IL WORKSHOP TRA VECCHIA E NUOVA GENERAZIONE DEI SARDI ALL’ESTERO: INIZIATIVA DELLA FEDERAZIONE DEI CIRCOLI SARDI IN SVIZZERA TRA ZURIGO, LUCERNA, GINEVRA E LOSANNA

L’associazionismo sardo sicuramente risente meno del clima generale di crisi di quello italiano all’estero, grazie anche alla Regione Autonoma della Sardegna che, dal 1965 lo ha sempre accompagnato, gestito e sostenuto economicamente più di tutte le altre consorelle italiane. Tuttavia, appare certo che solo il concorso delle più recenti tecnologie, con il saggio utilizzo degli strumenti che da decenni costituiscono il patrimonio di questo particolare tipo di aggregazione, ossia sedi, spazi culturali, interazione col territorio, ecc., potrà assicurare la continuità di questo servizio alla comunità dei sardi all’estero e indirettamente i riflessi positivi per la regione di origine. Questa è la principale conclusione emersa dallo Work Shop promosso dalla Regione Sardegna in Svizzera, il 27 e 28 aprile  organizzato dalle Associazione sarde di Ginevra e di Losanna con la Federazione delle associazioni sarde in Svizzera, sotto la presidenza di Antonio Mura, presidente Circolo di Lucerna, titolare del progetto regionale e di Lorenzina Zuddas, presidente dell’associazione sarda di Ginevra, ospitante, e di Josiane Masala, presidente dell’associazione sarda di Losanna ,  oltre che da remoto, da quello onorario della Federazione, Domenico Scala, Vice presidente Vicario della Consulta regionale dell’emigrazione, ossia massima carica non politica in questo campo.

Il confronto è avvenuto tra vecchie e nuove generazioni di dirigenti e di soci quasi a consacrare il transito da una vecchia e una nuova fase. In realtà una prima fase di ricambio, come ha sottolineato il coordinatore di questi Work Shop, Aldo Aledda, memoria storica dell’emigrazione sarda, era già avvenuta negli anni Novanta con l’avvicendamento della prima generazione di emigrati del Secondo Dopoguerra e che oggi, dopo trent’anni, ha bisogno anche essa di un nuovo ricambio generazionale, forse anche più urgente e oculato perché sull’associazionismo sardo si ripercuotono gli effetti negativi della crisi del fenomeno associazionistico in genere e quelli particolari dell’ambito migratorio, caratterizzati dalla difficoltà degli organismi rappresentativi (CGIE, Comites, ecc.) oltre che dalla consistente riduzione delle risorse finanziarie pubbliche.

L’iniziativa di Ginevra, ha messo sostanzialmente in luce e confermato l’esistenza di una nuova tipologia di giovane sardo “glocal”, un cittadino del mondo ma attento e interessato al locale, non solo al territorio in cui risulta in qualche modo “ospitato”, ma anche a quello di origine cui si sente sempre legato e disponibile, come ha sottolineato l’altro coordinatore dello Work Shop, Leonardo Canonico, commercialista di origine campana, significativamente integrato nella federazione sarda ed esso stesso esempio di “italico” regionale, ossia di straniero e proveniente da altra regione italiana e che si riconosce nei valori della Sardegna e dei sardi, per i quali opera non con minore impegno che per la terra di origine e per il paese nel quale ha deciso di risiedere. Una  figura emblematica di chi si riconosce nei valori e nella cultura della Sardegna, costituita non solo dal milione e mezzo di sardi di origine e nuovi expat, ma anche di tutti coloro che manifestano analogo interesse e attenzione, e che ha costituito un altro tema dei lavori in quanto si tratta di risorse imprescindibili per ogni programma e progetto futuro. Da un lato si è confermata tutta la disponibilità dei giovani nei confronti della Sardegna e dei coetanei che intendono fare un’esperienza di vita e di lavoro all’estero, oggi esaltata ancora di più dal fatto che una di loro, una expat, Alessandra Todde, sia divenuta Presidente della Regione, a dimostrazione appunto che questa condizione non deve risultare penalizzante, ma costituire un valore aggiunto, come ha riconosciuto indirettamente la maggioranza dei sardi nel votare questa persona. Dall’altro lato, però, come ha relazionato il giovane dirigente di Ginevra, Luca Pau, esistono notevoli difficoltà di comunicazione con i coetanei rimasti nei centri sardi di origine che si rivelano ancora legati a interessi e a orizzonti molto limitati. Ciò è dovuto al gap dato per una parte da un surplus di formazione, di competenze e di preparazione e, per l’altra, in chi sta nell’isola, in un deficit di tutte queste qualità. In questo contesto si inserisce un contributo da parte della responsabile giovani del circolo di Zurigo, Antonella Corrias, che sollecita la formazione di corsi webinar tra scuole superiori sarde e figure esemplari di emigranti sardi in Svizzera, nei quali raccontare le esperienze story telling motivazionali per i giovani sardi.

