renato Zero: “canzone bellissima” ne dice. Per quello che riguarda il capitolo “libri e lettura” è tutto un altro mondo che si apre per Gigi Datome. E’ una passione che lo prende sin da giovanissimo, e che ha dovuto difendere molte volte dalle battute ironiche che venivano dai suoi compagni di squadra che, nel periodo di stasi di allenamenti e palestra, sempre lo vedevano con un libro in mano. A sentire lui fu Alexandre Dumas con il suo “Il Conte di Montecristo”, con la fuga di Edmond Dantes dal Castello d’If, la scoperta del favoloso tesoro dell’abate Faria, il suo ritorno a Marsiglia per vendicarsi di chi l’aveva ingiustamente fatto finire nella tetra cella del carcere, facendolo passare per complice del Bonaparte fuggito dall’Elba, a stregarlo per sempre.

Da allora legge un po’ di tutto e fa proselitismo della lettura col suo seguitissimo #cosaleggegigione, il suo seguitissimo “hashtag” su Instagram. Ha anche scritto un suo libro, nel 2018 è uscito per Rizzoli: “Gioco come sono”, dove si racconta con molta ironia. E nel 2023 una storia a fumetti: “Il Gigante del campetto”, dai dieci anni in su. Che da due anni è padre di Gaia alla quale cerca di far vedere meno “cartoni” possibile e di raccontarle in cambio un mucchio di storie. Vita stravolta ovviamente: “Sono cambiati tempi e priorità. Ed è cambiata la centralità della mia persona. Resto molto curioso, ma se prima sentivo il bisogno continuo di fare cose, visitare posti, vedere gente, adesso quando sono a casa con Chiara (Pastore, anche lei giocatrice di basket, ndr) e Gaia non esiste un altro luogo in cui vorrei essere e non ci sono altre persone con le quali vorrei stare. Non sono più io al centro, ma altri”. Non ha perso il suo accento sardo Gigi, la barba da “predicatore mormone” che lo rende riconoscibile tra mille, della Sardegna ha sempre detto che per lui significa casa. “Mi sento cittadino del mondo, ho avuto la fortuna di veder tanti posti bellissimi, ma è meraviglioso poter portare ogni volta il mio bagaglio di cultura in quella che è casa mia…Io sono orgoglioso di essere sardo e il mio orgoglio lo porto con me in campo ogni volta. In ogni gara penso di rappresentare me, la mia famiglia, ma anche la mia regione: ci sono tantissimi tifosi che mi seguono e sono felici quando gioco bene…Quante volte mi è capitato di andare a giocare partite in piccole città, in sperdute periferie, sempre notavo sugli spalti una bandiera coi quattro mori che sventolava, e le facevo un cenno di saluto”. Qui a Milano lo trovo mentre si scrive una sorta di scaletta per il suo intervento, la sala piena da scoppiare. Poco più in là, la prima volta al “Pride”, lo “stand”: Associazione Editori Sardi. Una miscellanea di titoli messi uno accanto all’altro un po’ casualmente. Parecchi “noir” di giovani scrittori, ma anche Grazia Deledda, Maria Giacobbe e Sergio Atzeni. Penso che per giocare la partita ad armi pari con le altre case editrici occorrerà una strategia più accorta, se si vogliono accalappiare e fermare le persone che numerose si spostano da uno stand all’altro. Magari sarebbe bastato un cartellone con su scritto a grandi caratteri: libri che vengono e parlano di Sardegna, la casa del grande Gigi Datome.

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Un commento

  1. Grande Gigi orgoglio di Sardegna!!

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