Oggigiorno le associazioni di sardi in Svizzera appaiono piuttosto concentrate a dare il loro supporto al crescente numero dei coetanei che dall’isola si recano in Svizzera per poter rispondere con sicurezza al messaggio che lancia a costoro la stessa regione Sardegna che non disdegnerebbe un’inversione di flussi, hanno sostenuto i numerosi giovani partecipanti allo Work Shop confrontandosi, oltretutto, con i dirigenti della generazione precedente, molti dei quali hanno già provveduto a fare il passaggio di consegna ai presenti. Questa posizione è stata illustrata in particolare da Elisa Manca, giovane docente dell’università di Berna, originaria di Alghero, che utilizzando anche gli strumenti del sistema universitario sardo, con cui mantiene linee di collaborazione, offre meritoriamente sostegno ai giovani sardi che si recano a studiare e a lavorare nel Canton Ticino. In questo senso è emerso chiaramente che il vuoto di forze giovanili che si sta creando nell’isola può essere coperto solo da politiche più avanzate e più accorte di quelle attuali con risorse che possano attrarre l’attenzione della parte più qualificata della Generazione Z che si trova a provenire dalla Sardegna e produrre quindi risposte significative. Infatti, si è sottolineato, in particolare nella relazione di Elisabetta Melinu, che buona parte delle competenze di elevato livello acquisite dai giovani sardi in Svizzera non può essere spesa nell’isola per assenza di progetti e di iniziative nei settori più innovativi dell’economia, della transizione tecnologica e della difesa dell’ambiente.

Perché gli strumenti dell’associazionismo sardo possano mostrarsi sia all’altezza dei compiti cui tradizionalmente sono stati concepiti, ossia di accompagnare i nuovi arrivati nella loro esperienza migratoria, sia di quelli più recenti di partnership con la Regione nelle politiche di avanguardia sembra imprescindibile migliorare l’assetto organizzativo delle associazioni e della relativa Federazione spostando sempre più in alto i disegni organizzativi, fino ad abbracciare il movimento complessivo dei sardi all’estero ed eventualmente richiedendo ai giovani dirigenti prestazioni professionali sempre più elevate anche con la possibilità di compensare in prospettiva impegni che andassero oltre l’ordinaria dedizione volontaria. In questo senso occorrerà percorrere le strade più sicure dell’intervento pubblico ed eventualmente privato, come ha sostenuto Samuele Caboi, un giovane economista appena nominato segretario dell’associazione di Ginevra, espressione di una nuova generazione di dirigenti che si accingono a prendere le redini delle associazioni. Un disegno nel quale sembra imprescindibile presentarsi con un movimento giovanile, forte e motivato, è peraltro contenuto in un progetto in corso di realizzazione illustrato da Genri Fais, dirigente del circolo di Losanna che mira a creare un percorso social con un servizio di informazione, collegamento e assistenza dei giovani sardi che si recano in Svizzera e la possibilità di estenderlo in tutto il mondo. A ogni buon conto è emersa la necessità, rappresentata dal dirigente federale Gigi Masia, di procedere a una revisione legislativa nella misura in cui i meccanismi attuali manca della necessaria flessibilità sulla quale soltanto possono contare disegni organizzativi più ambiziosi e coraggiosi e sistemi di gestione amministrativa più semplici.

E, infine, il motivo conduttore che ha attraversato tutto lo Work Shop, sia a Zurigo sia qui a Ginevra: tornare in una Sardegna che invecchia e perde popolazione? No, grazie! Nessuno ci ha costretti a uscire dalla nostra terra, anzi grazie per averci formati e istruiti, ma dopo abbiamo trovato solo sottoccupazione o nulla da fare nelle cose per cui avevamo studiato. Le nostre stesse famiglie, a differenza delle emigrazioni storiche, sia pure con dolore ci hanno approvato e per quanto hanno potuto ci hanno aiutato. Siamo sardi dentro e ci porteremo la nostra terra ovunque siamo nel mondo e quando ci manca fisicamente torniamo per incontrare le nostre famiglie e i nostri amici. Rientrare, poi, con attività? Si potrebbe fare in qualche ambito vantaggioso come quello turistico. Ma per che cosa, poi, per farci spolpare da un fisco rapace e mangiare da una burocrazia barocca? Meglio la Svizzera, anche in termini di qualità dell’esistenza, dove tutto gira per farti stare meglio, dal fisco ai servizi, all’organizzazione sociale e alla vita quotidiana. E, da ultimo, che non vi attraversi un attimo la mente che siamo noi, con la nostra “fuga”, i responsabili dello spopolamento, dell’invecchiamento oppure dell’impoverimento della Sardegna. Cercate le responsabilità nella vostra classe politica e dirigente, nel sistema sociale e di funzionamento dei servizi che vi siete dati nel tempo e, soprattutto, nel microsistema ammnistrativo e clientelare che gestisce i piccoli centri e che più che trattenere, espelle i giovani.

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